La poesia cavalleresca e scritti vari/La poesia cavalleresca/I. La nuova letteratura

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La poesia cavalleresca e scritti vari La poesia cavalleresca - II. I romanzi cavallereschi
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I

LA NUOVA LETTERATURA

Un poeta non è un’apparizione isolata in mezzo alla società; ha de’ predecessori e de’ successori che gli si aggruppano intorno. È quasi un sole il quale regge molti pianeti dal punto centrale in cui sta. Ogni gran poeta ha avuto il suo ciclo. V’è il ciclo dantesco, il ciclo petrarchesco, il ciclo cavalleresco.

Al ciclo dantesco spettano molti poemi e molte leggende che espongono la stessa materia con la stessa forma; ma vi è un abisso fra Dante e’ rimanenti. In tutto il ciclo manca una vera successione, manca il perfezionamento continuo della forma e della materia: i leggendarii sono tutti rozzi, insignificanti, dimenticati e degni di esser dimenticati.

Lo stesso dicasi del Petrarca. Corre una grandissima differenza tra le sue poesie e quelle de’ trovatori che sono giaciute per molti secoli dimenticate del tutto, e solo nel nostro in cui ha avuto luogo quasi una rinascenza dell’erudizione sono state dissepolte a migliaia, e delle quali non una può esser chiamata esempio di poesia, quantunque siano utilissime per accertare lo stato e lo sviluppo della lingua provenzale e la via che seguí trasformandosi nel francese. Al gruppo italiano del ciclo petrarchesco appartengono Cavalcanti, Guido Guinicelli e Dante stesso, considerato come poeta lirico.

In quanto all’Ariosto l’affare cammina altrimenti: non è il solo ma il sommo. Nel ciclo cavalleresco vi è una vera progressione: vedi i principii rozzi, irti, inculti: l’uno migliora, l’altro [p. 4 modifica]perfeziona; questi forbe la forma, quegli lavora sul fondo, finché non giunga Ariosto. La disamina de’ predecessori e de’ successori dell’Ariosto è quindi di ben altra importanza che l’esame de’ predecessori di Dante e Petrarca. Bastò consacrare a questi un paio di lezioni; quelli richiedono maggior tempo. La materia è amplissima, e non si possono leggere de’ lunghi poemi come un canto di Dante o un sonetto di Petrarca. Quindi il giovedì e il sabato si farà un corso generale nel quale si tratti della forma e degli elementi di questa nuova poesia; il lunedì dopo la prima ora consacrata alle composizioni leggeremo ed esamineremo i più importanti brani de’ poemi romanzeschi dal Pulci al Folengo. Così in un giorno acquisterete cognizione degli autori, e negli altri cognizione dello sviluppo estetico di questa terza civiltà.

Questa nuova poesia ha un carattere negativo ed un carattere positivo. Ben lunge dall’esserne la continuazione o l’imitazione, è la negazione e la dissoluzione della poesia dantesca; è un genere tutto opposto. È dunque una poesia seria e vera: giacché seguendosi sempre un medesimo ciclo, si sta in un pantano, si ripete, si fa come il vecchio che tenta di imitare ed imita meccanicamente il giovane, ma che manca di forza e passione. A un periodo di stagnazione spesso siegue la morte, talora il rinascimento. Dopo Dante e Petrarca scorsero ottanta anni di riposo che formano il periodo da noi chiamato il Quattrocento, nel quale gl’italiani dimenticarono la propria lingua e la propria letteratura.

