La scienza nuova seconda/Libro primo/Sezione terza

Libro primo - Sezione terza - De' princìpi

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[SEZIONE TERZA]

DE’ PRINCÌPI

330Ora, per fare sperienza se le proposizioni noverate finora per elementi di questa Scienza debbano dare la forma alle materie apparecchiate nel principio sulla Tavola croriologica, preghiamo il leggitore che rifletta a quanto si è scritto d’intorno a’ principi di qualunque materia di tutto lo scibile divino ed umano della gentilitá, e combini se egli faccia sconcezza con esse proposizioni, o tutte o piú o una; perché tanto si è con una quanto sarebbe con tutte, perché ogniuna di quelle fa acconcezza con tutte. Ché certamente egli, faccendo cotal confronto, s’accorgerá che sono tutti luoghi di confusa memoria, tutte immagini di mal regolata fantasia, e niun essere parto d’intendimento, il qual è stato trattenuto ozioso dalle due borie che nelle Degnitá noverammo. Laonde, perché la boria delle nazioni, d’essere stata ogniuna la prima del mondo, ci disanima di ritruovare i principi di questa Scienza da’ filologi; altronde la boria de’ dotti, i quali vogliono ciò ch’essi sanno essere stato eminentemente inteso fin dal principio del mondo, ci dispera di ritruovargli da’ filosofi. Quindi, per questa ricerca, si dee far conto come se non vi fussero libri nel mondo.

331Ma, in tal densa notte di tenebre ond’è coverta la prima da noi lontanissima antichitá, apparisce questo lume eterno, che non tramonta, di questa veritá, la quale non si può a patto alcuno chiamar in dubbio: che questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i princípi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana. [p. 118 modifica] Lo che, a chiunque vi rifletta, dee recar maraviglia come tutti i filosofi seriosamente si studiarono di conseguire la scienza di questo mondo naturale, del quale, perché Iddio egli il fece, esso solo ne ha la scienza; e traccurarono di meditare su questo mondo delle nazioni, o sia mondo civile, del quale, perché l’avevano fatto gli uomini, ne potevano conseguire la scienza gli uomini. Il quale stravagante effetto è provenuto da quella miseria, la qual avvertimmo nelle Degnitá, della mente umana, la quale, restata immersa e seppellita nel corpo, è naturalmente inchinata a sentire le cose del corpo e dee usare troppo sforzo e fatiga per intendere se medesima, come l’occhio corporale che vede tutti gli obbietti fuori di sé ed ha dello specchio bisogno per vedere se stesso.

332Or, poiché questo mondo di nazioni egli è stato fatto dagli uomini, vediamo in quali cose hanno con perpetuitá convenuto e tuttavia vi convengono tutti gli uomini, perché tali cose ne potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere d’ogni scienza, sopra i quali tutte [le nazioni] sursero e tutte vi si conservano in nazioni.

333Osserviamo tutte le nazioni cosí barbare come umane, quantunque, per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lontane, divisamente fondate, custodire questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matrimoni solenni, tutte seppelliscono i loro morti; né tra nazioni, quantunque selvagge e crude, si celebrano azioni umane con piú ricercate cerimonie e piú consagrate solennitá che religioni, matrimoni e seppolture. Ché, per la degnitá che «idee uniformi, nate tra popoli sconosciuti tra loro, debbon aver un principio comune di vero», dee essere stato dettato a tutte: che da queste tre cose incominciò appo tutte l’umanitá, e per ciò si debbano santissimamente custodire da tutte perché’l mondo non s’infierisca e si rinselvi di nuovo. Perciò abbiamo presi questi tre costumi eterni ed universali per tre primi principi di questa Scienza.

334Né ci accusino di falso il primo i moderni viaggiatori, i quali narrano che popoli del Brasile, di Cafra ed altre nazioni [p. 119 modifica] del mondo nuovo (e Antonio Arnaldo crede lo stesso degli abitatori dell’isole chiamate Antille) vivano in societá senza alcuna cognizione di Dio; da’ quali forse persuaso, Bayle afferma nel Trattato delle comete che possano i popoli senza lume di Dio vivere con giustizia; che tanto non osò affermare Polibio, al cui detto da taluni s’acclama: che, se fussero al mondo filosofi, che ’n forza della ragione non delle leggi vivessero con giustizia, al mondo non farebber uopo religioni. Queste sono novelle di viaggiatori, che proccurano smaltimento a’ loro libri con mostruosi ragguagli. Certamente Andrea Rudigero nella sua Fisica magnificamente intitolata divina, che vuole che sia l’unica via di mezzo tra l’ateismo e la superstizione, egli da’ censori dell’universitá di Genevra (nella qual repubblica, come libera popolare, dee essere alquanto piú di libertá nello scrivere) è di tal sentimento gravemente notato che «’l dica con troppo di sicurezza», ch’è lo stesso dire che con non poco d’audacia. Perché tutte le nazioni credono in una divinitá provvedente, onde quattro e non piú si hanno potuto truovare religioni primarie per tutta la scorsa de’ tempi e per tutta l’ampiezza di questo mondo civile: una degli ebrei, e quindi altra de’ cristiani, che credono nella divinitá d’una mente infinita libera; la terza de’ gentili, che la credono di piú dèi, immaginati composti di corpo e di mente libera, onde, quando vogliono significare la divinitá che regge e conserva il mondo, dicono «deos immortales»; la quarta ed ultima de’ maomettani, che la credono d’un dio infinita mente libera in un infinito corpo, perché aspettano piaceri de’ sensi per premi nell’altra vita.

