Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/125

di fango, senza prestigio alcuno, senza forza vera, senza pace, senza lieto sorriso nel fondo dell’orizzonte, senza perdono, ignari e spaventati del come quell’atto di delirio sarebbe stato accolto nel resto della nazione, e dall’Europa libera. Quella gioia officiale era un supplizio, una corona di sopra un cadavere. Temperata la prima febbre di gaudio, la vittoria li spaventava quasi. Avrebbero voluto potersi arrestare; ma una fatalità inesorabile li incalzava e diceva loro: avanti, avanti: consumate intero il calice che vi avete apprestato; vedetene il fondo. Il fermarsi era per loro la ruina: il continuare era qualche cosa di peggio ancora, era il dubbio. Ma di continuare faceva pure mestieri.


* *


33. Perciò egli, re Ferdinando, dovette cominciare dal sorridere ed attaccarsi a due uomini che detestava e disprezzava, detestevoli e disprezzevoli fra quanto di più immondo produceva il paese, Bozzelli e Ruggiero. L’uno ebbesi il ministero dell’interno, l’altro quello delle finanze. Lo stato di assedio fu proclamato: la camera e la guardia nazionale disciolta: una commissione di scrutinio creata: il disarmamento della città imposto: gran numero di funzionarii pubblici proscritti: gli agenti e la forza della polizia accresciuti: mandati di arresto per migliaia di cittadini scritti sulle liste e condannati da lungo tempo, segnati: l’assassinio del Saliceti ordinato e tentato, come quello del Santilli erasi già consumato. L’effetto che Napoli produceva sull’anima all’indomani è indescrivibile. La luce lieta del sole che nei giorni precedenti dilettavasi ad abbellirla, vi cadeva sbianchita, solitaria, come sull’arena del deserto dopo che il simoun vi è passato. Un popolo