Ottanta anni di silenzio e di riposo. Chi ne guarda la superficie giudica che debbe esser la morte, ma nel fondo si prepara una nuova civiltà che deve sorgere a poco a poco. Se vi è mancanza di attività per la letteratura italiana è perché tutta l’operosità del tempo si è rivolta ad un’altra letteratura. Petrarca e Boccaccio avevano per così dire lavorato essi stessi a farsi dimenticare: costoro cumulavano la qualità d’erudito e poeta; consumavano la vita a caccia di manoscritti. Quando finí il loro ciclo l’Italia era piena di be’ manoscritti, ben copiati e ben tradotti. La più parte de’ lavori del Trecento sono traduzioni. In quel tempo rovinò l’impero greco; e moltissimi greci [p. 5 modifica]ricoverando in Italia vi sparsero la conoscenza della loro favella. Omero e Sofocle ricomparivano, erano letti. I più importanti monumenti di due civiltà, di due società note fino allora solo per lontana e fiacca tradizione presentavansi ad un popolo colto, vivace, pieno di vita. Non è quindi da meravigliare che tutta l’attività si rivolgesse a sviscerarli. Non si spense, mutò di scopo. I letterati invece di meditare sulla filosofia e sulla teologia commentavano i filosofi ed i poeti antichi.

Quest’era preparò la Rinascenza. Mentre diventava erudita l’Italia entrava in più dirette relazioni con l’Europa. In Francia, in Ispagna traducevasi ed imitavasi il Petrarca. Dall’altra banda i libri francesi e spagnuoli penetravano in Italia; la civiltá municipale italiana mettevasi in rapporto con la civiltá europea. Cosí preparavasi un nuovo periodo creativo nelle scienze e nelle arti; questa fu un’epoca di introduzione alla poesia posteriore, di negazione della poesia anteriore, negazione del contenuto, degli elementi e della forma. Il contenuto è la materia greggia; gli elementi sono le forze spirituali che lo pongono in azione; la forma è la sua rappresentazione.

Dante, dicesi, ha abbracciato un contenuto universale, che ogni parte del Medio Evo ha la sua espressione in lui, che tutta l’antichitá vi è compresa. Quest’orizzonte cosí vasto in apparenza ha il suo limite. Certo quasi tutti i fatti, quasi tutte le forze antiche e del Medio Evo hanno luogo nella Divina Commedia, ma non v’è né la società antica, né quella del Medio Evo. Gli individui esistono isolatamente. Non sono ordinati secondo gli ordini sociali, secondo i loro gradi i loro stemmi i loro titoli le loro ricchezze, ma secondo le loro anime. Francesca da Rimini è collocata accanto a Semiramide vissuta duemila anni e duemila leghe lontano da lei. Il colorito sociale, una societá vivente ed operante, manca. È stata risoluta ne’ suoi elementi; la Divina Commedia è una massa d’individui, che non hanno neppure tutta la loro vita, che non sono rappresentati quando operarono, pensarono, sentirono ma appariscono solo per esser giudicati.

Francesca da Rimini nella cronaca è una giovanetta, che va [p. 6 modifica]sposa, che s’innamora del cognato, che soggiace alla sua passione; opera, sente, vive, è un soggetto drammatico. Dante non la rappresenta operante e vivente, ma morta, nell’inferno, fra’ supplizi; essa narra il passato, ma il passato ritorna in lei modificato dal presente. La situazione dantesca è uniforme e limitata; l’individuo è morto, è giudicato, è ito all’altro mondo. Immaginatevi una rivoluzione: alcuni tengono per una parte, altri per un’altra. Succedono fatti molti, lotte, battaglie: finalmente giunge lo scioglimento; alcuni di quelli che hanno combattuto vanno al patibolo, altri in carcere, altri sono fatti ministri, sono applauditi, stanno nella reggia beati de’ sorrisi del sire. Chi, trasandando tutto il periodo della lotta, rappresentasse solo quest’ultimo momento, farebbe quello che ha fatto Dante. Manca in lui tutta la tela delle azioni dell’individuo. Questi sono i limiti del contenuto dantesco.

