La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XXXI

Capitolo XXXI

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Capitolo XXXI.

Di quello avvenne dopo la mia guerigione, e come fui menato là dove erano le genti del Re.


Tantosto appresso la mia guarigione lo Ammiraglio delle galee del Soldano mi mandò che fossi davanti a lui per sapere s’io era cugino del Re come si sonava: Ed io gli risposi, che no, e gli contai comente ciò era stato fatto, nè perchè; e che era stato il cómito che lo mi avea consigliato di paura che i Saracini delle galee, che ci venivano sopra, ci ammazzassono tutti. E lo Ammiraglio soggiunse che molto bene era stato consigliato, perchè altramente noi saremmo stati uccisi senza faglia e gittati entro il fiume. Di ricapo mi domandò il detto Ammiraglio s’io aveva alcuna conoscenza dello Imperadore Federigo d’Allemagna che allor viveva, e s’io era mica di suo lignaggio. Ed io gli risposi la verità di avere inteso come Madama mia Madre era sua cugina nata di germano. E lo Ammiraglio mi rispose ch’egli me ne amava di tanto meglio. E così, in quella che noi eravamo là mangiando e beendo, egli m’avea fatto venire davanti un borghese di Parigi: e quando il borghese mi vide mangiare, egli mi va dire: Ah! Sire, che fate voi? Che io fo? dissi io. Ed il borghese mi va avvertire dalla parte di Dio ch’io mangiava nel giorno di venerdì. E subito io lanciai addietro la scodella ove mangiava. Il che vedendo lo [p. 136 modifica]Ammiraglio, domandò al Saracino che m’avea salvato e che era sempre con me, perchè io avea lasciato a mangiare. Ed egli dissegli per ciò ch’egli era venerdì ed io non ci pensava punto. E lo Ammiraglio rispose che già Dio non l’avrebbe a dispiacere poi ch’io non lo aveva fatto saputamente. E sappiate come il Legato ch’era venuto col Re, mi tenzonava di che io digiunassi, e perch’io era malato, e perchè non ci avea più col Re uomo di Stato fuor di me, e pertanto diceva ch’io facea male a digiunare; ma, non meno per ciò ch’io fussi prigioniero, punto non lasciai a digiunare tutti li venerdì in pane ed acqua.

La domenica d’appresso ch’io fui preso, lo Ammiraglio fece discendere del castello a valle il fiume sulla riva tutti quelli ch’erano stati presi sull’acqua. E quando io fui là, Messer Gianni mio Cappellano fu tratto dalla sentina della galea, e quando e’ vide e provò l’aria, ispasimò, e incontanente ucciserlo i Saracini davanti a me e lo gittarono a fiume, ed al suo cherco, il quale altresì non ne poteva più della malattia dell’oste ch’egli aveva, lanciarono un mortaio sulla testa, e così infranto lo gittarono a fiume appresso il Maestro. E similmente facevano essi degli altri prigionieri, perchè in così che traevanli della sentina ove erano stati stivati, egli ci avea de’ Saracini propizi, i quali da che essi ne vedeano uno male disposto o fievole, sì lo uccidevano e lo gittavano nell’acqua, e così erano trattati tutti li poveri malati. Ed in riguardando quella tirannia, io loro feci dire pel mio Saracino, ch’essi [p. 137 modifica]facevano gran male, e che ciò era contro il comandamento di Saladino il pagano, il quale diceva che non si doveva uccidere nè far morire uomo poi che gli si era dato a mangiare del suo pane e del suo sale. Ma essi mi fecero rispondere che coloro non erano più uomini d’alcuna valuta, e ch’essi non potevano ormai più fare alcun’ovra, poi che erano troppo malati. E appresso queste cose elli mi fecero venir dinanzi tutti i miei marinieri, narrandomi che tutti erano rinegati. Ed io dissi loro che non ci avessono per ciò fidanza, e che ciò era solamente di paura che uomo li uccidesse, ma che come tosto sarebbonsi essi trovati in buon luogo od in lor paese, incontanente ritornerebbono alla prima fede. Ed a ciò mi rispose lo Ammiraglio, ch’egli me ne credeva bene, e che Saladino diceva come giammai non si vide di un Cristiano un buon Saracino, e così di un Saracino un buon Cristiano. Dopo di che lo Ammiraglio mi fece montare su un palafreno, e cavalcavamo l’uno accosto l’altro. Ed in così menommi passare a uno ponte, e di là sino al luogo dove era il santo Re e le genti sue prigionieri. Ed all’entrata d’un gran paviglione trovammo lo Scrivano che scriveva li nomi de’ prigionieri da parte il Soldano. Or là mi convenne nomare il mio nome, che non loro volli celare, e fu scritto come gli altri. Anche all’entrata del detto paviglione quel Saracino, che sempre mi aveva seguito ed accompagnato, e che mi avea salvato nella galea, mi disse: Sire, io non vi posso più seguitare e perdonatemene, ma bene vi raccomando questo giovine infante che [p. 138 modifica]avete con voi, e vi prego che lo teniate sempre per lo pugno, o altrimenti io so che i Saracini lo uccideranno. L’infante avea nome Bartolomeo di Monfalcone figliuolo del Signore di Monfalcone di Bari. Tantosto che il mio nome fue iscritto, L’Ammiraglio ci menò, il giovine figliuolo ed io, didentro il paviglione, ove erano li Baroni di Francia, e più migliaia di persone con loro. E quando io fui didentro entrato, tutti cominciaro a menare sì gran gioia di vedermi, che non vi si potea niente udire per lo bruìto della gioia ch’essi ne facevano, perchè mi pensavano aver perduto.

Ora in quella che noi stavamo insembre sperando l’aìta di Dio, noi non dimorammo guari che un gran ricco uomo1 Saracino ci menò tutti più avanti in un altro paviglione dove avevamo una cera assai miserevole. Assai d’altri Cavalieri e d’altri di nostre genti erano altresì prigionieri, ma chiusi in una gran corte attorneata di muraglie di terra. E quelli là facevano trar fuora li prigionieri l’uno appresso l’altro, e loro domandavano se si volevano rinegare, e quelli che dicevano sì, e che si rinegavano, erano messi a parte, e quelli che nol volean fare, tutto incontanente avean mozzo il capo.

  1. Ricco uomo è quanto Barone.