<dc:title> La rivoluzione di Napoli nel 1848 </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Ferdinando Petruccelli della Gattina</dc:creator><dc:date>1850</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_rivoluzione_di_Napoli_nel_1848/34._La_spedizione_si_revoca&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20240419165745</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_rivoluzione_di_Napoli_nel_1848/34._La_spedizione_si_revoca&oldid=-20240419165745
La rivoluzione di Napoli nel 1848 - 34. La spedizione si revoca Ferdinando Petruccelli della GattinaPetruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu
[p. 122modifica]34. Il re ed il suo governo, che per quel fatto avevano compiutamente rotto con la nuova Italia e con i principii nuovi, vollero consacrarne la scissione nella maniera la più impudente. La prima deliberazione del nuovo ministero fu quella di richiamare la flotta dalle acque venete, ed il corpo di spedizione già prossimo a passare il Po ed entrare in campagna. Un commissario con gli ordini del re fu inviato a Bologna. Io non entro nei particolari di questo tradimento perchè sarà questo un episodio della storia di Venezia, che il general Pepe scrive: lascio a lui raccontarla. Solamente accenno che la sensazione della catastrofe del 15 maggio era stata grave nell’esercito: che dei partiti vi si erano formati: che il dolore e l’esecrazione fu quasi unanime. Se un generale che avesse avuta la fede intera di quella gente, degli uffiziali come dei soldati, fosse stato lì a comandarli, e loro avesse proposto passare incontanente sul terreno nemico, lo ripeto, e mi sento quasi la forza di asseverarlo, nessuno o pochissimi sarebbonsi rifiutati. Guglielmo Pepe non potette riunire che pochi generosi, da lunghi anni preparati a libertà, ed alla religione d’Italia devoti anche prima di conoscerlo. La massa aveva bisogno di essere riscaldata, anzi iniziata nel sacramento della libertà e dell’indipendenza italiana: la massa aveva bisogno di udire una parola persuasiva, affettuosa, amica; trovò freddezza, e se non orgoglio, la riservatezza di uno straniero. Molti amor proprii erano stati gualciti, [p. 123modifica]molte delicatezze obliate. Quei soldati avvezzi al suono della voce del re come un cane a quella del padrone, temperati ad una natura novella con i principii dell’obbedienza cieca ai capi, ignari perfino che innanzi al dovere del soldato sta il diritto del cittadino, e che sopra il tristo villaggio natale, come una cattedrale superba, si eleva l’Italia; quei soldati furono sedotti dagli uffiziali. A costoro, in nome del re, larghe promesse facevansi dal commissario che li andava a chiamare. Ed essi, che erano in un numero maggiore, toccarono una corda la quale doveva avere un’eco infallibile nel cuore del soldato, quella di rientrare nella patria a vedere amici e parenti, di ritornare alla vita accostumata, ai luoghi già noti, agli aspetti più cari. I soldati cedettero: cedettero perchè essi non conoscevano quella ignota dell’Italia cui sentivano per la prima volta nominare, ma conoscevano troppo la patria, assuefatti a considerarla nel proprio paesello sotto il proprio campanile: cedettero, perchè le parole libertà e indipendenza per essi non avevano senso, mentre erano accostumati alla fascinazione di quest’altre: il re lo vuole: cedettero perchè le soavità della gloria erano un solletico impossente per chi avevano abituato a concentrare la delizia ed il dolore nell’ubbriachezza e nella fustigazione. Chi dunque non li perdonerebbe? Ma chi perdonerebbe ad uffiziali infami i quali in faccia al nemico che li provoca, voltano le spalle, e preferiscono di correre a consumare la guerra civile? I loro nomi sono noti, e basta. Sotto l’atmosfera dell’infamia si vive sì, ma si vive come una pianta del tropico sotto i poli, come sotto una campana pneumatica. Il colonnello Lahalle lo sentì, ed invece di obbedire a [p. 124modifica]Ferdinando si bruciò le cervella. Il general Pepe rinnovellò bravamente la risposta del visconte Dorte a Carlo IX e passò il Po. I pochi che lo seguirono hanno nobilmente rilevato l’onore della nazione. Il resto della spedizione ritornò accompagnato dalle maledizioni, dall’esecrazione, e dall’ingiuria di tutte le terre che attraversò: e ritornò a tempo per coronare la sua vergogna nella lotta cittadina che si era impegnata. L’ammiraglio de Cosa ritornò anch’esso dall’Adriatico e vane furono per arrestarlo e le rimostranze e le preghiere e le disdegnose proteste del Leopardi, che inviato a Torino plenipotenziario, ebbe onta di essere l’organo d’impuro e scellerato governo, e volse l’animo invece a persuadere la spedizione di italianamente condursi.