La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo LIX

Capitolo LIX

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Capitolo LIX.

Come col Re femmo vela per ritornare in Francia, e delle malenanze che ci incolsero presso Cipri.


Tutta la Quaresima il Re fece apprestare il naviglio per rivenirne in Francia, donde egli ci avea quattordici che navi che galee: e la vigilia della festa di San Marco appresso Pasqua, il Re e la Reina si raccolsero nella lor nave, e tutto il navile uscendo di stallo cominciò con buono e secondevole vento a prender l’abbrivo sul mare1. E mi disse il Re ch’egli era nato nel proprio giorno di San Marco; ed io gli soggiunsi, ch’elli poteva bandire che se allora c’era nato, ora c’era rinato, poichè in [p. 233 modifica]tal dì iscapolava di quella perigliosa terra ove noi eravamo dimorati sì lungamente.

Il Sabbato inseguente arrivammo sull’Isola di Cipri, e ci aveva una montagna appresso l’Isola che l’uomo appellava la montagna della Croce, alla quale montagna si potea conoscere da lunge che si approssimava alla detta Isola di Cipri. E sappiate che quello Sabbato sul vesperare si levò un grande nebbione, il quale della terra discese sul mare, e lo abbuiò talmente che i marinieri pensarono essere assai più lunge dall’Isola ch’essi non erano veramente: di che perderono la montagna di vista, la quale si stinse entro la tenebra del caligato. Ed in così avvenne che, nello intento di arrivare di buon otta all’Isola, i nostri marinai s’isforzarono di navigare a gran vigore di braccia, perchè sprovvedutamente andammo ad abbordare su una coda di sabbia ch’era poco sotto mare; e se per avventura non ci fossimo così arrenati, saremmo andati ad urtare a di grandi rocce canterute ch’erano colà presso nascose, e vi saremmo stati tutti pericolati e sommersi. Con tutto ciò fummo noi a grande disagio là ove eravamo atterrati, perchè ciascuno si pensò d’essere annegato e perduto e che la galea si fendesse. Il Piloto gittò allora suo piombino in mare, e trovò che la nave non era punto arrenata e che l’acqua bastava a rigallarla, di che ciascuno cominciò a rallegrarsi ed a renderne grazie a Dio. E ce n’avea molti prostesi dinanzi il Sacrosanto Corpo di Nostro Signore ch’era in vista sulla nave, gridando perdono a Dio poichè ciascuno s’attendeva alla morte. E tantosto [p. 234 modifica]ch’elli fu giorno noi vedemmo gli scogli, ai quali noi avremmo urtato senza fallo se non fusse stato la fortuna del piaggione di sabbia che c’impigliò. Come venne il mattino il Re inviò cherère i Maestri Piloti delle navi, e questi ammenarono con loro quattro palombari o mergoni, i quali son genti che vanno a nuoto al fondo dell’acqua come e’ pesci. Li quali quattro palombari furono dai Maestri suddetti fatti scendere in mare là indiritta dove la nave toccò fondo. E costoro capolevarono, e poi passarono per di sotto la nave ov’era il Re con noi altri. E quand’essi risortirono dell’acqua furono uditi tutti quattro spartitamente per sapere ciò ch’essi vi avean trovato. Ma ciascuno d’essi rapportò che al luogo ove s’era urtata la nostra nave, la sabbia avea ischeggiato per ben tre tese ed amminuito la carena su che era la nave fondata. E quando si furo uditi rapportare così, il Re e tutti noi ne rimanemmo alquanto ismarriti e pensosi: perchè il Re domandò ai Maestri quale consiglio donerebbono essi di quella cosa: ed i Maestri nocchieri gli dissero: Sire, per tutto consiglio, se ci volete credere, voi discenderete di questa nave in un’altra; perchè noi bene intendiamo come, poi che il suo fondamento ha sofferto tale urto quale avete udito, ne debbano essere stati altresi iscommessi gli armamenti delle costole, e per ciò dubitiamo grandemente che, quando verrà in mare alto, non possa la nave durare il colpo dei flutti senza ch’ella perisca. Perchè tale esempio ne abbiamo noi veduto, quando voi partiste di Francia, d’un’altra nave [p. 235 modifica]che aveva similmente urtato e sofferto un tale stroscio come ha questa qui; e quando essa fu in alto mare non potè bastarvi contro i colpi delle onde, e ne fu isconfitta e spezzata, e ne annegarono quelli che v’eran dentro, senza che altri ne iscampasse fuorchè una giovine donna col suo fantino che tenea in collo, li quali d’avventura dimorarono su l’uno dei tavoloni della nave, che l’acqua poi menò a riva. E quando il Re ebbe udito ciò ch’e’ Piloti gli avevano consigliato e dato in esempio, io stesso testimoniai ch’essi dicevano il vero; perchè io avea veduti la donna e il fanciullino che erano arrivati davanti la Città di Bafa, e li vidi nella magione del Conte di Gioigny, il quale ve li faceva nodrire per lo amore di Dio. Allora il Re appellò le genti di suo Consiglio per sapere ciò che era da farsi: e tutti gli consigliammo di fare ciò a punto che gli uomini sperti di mare gli avevano consigliato. Allora chiamò il Re i Piloti di nuovo e domandò loro, sopra la fede e lealtà ch’essi gli dovevano, se la nave fusse loro, e fusse piena di mercatanzie, s’essi ne discenderebbono o no. Ed essi risposero tutti insieme che mai no, e che in tal caso amerebbero meglio di mettere loro corpi in avventura di morte che di lasciar perdere una tal nave, che sarebbe ai medesimi costata ben quaranta o cinquanta mila lire. E perchè, soggiunse il Re, mi consigliate voi dunque ch’io ne discenda? E quegli risposero: Sire, voi e noi non è già tutt’uno, nè pari è la posta, perchè oro nè argento non potrebbe esser sì tanto ch’elli fusse pregiato nè estimato come il [p. 236 modifica]corpo di voi, di madama la Reina vostra sposa e de’ vostri tre figliuoli che avete qui, e pertanto non vi consiglieremmo giammai che vi metteste in tale risico ed avventura. Or vi dirò io, soggiunse il Re, il mio consiglio ed avviso. Se io discendo di questa nave, egli ci ha qui dentro cinque o seicento persone, le quali dimoreranno nell’isola di Cipri per la paura del periglio della nave ove sono i loro corpi; chè non ci ha alcuno che non ami aitanto suo corpo com’io fo il mio; e, se una fiata vi discendono, giammai non avranno speranze di ritornare in loro paese non bastando a pagarne il nàvolo; pertanto vi dico ch’io amo meglio mettere me, la Reina e’ figliuoli nelle mani e nella santa guardia di Dio, che di apportare un tanto dannaggio a sì gran popolo come egli ha qui dentro.

