<dc:title> La rivoluzione di Napoli nel 1848 </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Ferdinando Petruccelli della Gattina</dc:creator><dc:date>1850</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_rivoluzione_di_Napoli_nel_1848/33._L%27indomani_della_Vittoria&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20240419165725</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_rivoluzione_di_Napoli_nel_1848/33._L%27indomani_della_Vittoria&oldid=-20240419165725
La rivoluzione di Napoli nel 1848 - 33. L'indomani della Vittoria Ferdinando Petruccelli della GattinaPetruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu
[p. 119modifica]33. Perciò egli, re Ferdinando, dovette cominciare dal sorridere ed attaccarsi a due uomini che detestava e disprezzava, detestevoli e disprezzevoli fra quanto di più immondo produceva il paese, Bozzelli e Ruggiero. L’uno ebbesi il ministero dell’interno, l’altro quello delle finanze. Lo stato di assedio fu proclamato: la camera e la guardia nazionale disciolta: una commissione di scrutinio creata: il disarmamento della città imposto: gran numero di funzionarii pubblici proscritti: gli agenti e la forza della polizia accresciuti: mandati di arresto per migliaia di cittadini scritti sulle liste e condannati da lungo tempo, segnati: l’assassinio del Saliceti ordinato e tentato, come quello del Santilli erasi già consumato. L’effetto che Napoli produceva sull’anima all’indomani è indescrivibile. La luce lieta del sole che nei giorni precedenti dilettavasi ad abbellirla, vi cadeva sbianchita, solitaria, come sull’arena del deserto dopo che il simoun vi è passato. Un popolo [p. 120modifica]naturalmente gaio e fragoroso era scomparso. Lo squallore, il terrore svolazzavano per l’atmosfera e l’agghiacciavano. A tutte le finestre vedevansi sciorinati bianchi lenzuoli, il che serviva ad isfuggire più completa rovina. E quei bianchi drappi lievemente dal vento agitati, come stendardi di lutto, davano alle strade, ingombre di avanzi che bruciavano ancora, ingombre di cadaveri, di rottami di ricca mobiglia, davano un aspetto più lurido e più orrendo. Era una protesta tacita, ma mortale. — Uno stuolo di plebe lacera, ignuda, scalza, avvinata, correva da per tutto, preceduta da un cencio bianco benedetto da D. Placido, il tristo Santone che parla ogni notte con San Luigi Gonzaga e con la Madonna, ed all’indomani racconta il soggetto della conversazione alla plebaglia. Questa, armata ed inanimita nel dì precedente da lui, per suo consiglio percorreva adesso le strade al solito grido di viva il re, e morte ai liberali, e recavasi alla chiesa del Gesù vecchio a cantare un Tedeum. Gruppi di soldati poi che da trionfatori percorrevano le vie: carri funebri che conducevano ai cimiteri i cadaveri dei militari e lasciavano esposti ai cani quelli dei cittadini: uomini della polizia o domestici che restituivano le armi domandate ai quartieri: qualche raro borghese che il capo giù, rasente il muro, e pallido e tremante andava a richiedere di alcuno dei suoi, cui non sapeva se ancora vivesse, perchè a casa non era tornato: le botteghe o chiuse o scassinate e derubate: molti palazzi anneriti dal fumo e picchiettati di palle come un volto è butterato dal vaiuolo: qualche tristo infine, che con un fiore bianco all’occhiello dell’abito, sorridente e soddisfatto passeggiava lentamente, insultando il pub[p. 121modifica]blico lutto, e distribuendo evviva ai soldati; gli elementi i più impuri in una parola esposti alla luce come i rospi che vengon fuori dopo la pioggia che infanga le vie; tale era l’aspetto della misera capitale, e tali gli uomini che ci si mostravano all’indomani della catastrofe. Al cadere del giorno quei gruppi stessi, più ebbri e più sfrenati ancora, andavan cantando, ed imponevano minacciosi ai cittadini d’illuminare le finestre. Qualcuno cesse alla paura ed obbedì: ma i più sfidarono il pericolo, e non lordarono il pubblico dolore con la manifestazione di un gaudio, che da ogni anima onesta e pietosa era lontano. Il re la mattina aveva percorso a cavallo i quartieri del popolo, in mezzo dei suoi soldati, come un trionfatore che va al Campidoglio, ed aveva dispensati doni, sorrisi, e strette di mano. La sera non ebbe il pudore d’impedire che la sua magione fosse illuminata. I deputati potettero in parte uscire dalla città e ritornare in provincia: parte, uniti ad un gran numero di cittadini, cercarono asilo su i vascelli francesi, e l’ebbero. L’ammiraglio Baudin che non aveva voluto arrestare il delitto, ed aveva anzi contenuto il fremito dell’equipaggio, il quale ardeva difendere i compatriotti ed i democratici napolitani, l’ammiraglio Baudin sentì i danni ed il dolore dei vinti e cercò alleviarli. Lo stesso Levraud che in sua casa aveva ricoverati molti liberali, si studiò del pari a salvarli e gli accompagnò di persona alle navi. Dopo di che parte di coloro erano condotti a Malta ed altri a Civitavecchia. Levraud intanto accusato contemporaneamente da Baudin e dal re di Napoli, denunziato per mezzo di Winspeare di aver favorita la rivoluzione, fu dal ministro Bastide vigliaccamente [p. 122modifica]abbandonato, sì che il Levraud presentò la sua dimissione e si ritirò, lasciando carissima memoria di sè alle famiglie di coloro che aveva salvi, ai francesi che trovavansi in Napoli ed a tutti quelli che sentono amor di patria e di libertà.