La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo LV

Capitolo LV

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Capitolo LV.

Delle munizioni e difese che ’l Re fece a Giaffa ed a Saetta, e di ciò che avvenne nel frattempo.


Dei gran danari che il Re mise a chiudere Giaffa, non mi conviene mica il parlarne per ciò ch’essi furono senza numero. In fatti ne affortì egli e chiuse il borgo da l’uno de’ mari sino all’altro, e ci avea bene ventiquattro torri che grandi che piccole, e fosse a prode rinette e fatte di dentro e di fuora: e ci avea tre grandi porte, donde il Legato avea avuto commissione di farne fare una delle tre, e della muraglia tanto quanto correva da quella porta sino all’altra. Ed a conoscere per estimativa ciò che la cosa poteva costare al Re, egli è verità che una fiata mi domandò il Legato quanto io stimassi ciò che gli fosse costato la porta ed il tratto di muro ch’egli avea fatto fare. Ed io stimai che la porta gli era ben costata cinquecento lire, e la muraglia trecento. Ed allora il Legato, scotendo il capo, mi disse che io era ben lungi dal computo, e che, così l’âtasse Iddio, come la porta e il muro gli erano ben costati trentamila lire. Per la qual cosa può ben l’uomo pensare in suo cuore la massa grande [p. 219 modifica]d’argento che tutto quel cassero sarà costato al buon Santo Re.

Quando il Re ebbe accompito di munire e di chiudere Giaffa, gli prese volontà di fare a Saetta com’egli avea fatto a Giaffa, e di ridurla asserragliata e accasata cosi com’ell’era avanti che i Saracini l’avessono abbattuta: e s’ismosse per andarvi lui e sua oste il dì della festa de’ Monsignori Santo Pietro e Santo Paolo Apostoli. E quando ’l Re fu davanti il castello di Assur a tutto suo oste, sulla sera appellò egli le genti del suo Consiglio, e domandò loro d’una cosa ch’elli aveva volontà di fare, cioè ch’elli pensava prendere una città de’ Saracini, che l’uomo appella Napoli, e che si nomina nelle Scritture della Bibbia e dello antico Testamento, Samaria. Allora i Signori del Tempio, i Baroni e gli Ammiragli del Paese gli consigliarono ch’elli lo devesse fare, ma che non ci dovea punto essere di persona, per essere impresa troppo risicosa, dicendo che se per malastro vi fosse preso od ucciso, tutta la Santa Terra ne andrebbe perduta. Ed egli loro rispose che non lascerebbe già andare sue genti là dove non potesse essere corporalmente con loro. E per tale discordo dimorò l’impresa, e non ne fu più niente. Allora noi ci partimmo e venimmo sino alla sabbia d’Acri, e là si loggiò il Re e tutta sua oste quella nottata. E alla dimane venne a me una gran quantità di popolo della grande Erminia, il quale andava in pellegrinaggio a Gerusalemme. E mi venne supplicare quel popolo, per un turcimanno latino ch’essi avevano, avendo udito [p. 220 modifica]dire di me ch’io era il prossimano del Re, ch’io volessi mostrar loro il buon Re San Luigi. Ed allora io me n’andai di verso il Re, e gli dissi che una gran turba di genti della grande Erminia che andavano in Gerusalemme lo voleano vedere. Ed egli si prese a ridere, e mi disse che le facessi venire davanti a lui. E tantosto gli ammenai quel popolo che videlo molto volentieri, e molto lo onorarono negli atti loro; e poi quando l’ebbono lungamente ammirato, lo accomandarono a Dio in loro linguaggio, ed egli gli accommiatò in Dio similmente. La domane il Re e sua oste si partì ed andammo alloggiare in un luogo che l’uomo appella Passa-pullano, ov’egli ci avea di molte belle acque fontanili, di che nel paese s’irrigano le canne donde viene lo zuccaro. E quando io fui loggiato, l’uno de’ miei Cavalieri che s’era dato la fatica dell’apprestamento, mi disse: Sire, or v’ho io alloggiato molto meglio che ieri non eravate. E l’altro de’ miei Cavalieri che m’avea alloggiato quel giorno innanzi, gli va a dire: Voi siete troppo folle ed ardito quando a Monsignore voi andate a biasmare cosa ch’io ho fatto: e quando ebbe ciò detto, gli salì sopra e lo prese pei capelli. Or quando io scorsi l’oltracotanza di quel Cavaliere che davanti a me avea osato di prendere a capelli un altro mio Cavaliere, andaigli correre sopra, e gli donai un gran colpo di pugno tra le spalle. Lasciò egli allora tosto l’acciuffato, ed io dissi cruccioso all’acciuffatore ch’egli uscisse tosto del mio alloggiamento, e che giammai, così m’aiutasse Dio, egli non ne sarebbe [p. 221 modifica]di mia magione. Allora se ne uscì fuora quel Cavaliere menando gran duolo, e se n’andò verso Messer Gillio il Bruno, che era allora Coonestabile di Francia, il quale se ne venne tantosto a me pregandomi ch’io volessi riprendere quel mio Cavaliere, e che grande ripentenza aveva egli di sua follia. Ed io gli dissi che non fareine già niente prima che il Legato m’avesse donato assoluzione del saramento ch’io ne avea fatto. E il Connestabile se n’andò diverso il Legato, gli contò tutto il caso, e gli richiese che mi volesse assolvere del giuramento isfuggitomi. E il Legato gli rispose ch’e’ non aveva podere dissolvermene, visto che a buon diritto io aveva fatto il saramento, e ch’esso era ragionevole, per ciò che il Cavaliere l’aveva grandemente disservito. E questa cosa ho io voluto scrivere ne’ fatti di questo mio Libro, a fine di donare in esempio a ciascuno ch’e’ non voglia giammai saramentare se non gli avviene di farlo per ragione, perchè il Saggio dice, che:

Chi volentieri e a vanvera si giura
Avvien che spesse volte si pergiura.