La scienza nuova seconda/Brani soppressi o mutati/Libro quarto/Sezione decimaquarta
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SEZIONE DECIMAQUARTA
CAPITOLO PRIMO
1383[1025] E finalmente come da’ funesti sospetti delle aristocrazie, per gli bollori delle repubbliche popolari, vanno finalmente le nazioni a riposar sotto le monarchie. [CMA3] E, se ben si rifletta sulla storia universale, si osserverá che le monarchie non mai si fondarono e stabilirono senonsé dopo lunghe e grandi guerre civili de’ popoli.
1384[1026] Tutto il ragionato in questo libro è propio di questa Scienza, prima e principalmente per l’aspetto ch’ella ha di storia ideal eterna, sopra la quale corrono in tempo le storie di tutte le nazioni ne’ loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini; la quale, come da’ suoi particolari principi, si avrá tutta spiegata e ferma sulle degnitá [CMA3] lxvi, lxvii, lxviii e particolarmente la lxxx, la xciv, xcv e xcvi, [SN2] dalle quali, come sue sorgive, deesi richiamare. Dipoi, come in conseguenza di tal istoria ideal eterna questa Scienza ha l’aspetto di sistema del diritto natural delle genti, esce, come da semenze le frutte, dalle degnitá [CMA3] cv fin alla cxiv, [SN8] ch’è l’ultima. Sulle quali si rincontrino le cose che qui se ne dicono, e si vedrá dimostrato ch’i romani, i quali con essi umani costumi si fecero condurre dalla divina provvedenza, acconciamente a tal pubblica loro pratica diffinirono nella teorica delle loro leggi, come ogniun sa, «ius naturale gentium divina providentia constitutum». La qual, principalmente con essi romani costumi, l’abbiamo per tutta quest’opera, e particolarmente in questo libro, ragionata. Che Grozio non fece, il qual, per troppo affetto ch’egli ebbe alla veritá, professa il suo sistema reggere anco precisa ogni cognizione di Dio (del qual diritto non può reggere niun sistema, se non comincia dalla cognizione d’un Dio provvedente); — Seldeno la suppone; — Pufendorfio non ne ragiona con gravitá, perché l’incomincia da un’ipotesi epicurea dell’uomo gittato in questo mondo senza niuna cura ed aiuto di Dio; — e per la boria de’ dotti han creduto tutti e tre di concerto che le genti, perdute nell’error della colpa, osservato avessero coi costumi un diritto naturale comune con gli ebrei, ch’eran illuminati dal vero Dio, ed avesserlo inteso co’ filosofi, che, dopo lungo tempo fondate le nazioni, furono schiariti in parte de’ lumi dell’universal eterna giustizia.
CAPITOLO SECONDA
1385[1034]. [CMA3] «per sonori», il qual verbo congetturiamo aver significato dapprima «vestir pelli di fiere uccise», com’Ercole vestiva quella del lione. Lo che non era lecito ch’a soli eroi, perch’essi soli, com’abbiam sopra detto, avevano il diritto dell’armi; ond’ancor oggi in Lamagna, nazion eroica, non è ad altri lecita la caccia ch’a soli nobili. E n’è rimasto certamente il verbo compagno «opsonari», che dovette dapprima significare «cibarsi di carne salvaggine cacciate», detto cosí da Opi, dea della forza, a cui dovevano innanzi consegrare le fiere che bramavano uccidere, nel tempo che credevano ch’ogni cosa facesser gli dèi, come si è appieno sopra dimostrato. Laonde, come dovettero le prime mense opime esser queste dove s’imbandivano tali carni, che facevano tutta la lautezza delle cene eroiche, quali appunto le descrive Virgilio; e poi, passando il pregio da’ cibi a’ pesci, i quali oggi rendono sontuose le tavole de’ grandi, restò «opsonari» per «comperar pesci», come l’avvertono i latini gramatici; — cosí «personari» dovett’essere «vestir pelli di fiere uccise», e ’n conseguenza queste dovetter essere le prime spoglie opime, che riportarano dalle prime guerre gli eroi, le quali prime essi fecero con le fiere per difenderne sé e le loro famiglie, come abbiamo sopra ragionato, e poi se ne dissero «spoglie opime» quelle degli re uccisi in guerra da’ romani re o da’ consoli, ch’eran appese in voto a Giove Feretrio nel Campidoglio.
1386[1037] Ma, venuti finalmente i tempi umani delle repubbliche popolari..... le ragioni astratte dell’intelletto ed universali si dissero indi in poi «consistere in intellectu iuris». E della mente de’ popoli legislatori [CMA3] (e seti rida pure il celebratissimo giureconsulto di Arnoldo Vinnio, perch’egli non può intendere questi sublimi e finor seppelliti principi di legal metafisica) si fece una platonica idea, detta «intellectus iuris», alla qual idea la volontá de’ cittadini si debbe conformare, acciocché ella sia, per dirla co’ dottori, «investita» e, piú propiamente co’ filosofi, «informata» del diritto. Il qual intelletto è appunto la mente d’eroe scevera di passioni, la quale divinamente Aristotile diffinisce la buona legge; perché in cotal intelletto consiste il gius, che non ha punto di corpolenza, dalla quale vengono alla mente le passioni; e quivi consistono tutti que’ diritti che non hanno corpo, dov’essi si esercitino, quali si chiamano «nuda iura», diritti nudi [di] corpolenza, e si dicono «in intellectu iuris consistere». Cosí i romani giureconsulti in forza di essa giurisprudenza, i cui principi richiamavano dalla provvedenza divina, sentirono ciò che Platone in forza d’una sublime metafisica, nella quale dimostra la provvedenza, intese dell’idee eterne: che, perocché i diritti sono modi di sostanza spirituale, perciò son individui, perché la divisibilitá è propia de’ corpi, e, perocché son individui, son quindi eterni, perché la correzione non è altro che la division delle parti.