Ed il gran male e dannaggio che ’l Re arebbe fatto s’elli fusse disceso bene ci apparve in Messer Oliviero di Termes il possente Cavaliero, il quale era in quella nave dov’era il Re; il quale Messer Oliviero era l’uno de’ più valenti e de’ più arditi uomini ch’unqua io conoscessi in Terra Santa. Tuttavolta non osò egli dimorare, e si discese nell’Isola: ed allora avvenne che, sebbene fusse un grande e notabile personaggio e molto ricco d’avere, egli vi trovò tanto d’impedimenti e di disturbanze, ch’e’ fu più di un anno e mezzo avanti che potesse rivenire di verso il Re. Ora intendete dunque che mai arebbono potuto fare tanti piccoli personaggi, i quali non aveano di che pagare nè finire ai tributi, visto che sì gran ricco uomo ci avea dovuto interporre sì lungo soprastamento. [p. 237 modifica]

Appresso che Dio ci ebbe stratti di quel periglio, ove noi eravamo così stati davanti l’Isola di Cipri, noi entrammo in un altro non minore. Perchè si levò egli in mare un vento sì terribile e maraviglioso, che a forza e malgrado nostro ci rigettava tuttavia sull’Isola di Cipri che noi avevamo già trapassata. Gittarono perciò i marinieri quattro delle loro àncore in mare, ma unqua non seppero arrestare la nostra nave sino a che la quinta di soccorso non ci fu gittata. E ben sappiate ch’egli ci convenne abbattere i paretelli della camera dove si teneva il Re, ed era tale il tifone che in essa nissuno osava tenersi ritto di paura che le folate sferratoie nol rapissero in mare. Perchè la Reina montò a quella camera dove ella credeva trovare il Re, e non vi trovò che Messer Gillio il Bruno Connestabile di Francia, e me, che vi ci tenevamo bocconi. E quando io la vidi, le domandai che volesse; ed Ella rispose che domandava il Re per pregarlo ch’e’ volesse fare qualche voto a Dio od a’ suoi Santi, affinchè noi potessimo essere liberati della tormenta, da che i marinai le avevano detto che noi eravamo in gran pericolo di annegare. Ed io le dissi: Madama, promettete di fare il viaggio a Monsignore San Nicolao di Varengavilla, ed io mi fo forte che Dio ci renderà in Francia a salvezza. Allora Ella mi rispose: Ah! Siniscalco, io arei paura che ’l Re non volesse ch’io facessi il viaggio, e che per ciò nol potessi accompire. Almeno, Madama, promettetegli che, se Dio vi renda in Francia salvamente, voi gli donerete una nave di cinque marchi [p. 238 modifica]d’argento per lo Re, per voi, e pe’ vostri figliuoli: e se in così il fate, io vi prometto ed assevero che alla preghiera di San Nicolao Dio vi renderà in Francia a salvamento: ed io prometto quanto a me, che ove ritorni a Gionville, ne l’anderò vedere sino al luogo suo a piè e tutto scalzato. Allora ella promise a San Nicolao di offerirgli la nave d’argento, e mi richiese ch’io gliene entrassi mallevadore siccome feci. E poco stante Ella ritornò a noi, e ci venne dire che Dio, alla supplicazione di San Nicolao, ci avea guarentiti di quel periglio. E qui sappiate che la Reina, quando fu ritornata in Francia, fece fare la nave ch’ella aveva promessa a Monsignore San Nicolao, e ci fe’ rilevare il Re, lei, ed i tre figliuoli, i marinai, l’albero, i cordaggi, ed i governali tutti d’argento, od acconci a fila d’argento. La qual nave ella m’inviò, mandandomi ch’io la recassi offerere a Monsignore Santo Nicolao, e così feci; ed ancora dopo lungo tempo ve l’ho io vista, allorché sono stato della comitiva che ha menata la sorella dello Re attuale al Re di Lamagna2.

