La poesia cavalleresca e scritti vari/Scritti vari/III. Pagine sparse/L' Ideale
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L’IDEALE
Comincio col dare il benvenuto a’ nostri amici e soci.
Ci siamo abbastanza riposati e divertiti. Oramai la villeggiatura è finita ed eccoci di ritorno a’ nostri cari ritrovi.
Noi questo anno vi offriamo una serie non interrotta di conferenze, in maniera che se ne abbia almeno una al mese, e cosí pure di letture e di conversazioni.
Per non tornare su questo particolare, vi annunzio fin da ora una prima lettura per la sera di giovedí 22, che sará fatta dall’onorevole nostro amico e socio prof. Persico intorno a una sua novella.
Mi ero proposto di farvi una conferenza, ed il piú difficile per me è stato trovarne il tema, l’argomento. Mi son messo per piú tempo a fantasticarvi su, e da ultimo, stanco, mi sono bruscamente interrotto, ed ho detto a me stesso: — Che cosa è ciò che mi spinge ad occuparmi tanto del Circolo filologico? che spinge tutti i soci a promuoverne l’incremento? — . E mi son subito risposto: — Tutto questo è quel sentimento del dovere che ci spinge a procurare il bene degli altri, il sentimento dell’ideale — .
E giunto a questo punto ho gridato anch’io: — Eureka — .
Ma l’uomo ha dentro di sé quasi un doppio uomo, quasi due persone, di cui una fa la baia all’altra. Epperò mi sono novellamente interrotto, e mi son detto: — Professore, come vi salta in mente di fare una conferenza sull’ideale? parlare dell’ideale in un tempo in cui tutto è reale? Voi correte il rischio di passare come un codino; o almeno come un uomo che vive nelle nuvole, nel regno della luna, mostrando d’ignorare che l’ideale è morto e sepolto — . Ebbene, mi si permetta almeno di farne l’orazione funebre. A me che ho avuto il doloroso compito di ricordare le virtú di molti cari amici estinti sulla loro tomba, non si vorrá negare di dire qualche parola su quella dell’ideale. L’ideale è stato il compagno della mia giovinezza e mi ha fatto tante volte battere il cuore: dicendone l’elogio, forse gli potrò implorare anche dai nemici un requiescat. Non vi nascondo che ho avuto nell’animo di fare questa orazione funebre non senza un segreto desiderio che, quando lo avremo accompagnato alla tomba, noi ci accorgeremo che esso è sempre vivo, anzi immortale.
L’ideale è morto, l’ideale è vivo.
Dunque, come si fa del morto, io mi domando: — Come è nato, quando è nato, come è vivuto, quando è morto, se è morto; e, innanzi tutto, quando l’ideale nasce, come nasce — .
Guardiamo un animale; che cosa è desso? È un essere che non ha altro fine se non la vita, se non di conservare la vita, e conservarla in uno stato di benessere.
Può questo fine dirsi l’ideale?
No, certamente.
Passiamo all’uomo, e consideriamolo dapprima nella sua fanciullezza, quando è quasi animale. Il bambino che corre alla poppa spintovi dall’istinto della vita, fa egli atto ideale?
No. E considerando l’uomo selvaggio, quando esso si dá alla caccia e alla pesca, quando non ha altra regola di moralitá che la conservazione di se stesso, e sacrifica a questa perfino il suo simile, vi ha in esso ideale?
Non ancora.
L’ideale adunque nasce quando nasce nell’uomo il sentimento dell’essere uomo; quando in lui si sviluppa il pensiero; quando concepisce come idea ciò che per esso il giorno innanzi è stato sentimento. Quando l’uomo perviene a generalizzare le qualitá umane e concepire, per esempio, la gloria, la patria, allora nascono le idee. Ma non abbiamo ancora l’ideale: quando una di queste idee diventa l’ideale?
Allora solamente, quando di esse s’impadronisce quella facoltá creatrice dell’uomo che è la fantasia, e lavorandovi sopra genera il sentimento e ne informa tutta l’attivitá umana, di guisa che quella idea diviene come la colonna di fuoco che guida l’umanitá.
L’ideale allora investe tutto l’uomo e prende diverse manifestazioni nell’arte, nella religione, nella filosofia e nella storia.
Se è vero che l’ideale nasce insieme col sentimento della coscienza umana, come nasce?
L’ideale non è cosa che sta in aria, l’ideale è generato come il resto. Da chi è generato? Dal reale, quel reale che voi credete suo nemico. Perché la realtá nella sua evoluzione deve giungere a un punto in cui sia capace di crearsi da se stessa l’ideale. Se l’ideale è figlio del reale, qualunque reale storico deve avere il suo ideale corrispondente.
La storia dell’ideale è la storia dello spirito umano
Questa storia che nessuno ha fatta ancora, sarebbe ridicolo se io pretendessi farla in poche parole. Nondimeno, per rendervi sensibile il principio esposto, l’accennerò a grandi tratti, a via di esempi.
Supponete che l’uomo nello sviluppo della sua coscienza sia giunto al punto che egli possa pensare la sua animalitá, e gli si presenti un certo terrore innanzi alla immensa feconditá della natura, e voi avrete allora l’idea dell’infinito mista all’idea della natura. In quel tempo troviamo le Piramidi e le vaste costruzioni, che rappresentano l’infinito, e la Sfinge, che rappresenta il mistero della natura.
Fate ora un passo innanzi. Supponete che nello sviluppo del pensiero umano lo spirito pervenga a distinguere la forma bella dalla forma brutta, e senta svegliarsi in lui la fantasia estetica o sentimento della bella forma: creerá allora l’ideale dell’arte, che è l’ideale greco-latino.
