La santa alleanza dei popoli (Mazzini)/La santa alleanza dei popoli/VI
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VI.
Noi tutti, quanti siamo uomini di progresso e di fede nella vita collettiva dell’umanità, concordiamo su questo. E concordiamo sovr’altro.
Noi tutti, crediamo nel progresso come legge provvidenziale data, in un colle forze necessarie a eseguirla, da Dio all’umanità, nell’associazione come in suo mezzo, nello sviluppo armonico di tutte le facoltà umane, morali, intellettuali e fisiche, come in suo fine. Noi tutti crediamo nel popolo, come solo e continuo interprete di questa legge. Noi tutti dichiariamo spenta per sempre la vecchia autorità. Non ammettiamo che il governo dell’umanità o della nazione possa collocarsi per caso, privilegio o trasmissione ereditaria, in uno o più individui: vogliamo a guide nel nostro pellegrinaggio i migliori per senno e per core: vogliamo, perchè alla lotta sottentri armonia di fiducia tra governati e governo, che il voto popolare li riconosca tali, e li accetti capi. La repubblica è la forma logica della democrazia.
Cerchiamo che gli uomini migliorino moralmente, e si inalzino viepiù sempre al concetto dell’ideale prefisso all’intelletto dell’universo e di Dio, all’amore, alla potenza che traduce l’amore in atti. E perchè questo accada, cerchiamo che ogni uomo trovi educazione nella società dove vive. E perchè non è possibile educazione, dove la miseria vieta all’uomo il giovarsene, dove l’ineguaglianza la corrompe dalla sorgente, noi vogliamo combattere ineguaglianza e miseria: inammessibile la prima, e colpevole in faccia a Dio, tranne quella dell’ingegno, che viene da lui, e delle opere buone, che constituiscono il merito della creatura: inammessibile la seconda, quando non scenda da colpa, e allora vuole essere punita. L’individuo deve il suo lavoro alla società: la società deve all’individuo il pane dell’anima e quello del corpo: educazione e mezzi perch’ei lavori.
Sacro è per noi l’individuo; sacra la società. Noi non intendiamo cancellare l’uno a profitto dell’altra, e fondare una tirannide collettiva: nè intendiamo ammettere i diritti del primo come indipendenti dalla società, e condannarci a una perpetua anarchia. Noi cerchiamo il modo di equilibrare in bella armonia le opere della libertà e quelle dell’associazione. La vita è per noi una missione: il perfezionamento della nazione, e, per suo mezzo dell’umanità, è l’intento: la scelta dei mezzi, a seconda delle vocazioni particolari, è campo di libertà all’individuo.
Santi e inviolabili nella loro essenza sono per noi tutti, apostoli della vera democrazia, gli elementi perpetui della umana attività, della vita: famiglia, patria, proprietà, religione: ma santo si è pure, e anzi tutto, il progresso, elemento primo e legge eterna alla vita. Non uno di quegli elementi può o deve abolirsi: tutti devono con progresso pacifico trasformarsi e dirizzarsi meglio allo scopo. E di questo ci è maestra e mallevadrice l’istoria. La famiglia degli antichi giureconsulti romani non è la famiglia del cristianesimo: la proprietà dei tempi feudali non somiglia la proprietà dei tempi moderni, come escì dalle rivoluzioni compite tra il finire del secolo xviii e i cominciamenti del xix. Famiglia e proprietà si trasformeranno nell’avvenire. La famiglia migliorata più sempre dall’uguaglianza e dalla influenza dell’educazione nazionale, diventerà santuario dove s’inizieranno cittadini alla patria, come la patria darà cittadini all’umanità. La proprietà accessibile a tutti, conseguenza e segno di un lavoro compito, rappresenterà l’individuo umano nelle sue relazioni coll’universo materiale, come il pensiero lo rappresenta nelle sue relazioni coll’universo morale. E la religione, suprema formula sintetica d’educazione ad un’epoca dell’umanità, darà impulso, sanzione e benedizione ad ogni progresso sociale. Oggi mercè i governi abbiamo uno famiglia troppo sovente catedra d’egoismo ai giovinetti crescenti, una proprietà che è segno di monopolio, una religione che oscilla fra il paganesimo e l’ipocrisia1.
Note
- ↑ Mi prendo la libertà di apporre una nota a questo magnifico scritto onde qualche ipocrita non possa uscir fuori collo spauracchio del Comunismo. Dicendo che la proprietà debb’essere trasformata ed accessibile a tutti e non più segno di monopolio, l’illustre autore non intende ch’essa abbia a venir tolta a chi la possiede e spartita fra chi non l’ha. Questa è calunnia che sta bene soltanto in bocca dei papalini e dei realisti. Ma ha non ciò significato che le leggi sulla proprietà debbono essere migliorate, e che queste nuove leggi sociali impedendo le grandi accumulazioni di ricchezze, sia regolando meglio le successioni, sia togliendo tanti vincoli assurdi e dannosi ai più, sia vigilando perchè spogliamenti non nascano e il monopolio non possa impunemente esercitarsi, sia in ogni altro onesto modo, facciano la proprietà premio del lavoro e non dell’ozio, la facciano seguace della saviezza e non della imbecillità, frutto e scala a virtù non alimento di ozio, ministra di corruzione. A questo patto chi non vorrà essere socialista, che vuol dire partigiano delle riforme sociali? Intendiamoci bene. Non si vuol toglier nulla a nessuno. Dunque chi vuol troppo arricchire togliendo ad altri ciò che non deve avere, impone ogni norma di equità che sia frenato nella sua avidità immorale. Noi chiediamo l’applicazione delle sante leggi di giustizia e non altro.
(Nota dell’Editore.)