Questa Aracne d'amor
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XXIV
LA RICAMATRICE
A Francesco Sacchi
Questa Aracne d’amore,
che con dita maestre adopra l’ago
e con industre errore
prende accorta a fregiar drappo sí vago,
l’arteficio e ’l lavor sí ben comparte
ch’a natura fa scorno, invidia a l’arte.
Mentre il lino trapunge,
d’acute punte il cor ferir mi sento;
mentre insieme congiunge
e sposa a stami d’òr fila d’argento,
ne la testura sua pregiata ed alma
la prigione d’amor tesse a quest’alma.
Su l’ordita ricchezza
move l’agile man tanto spedita,
ch’a quell’alta prestezza
in lei folgori pensi esser le dita,
che fra tremoli rai d’argentei fiori
fan con gelidi lampi ardere i cori.
Su la rosa gentile,
ch’animata di fuor le ride in bocca,
il bell’ago sottile
pensosetta talor leggiadra incocca,
ed in quell’atto insidïosa e vaga,
sagittaria d’amor, gli animi impiaga.
Talor col puro dente,
per aggiungere un fil, l’altro recide,
e qual parca innocente
lo stame ancor de la mia vita incide,
e con alterni ed ordinati modi
mi stringe il cor fra quei minuti nodi.
Palla forse è costei,
ch’agli atti, a l’arti, a le maniere, al volto
ben somiglia colei,
ch’in bellezza e valor senno ha raccolto,
e qual donna immortal dal ciel venuta,
mostra in giovine etá mente canuta;
o la tenera Flora
su le tele a provar viene i suoi pregi,
che ricamando infiora
con groppi d’òr, con ingemmati fregi
e, di se stessa imitatrice, gode
schernire altrui con ingegnosa frode;
o, novella angioletta,
per dimostrar quegli artefici aurati
ha con industria eletta
i ricami del ciel qua giú traslati;
poi ch’a far sí bell’opre, ad altri ignote,
chi celeste non è, giunger non pote.