Facciamo un altro passo avanti. Supponete che quell’ideale abbia percorso la sua storia, il suo ciclo, e sia venuto nella sua decadenza; e supponete che l’uomo si senta oramai animalizzato in quella forma e senta di avere esso come spirito bisogno di una vita libera, autonoma, e senta di aver trovato in quella forma non un’arme o uno strumento, ma una prigione; allora non solo non anelerá a crearsi una forma, ma anelerá a sciogliersi da quella che ha, ed aspirerá, come ad ultimo suo fine, alla conquista della libertá dello spirito. Avremo allora che questo uomo si creerá un nuovo ideale in contraddizione della forma animale, anelando ad una vita in cui lo spirito sia libero ed indipendente. E sopra questo ideale è vissuta l’umanitá per molto tempo.
Ma ecco un’altra idea. L’uomo dice a se stesso: — Io non sono solamente un individuo, che debba provvedere egoisticamente alla salute dell’anima; non posso segregarmi dalle faccende della vita per fare unico fine l’idea religiosa. La vita umana non è apparenza efimera; ha pur essa uno scopo, ed è quello di provvedere al benessere dell’umanitá — . Ed ecco come nasce un nuovo ideale, che si riassume nel detto evangelico: — Amatevi come fratelli — . La vita umana diventa una missione.
Eccovi, o signori, una serie di idee, di ciascuna delle quali si è creato un ideale; e questa serie di ideali, che si succedono nell’umanitá, rappresenta lo sviluppo continuo di quanto è in noi uomo e non animale.
Dunque, l’ideale siamo noi stessi, siamo noi che l’abbiamo creato; esso è una negazione, è un progresso, che si lascia indietro l’animalitá.
Voi mi direte: — Perché dunque persistete tanto in questa idea, che l’ideale non sia altro se non l’uomo? — .
Perché oggi, o signori, ci troviamo in un tempo curioso, in cui tutto è realismo ed in cui si crede che l’ideale non esiste piú. E trovo non solo questo realismo che si pone dirimpetto all’uomo, ma trovo un fenomeno piú curioso, anche una certa compiacenza oggi di vagheggiare piú la parte animale che la parte umana, ed a forza di voler provare che l’uomo è nato dalla scimia, si finisce col considerare piú la scimia che l’uomo.
Infatti, che cosa è l’ideale innanzi a questo realismo? E una illusione della mente umana che dá all’ideale la sua perfezione logica, tipica, sentimentale. È una semplice estensione che non ha che fare col reale.
Il pensiero diventando cosí l’effetto di composizioni chimiche, la moralitá questione di temperamento, ci troviamo in perfetto regno animale.
L’arte seguendo questo impulso, troviamo che tutte le qualitá che sono proprio umane compariscono animalizzate: l’idea diviene istinto; la fantasia manifestazione meccanica; la passione appetito.
Io vedo cosí che l’uomo cammina a ritroso, poiché torna alla sua parte animalesca. Eppure, mentre vedo l’uomo imbestiato, quello che mi conforta non è giá che io mi spiego un tal fatto, ma è che anche sotto questa momentanea depravazione l’ideale fa capolino.
La civiltá moderna è assai diversa da quella che informava il tempo in cui le Messaline e le Agrippine andavano al Circo per applaudirvi il gladiatore che moriva con grazia. Oggi l’uomo protesta. E quale è la forma di questa protesta? È il riso innanzi tutto, che, negato aH’animale e dato all’uomo, genera l’ironia benigna verso questo predominio della parte animale. Di grande ammaestramento è quel riso, a cui ci abbandoniamo in Carnevale, quando, stanchi di far l’uomo, ci compiacciamo di diventare per qualche giorno animale. E poi, o signori, quando questa animalitá afferma se stessa e si afferma come negazione dell’uomo, dell’uomo sum, l’uomo protesta, e questa sua protesta si chiama sdegno o indignazione: è l’uomo che apparisce in noi e reagisce contro questa degradazione.
Un’altra protesta sorge quando l’umanitá vede il reale immensamente lontano dall’ideale, e non può trattenere un grido di dolore. Ecco Schiller e Leopardi.
Si è detto: — Ma non vi accorgete che questo grido è l’ultimo canto del cigno, è la campana funebre, la quale annunzia che la vita ideale è finita? — .
No, o signori, è un grido di dolore pieno di desiderio e di presentimento, e fin che ci è sdegno e dolore, ci è la presenza dell’ideale. Ed in questa credenza mi conforta anche lo scorgere in mezzo a questo fenomeno un fatto permanente, cioè che la scienza prospera e fiorisce, che lotta colla natura e le strappa nuovi segreti e ne indaga le leggi e ne guida le forze. Questo forma una realtá piú ricca, piú sicura nei metodi e nei criteri di quella che l’ha preceduta, e la nuova realtá debbe giungere a formarsi essa pure la sua idealitá.
Questo secolo è stato detto di transizione, d’enfantement, partoriente.
Che cosa è infatti questa seconda metá del secolo se non un laboratorio in cui si prepara il reale, onde dovrá venir fuori la sua idealitá?
Nella coscienza del secolo, nei fenomeni che accompagnano questo idealismo animale, nel riso, nel grottesco, nella commedia, nel dolore, nello sdegno, noi non vediamo che il segno di una elaborazione che apporterá i suoi frutti.
Come un giorno si gridava: — Morto è il re, vivo è il re; — io dico: — Morto è l’ideale, l’ideale è risuscitato — .