La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte prima/Capitolo VII

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La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda IncludiIntestazione 7 aprile 2020 75% Da definire

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Capitolo VII.

Come ’l buon Re sapesse all’uopo difendere i laici da oltraggio, e come fusse leale e fino guardatore di giustizia e di pace.


Io vidi una giornata che tutti li Prelati di Francia si trovarono a Parigi per parlare al buon San Luigi, e fargli una richiesta, e quando egli lo seppe, si rese al Palazzo per là udirli di ciò che essi volevan dire. E quando tutti furono assembrati, si fu il Vescovo Guido d’ Auserre, che fu figliuolo di Monsignor Guglielmo di Melot, il quale cominciò a dire al Re per lo congedo e commune [p. 23 modifica]assentimento di tutti gli altri Prelati: — Sire, sappiate che tutti questi Prelati, i quali qui sono in vostra presenza, mi fanno dire che voi lasciate perdere tutta la Cristianità, e ch’ella si perde entro vostre mani. — Allora il buon Re si segnò della Croce, e disse: Vescovo, or mi dichiarate come egli si fa e per quale ragione. — Sire, seguitò il Vescovo, egli è per ciò che l’uomo non tiene più conto delle scommuniche: perchè oggidì un uomo amerebbe meglio morire tutto iscommunicato, che di farsi assolvere, nè vuol nudamente dare soddisfazione alla Chiesa. Pertanto, Sire, elli vi richiedono tutti a una voce, per Dio e perchè cosi dovete farlo, ch’egli vi piaccia commandare a tutti i vostri Bailivi, Prevosti ed altri amministratori di giustizia, che, ove egli sia trovato alcuno in vostro Reame, il quale sarà stato un anno e uno giorno continuamente iscommunicato, ch’essi il costringano a farsi assolvere col mezzo dell’apprensione de’ beni. E il Sant’uomo rispose che molto volentieri il commanderebbe fare di coloro che si trovassono essere tortosi ed iniqui verso la Chiesa ed il prossimo. A che il Vescovo, soggiunse ch’e’ non apparteneva a’ laici a conoscere di loro causa. Ma a ciò rispose il Re ch’egli non farebbe altramente; e diceva che ciò sarebbe contro Dio e Ragione ch’egli facesse costrignere a farsi assolvere coloro, a chi i Cherici per avventura facessero torto, sì che non potessero essere uditi in loro buon diritto. E di ciò loro donò esempio del Conte di Brettagna, il quale per sette anni ha piatito contro i Prelati di Brettagna, [p. 24 modifica]tuttochè scommunicato, e finalmente ha sì ben condotto e menato sua causa, che il nostro Santo Padre il Papa li ha condannati inverso il medesimo Conte. Per che, seguitava dicendo, se dal primo anno io avessi voluto costringere esso Conte a farsi assolvere, avrebbe egli dovuto lasciare a que’ Prelati contro ragione ciò ch’essi gli domandavano oltre suo volere; il che facendo avrei io grandemente misfatto in verso Dio ed in verso il detto Conte di Brettagna. Appresso le quali cose udite per tutti que’ Prelati, loro convenne satisfarsi della buona risposta del Re, sicché non udii più anche che ne fosse parlato o dimandato pel tempo avvenire.

La pace ch’egli fece col Re d’Inghilterra fu contra la volontà di tutto suo Consiglio, il quale dicevagli: — Sire, egli ci sembra che voi facciate un gran male al vostro Reame de la terra che voi donate e lasciate a questo Re, e ben ci sembra ch’egli non ci ha alcun diritto per ciò che suo padre la perdè per appensato giudicamento. — A che rispose il buon Re ch’egli sapeva bene come ’l Re d’Inghilterra non ci avesse nessun diritto, ma, diceva egli, che a buona causa egli bene doveva donargliela, poiché soggiungeva: Noi due abbiamo ciascuno l’una delle due sorelle a donna, donde i nostri figliuoli ne sono cugini germani: egli si conviene dunque che tra noi sia pace ed unione: ed egli anche m’è grato di aver fatto in così la pace col Re d’Inghilterra, per ciò ch’egli è al presente mio uomo ligio, ciò che non era punto davante. [p. 25 modifica] Finalmente la grande lealtà del Re fu assai conosciuta nel fatto di Monsignor Rinaldo di Tria, il quale apportò a quel sant’uomo talune lettere patenti, per le quali dicevasi ch’elli avea donato agli eredi della Contessa di Bologna (la quale non ha guari tempo era morta) la Contea di Dammartino. Ora su tali lettere il suggello del Re ch’altra fiata c’era stato, era tutto rotto ed infranto, sicchè di detto suggello non ci avea più che la metà delle gambe della imagine del Re e lo sgabello sul quale essa imagine tenea li piedi. Ora il Re mostrò le dette lettere a noi che eravamo di suo consiglio, per consigliarlo sopra ciò. E tutti fummo d’opinione che ’l Re non era tenuto a mettere in esecuzione quelle lettere esautorate, e che per ciò gli eredi non doveano gioire di quel Contado. Ma egli, pur dubitando, appellò tantosto Giovanni Saracino suo Ciambellano, e gli disse che gli apportasse una lettera patente che innanzi gli avea commandato fare. E quando egli ebbe la lettera veduta, riguardò attentamente al suggello che vi era ed al rimanente del suggello delle lettere del detto Rinaldo, e ci disse: — Signori, vedete qui il suggello del quale io usava innanzi la partenza pel mio viaggio d’oltremare, e vedrete anche che questa rimanenza di suggello rassomiglia a punto all’impressione del suggello intero, per che non oserò io, secondo Dio e Ragione, ritenere la suddetta Contea di Dammartino. Ed allora appellò il nominato Monsignor Rinaldo di Tria, e gli disse: Bel Sire, io vi rendo la Contea che voi dimandate.