335Niuna credette in un dio tutto corpo o pure in un dio tutto mente la quale non fusse libera. Quindi né gli epicurei, che non dánno altro che corpo e, col corpo, il caso, né gli stoici, che dánno Dio in infinito corpo infinita mente soggetta al fato (che sarebbero per tal parte gli spinosisti), poterono ragionare di repubblica né di leggi, e Benedetto Spinosa parla di repubblica come d’una societá che fusse di mercadanti. Per lo che aveva la ragion Cicerone, il qual ad Attico, perch’egli era epicureo, diceva non poter esso con lui ragionar delle leggi, se [p. 120 modifica] quello non gli avesse conceduto che vi sia provvedenza divina. Tanto le due sètte stoica ed epicurea sono comportevoli con la romana giurisprudenza, la quale pone la provvedenza divina per principal suo principio!

336L’oppenione poi ch’i concubiti, certi di fatto, d’uomini liberi con femmine libere senza solennitá di matrimoni non contengano niuna naturale malizia, ella da tutte le nazioni del mondo è ripresa di falso con essi costumi umani, co’ quali tutte religiosamente celebrano i matrimoni e con essi diffiniscono che, ’n grado benché rimesso, sia tal peccato di bestia. Perciocché, quanto è per tali genitori, non tenendogli congionti niun vincolo necessario di legge, essi vanno a disperdere i loro figliuoli naturali, i quali, potendosi i loro genitori ad ogni ora dividere, eglino, abbandonati da entrambi, deono giacer esposti per esser divorati da’ cani; e, se l’umanitá o pubblica o privata non gli allevasse, dovrebbero crescere senza avere chi insegnasse loro religione, né lingua, né altro umano costume. Onde, quanto è per essi, di questo mondo di nazioni, di tante belle arti dell’umanitá arricchito ed adorno, vanno a fare la grande antichissima selva per entro a cui divagavano con nefario ferino errore le brutte fiere d’Orfeo, delle qual’i figliuoli con le madri, i padri con le figliuole usavano la venere bestiale. Ch’è l’infame nefas del mondo eslege, che Socrate con ragioni fisiche poco propie voleva pruovare esser vietato dalla natura, essendo egli vietato dalla natura umana, perché tali concubiti appo tutte le nazioni sono naturalmente abborriti, né da talune furono praticati che nell’ultima loro corrozione, come da’ persiani.

337Finalmente, quanto gran principio dell’umanitá sieno le seppolture, s’immagini uno stato ferino nel quale restino inseppolti i cadaveri umani sopra la terra ad esser ésca de’ corvi e cani; ché certamente con questo bestiale costume dee andar di concerto quello d’esser incolti i campi nonché disabitate le cittá, e che gli uomini a guisa di porci anderebbono a mangiar le ghiande, còlte dentro il marciume de’ loro morti congionti. Onde a gran ragione le seppolture con quella espressione sublime «foedera generis humani» ci furono diffinite e, con minor [p. 121 modifica] grandezza, «humanitatis commercia» ci furono descritte da Tacito. Oltrecché, questo è un placito nel quale certamente son convenute tutte le nazioni gentili: che l’anime restassero sopra la terra inquiete ed andassero errando intorno a’ loro corpi inseppolti, e ’n conseguenza che non muoiano co’ loro corpi, ma che sieno immortali. E che tale consentimento fusse ancora stato dell’antiche barbare, ce ne convincono i popoli di Guinea, come attesta Ugone Linschotano; di quei del Perú e del Messico, Acosta, De indicis; degli abitatori della Virginia, Tommaso Aviot; di quelli della Nuova Inghilterra, Riccardo Waitbornio; di quelli del regno di Sciam, Giuseffo Scultenio. Laonde Seneca conchiude: «Quum de immortalitate loquimur, non leve momentum apud nos habet consensus hominum aut timentium inferos aut colentium: hac persuasione publica utor».