Or riveniamo al proposito là ove noi eravamo nel mare, e diciamo che quando il Re vide che noi eravamo sfuggiti da que’ due grandi pericoli, egli si levò sul palco della nave, ed essendo io là presente e tuttavia a lui dinanzi mi va a dire: Or [p. 239 modifica]riguardate, Siniscalco, se Dio non ci ha ben mostrata sua gran possanza, quando per uno vento piccolino e che non è pure de’ quattro venti maestri in mare, il Re di Francia, la Reina, e’ figliuoli suoi e tanti altri grandi personaggi hanno pensato esserne tutti insieme sommersi. Con tutto ciò io ne lo lodo, e so che grandi grazie gliene debbiamo ben rendere. E già sappiate, Siniscalco, che quando tali tribolazioni avvengono alle genti, od altre miserevoli fortune di malattie, elleno sono, per buono avviso dei Santi, le minacce del male e le sommosse al bene di Nostro Signore. E per ciò io vi dico, seguitava il buon Santo Re, che li risichi là ove noi siamo stati, sono altresì minacce di Iddio, il quale per essi mostra dirci: Or vedete voi bene che, s’io avessi voluto, vi sareste tutti pericolati nell’acque e annegati. Di che è a trarne documento di guardare bene e finamente s’egli ci abbia in noi cosa dispiacente a Dio Creatore, e s’ella v’è, sì appercepita l’abbiamo, e sì tosto la dobbiamo rigettare ed espellere. E se così faremo egli ce ne amerà e ci guarderà tuttavia da sciagure; e se faremo il contradio, appresso ch’egli ci avrà misericordevolmente minacciati, invierà sovra noi qualche gran male o di morte, o di dannaggio nel corpo, ovvero ci lascierà nello ’nferno discendere perdurevolmente in eterno. Ed anche seguitava il buon Re San Luigi: Siniscalco, il sant’uomo Job diceva a Dio: Sire Iddio, e perchè ci minacci tu? se la minaccia che tu ne fai non è punto per tuo prode e per tuo vantaggio? poichè, se tu ne avessi tutti perduti, tu non [p. 240 modifica]ne saresti già più povero, ed in così non più ricco se tutti salvati? Certo dunque il tuo minacciare è per nostro profitto, non per tuo, quando noi il sappiamo conoscere e intendere. Donde dobbiamo anche una volta vedere che le minacce non la percossa della sciagura esce dallo amore di Dio benedetto per noi, il quale ci vuole così per via di penitenza ammenare a gloria e a salvezza. Per tanto dunque, Siniscalco, pentiamoci di nostre colpe, e ristoriamo i demeriti, e saremo saggi.

  1. Aprile 1255.
  2. Bianca figlia di Re Filippo l’Ardito e sorella di Re Filippo il Bello, sposatasi a Rodolfo Duca d’Austria, e poi Re di Boemia figlio primogenito dello Imperatore Alberto I. Il maritaggio accadde correndo l’anno 1300.
    L’Autore morì a quanto pare nel 1317 o nel 1318 avendo poco meno di cent’anni, ed ultimò la Storia presente nei primi anni del Secolo XIV.