La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo LIII

Capitolo LIII

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Capitolo LIII.

Come i Turchi di Damasco vennero davanti Acri, e poi partitisine assalirono Saetta e la misero a distruzione.


Gli altri Turchi ch’erano partiti da innanzi Giaffa se ne vennero davanti Acri, e mandarono al Signore d’Assur, che era Connestabile del Reame di Gerusalemme, ch’egli loro inviasse cinquanta mila bisanti, o ch’essi distruggerebbono i giardini della città. Ed il Signore d’Assur mandò loro all’incontro che non invierebbe neente. Allora essi arringarono le loro battaglie, e se ne vennero lungo le [p. 213 modifica]sabbie d’Acri si presso della Città che si sarebbe ben tirato fino entro la medesima con un ballestrone da tornio. E adunque sortì fuora della Città il Signore d’Assur, e s’andò a mettere loro a monte, là ove era il cemeterio di San Nicolao, per difendere li giardini. E quando li Turchi approcciaro, alquanti de’ nostri sergenti a piè uscirono anche d’Acri, i quali cominciarono a tirar loro sopra d’archi e ballestre a gran forza. E di paura ch’essi si mettessero in periglio, il Signore d’Assur li fece ritrarre alla muraglia per un giovine Cavaliere, che era di Genova.

Ed in quella che il giovine Cavaliere Genovese ritraeva que’ pedoni, un Saracino venne a lui mostrandosi spaurato ed ismosso in coraggio, il quale in suo saracinesco, gli disse ch’egli giostrerebbe a lui, se il volesse. E il Cavaliere gli rispose fieramente che molto volentieri il riceverebbe; ma quando volle incorrere su quel Saracino, appercepì egli colà presso ed alla sua mano sinistra altri otto Saracini che mostravano dimorar là per vedere chi guadagnerebbe di quella giostra: perchè allora il Cavaliero lasciò di correre al Saracino con chi aveva a giostrare, e prese la sua corsa al troppello degli otto agguatatori, e ne ferì uno per mezzo il corpo, e traforandolo d’oltre in oltre colla sua lancia lo freddò sul colpo; e poi se ne ritornò a nostre genti. E gli altri Saracini gli corsero tutti sovra, ed uno ce n’ebbe che gli donò un gran colpo di mazza sul piastrone, ed il Cavaliere, al ritorno ch’e’ fece, diede al Saracino, che lo avea colpito, un tal colpo [p. 214 modifica]di spada sulla testa che gli fece balzar le tovaglie che ricoprivanla sino a terra. E sappiate che su quelle tovaglie essi ricevono sicuri di grandi colpi, e perciò le portano essi quando vanno in battaglia, e sono intortigliate l’una sull’altra molto dura ed artatamente. Allora un altro Saracino pensò calare un gran fendente di sua spada turchesca sul Cavaliere, ma questi seppe tanto ischiancirsi che il colpo non lo attaccò mica; ed in vece al ritorno che fece il Saracino, il Cavaliero gli abbandonò di forza un manrovescio della sua grossa spada per mezzo il braccio, che gli fece volare a terra la scimitarra, e così potè egli finalmente ammenare la sua gente da piè. Questi tre bei colpi fece il Cavalier Genovese davanti il Signore d’Assur, e davanti li grandi personaggi d’Acri, i quali erano montati sulle mura per vedere quelle genti. Dopo ciò si partirono li Saracini dinanzi ad Acri, e perciò che essi udirono che il Re faceva asserragliare Saetta, e ch’elli avea seco poco di buona gente d’arme, tirarono a quella parte. E quando il Re seppene la novella, per ciò ch’elli non avea mica la possanza di resistere contro di loro, si ritirò col Maestro degli Ingegnieri, e il più di gente che potè capirvi dentro il girone del castello di Saetta, il quale era bene affortito e ben chiuso. Ma guari non ci entrò di gente perchè il mastio incastellato era troppo picciolo e stretto, sicchè molti rimasero nelle borgora aperte. E tantosto li Saracini arrivarono ed entrarono in quelle borgora là dove non trovarono nulla difesa, perchè le non erano ancora accompite di chiudersi, e [p. 215 modifica]vi uccisero ben due mila sergenti e bagaglioni dell’oste nostra, e poi quand’ebbero ciò fatto e messo il caseggiato in preda e ruina se ne andarono a Damasco.

Quando il Re vide che i Saracini aveano tutta abbattuta e disertata Saetta ne fu molto dolente, ma egli non lo poteva ammendare: ed i Baroni del paese allo ’ncontro ne furono ben gioiosi. E la ragione era per ciò che ’l Re voleva appresso ciò, andare ad asserragliare un colle là ove di già ci solea avere un castello del tempo de’ Macabei. E sedeva quel vecchio castellare in sulla via che da Giaffa mena in Gerusalemme, e per ciò ch’egli era bene a cinque leghe lungi dal mare, i Baroni si discordavano a che egli fusse rimurato e chiuso, per ciò ch’essi dicevano, e dicevano bene il vero, che giammai non l’avrebbono potuto vittovagliare, senza che i Saracini ne togliessero a forza la vittuaria, per ciò che essi erano i più forti entro terra. E per ciò rimostrarono i Baroni al Re, che gli valeva molto meglio e più gli era a onore, il rifare ed acchiudere Saetta che lo andare ad imprendere un novello edifizio sì lungi dal mare: ed a ciò s’accordò il Re, tuttocchè di mal cuore.