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136 la sesta crociata.

Ammiraglio, domandò al Saracino che m’avea salvato e che era sempre con me, perchè io avea lasciato a mangiare. Ed egli dissegli per ciò ch’egli era venerdì ed io non ci pensava punto. E lo Ammiraglio rispose che già Dio non l’avrebbe a dispiacere poi ch’io non lo aveva fatto saputamente. E sappiate come il Legato ch’era venuto col Re, mi tenzonava di che io digiunassi, e perch’io era malato, e perchè non ci avea più col Re uomo di Stato fuor di me, e pertanto diceva ch’io facea male a digiunare; ma, non meno per ciò ch’io fussi prigioniero, punto non lasciai a digiunare tutti li venerdì in pane ed acqua.

La domenica d’appresso ch’io fui preso, lo Ammiraglio fece discendere del castello a valle il fiume sulla riva tutti quelli ch’erano stati presi sull’acqua. E quando io fui là, Messer Gianni mio Cappellano fu tratto dalla sentina della galea, e quando e’ vide e provò l’aria, ispasimò, e incontanente ucciserlo i Saracini davanti a me e lo gittarono a fiume, ed al suo cherco, il quale altresì non ne poteva più della malattia dell’oste ch’egli aveva, lanciarono un mortaio sulla testa, e così infranto lo gittarono a fiume appresso il Maestro. E similmente facevano essi degli altri prigionieri, perchè in così che traevanli della sentina ove erano stati stivati, egli ci avea de’ Saracini propizi, i quali da che essi ne vedeano uno male disposto o fievole, sì lo uccidevano e lo gittavano nell’acqua, e così erano trattati tutti li poveri malati. Ed in riguardando quella tirannia, io loro feci dire pel mio Saracino, ch’essi