Gli elementi d’una poesia sono le forze che spingono una società od un uomo ad operare. Una società od un individuo opera perché spinto da una passione o da una opinione. Anche queste debbeno esser rappresentate dal poeta. Dante come non rappresenta le azioni cosí non ha rappresentato neppure le passioni e le opinioni; ce le mette innanzi non quando spingono o trattengono l’individuo dall’operare, ma quando sono giudicate dal paziente o dallo spettatore. I due elementi della vita interna di Francesca da Rimini sono la passione, l’amor suo per Paolo, e l’opinione che questa passione sia colpevole, che spiaccia a Dio. Dante non ce li rappresenta quando agiscono, ma separatamente. Ha preso l’amore, l’ha staccato, ne ha fatto un ente astratto. Francesca dice:

Amor che a cor gentil ratto s’apprende
Amor che a nullo amato amar perdona.
La passione non è più vivente ma considerata astrattamente; la forza è trasformata in idea. L’opinione che ritiene Francesca dall’amar Paolo è il dovere. Dante non la considera quando è drammatica, ma ne fa un concetto teologico, un tema su cui [p. 7 modifica]discute. Gli elementi invece che rimaner forze divengono astrattezze, sono considerati come idee.

La concisione è la forma propria di questo genere di poesia per così dire fantasmagorica. Una rapida serie d’individui sfila innanzi al poeta che appena ha tempo di segnarli in fronte. Ricevuto quel marchio sparisce il personaggio e ne succede un altro e così via discorrendo. Questo rapido avvicendarsi di personaggi produce una concisione ora rozza, ora appassionata, ora elegante. Concisione ha luogo quando l’idea principale è sciolta dalle idee accessorie. Allorché Dante dice:

Quando leggemmo il desiato riso
Esser baciato da cotanto amante
il desiato riso è l’idea principale che nessun accessorio accompagna. Dante non descrive la bocca o la faccia di Francesca, non i particolari e le circostanze dell’atto, mai: non entra come farebbe un poeta moderno in tutte le idee accessorie. Quindi deriva che la Divina Commedia non è popolare, non è piacevole; richiede studio e sforza a meditare. Cosí del Petrarca: la sua è una concisione elegante. In vece di presentar l’amore nella società, l’ha ridotto a due personaggi, in una condizione singolare. Le opinioni e le passioni appaiono anche in lui spesso come conoscenze e non come impulsi.

Ma ecco sorge una nuova letteratura. Il primo movimento è di chiedere: dov’è Dante, dov’è Petrarca? Quel contenuto è sparito, quegli elementi sono spariti, quella forma è sparita. Né v’è stato un semplice sparimento, ma anche una nuova creazione. Quel contenuto è sparito, ma è succeduto un nuovo contenuto, quegli elementi sono spariti, ma sono succeduti nuovi elementi, quella forma è sparita ma le è succeduta una nuova forma. Non è l’Italia che si continua e ripete ma un secondo periodo creativo che succede ad un primo periodo creativo, un fiore che si aggiunge ad un altro fiore. Nell’anno scorso fu analizzato Poliziano lungamente, e mostrato come in lui primo si riveli questa nuova forma che distrugge e crea. Il mutamento [p. 8 modifica]sembra frivolo e di poco momento in apparenza. L’ottava succede alla terzina; rivoluzione importantissima nella forma. La terzina non ha periodo: il senso può finire ad ogni fin di verso:

Per me si va nella citta dolente.
Per me si va nell’eterno dolore.
Per me si va tra la perduta gente.

Ciascun verso sta da sé. Quando volesse formarsi un periodo non potrebbe avere che tre versi; quindi il poeta che elegge terzetti obbligasi a scartare ogni idea accessoria. L’ottava rima aveva il periodo; in essa può l’idea che Dante accennava in un mezzo verso essere espressa, svolta; può mostrarsene la ricchezza. La nuova forma suppone un nuovo contenuto. Gl’individui sono restituiti alla società. I costumi, i sentimenti, i tempi, le vesti, la religione, la vita sociale insomma può essere espressa in una sola ottava. Tutto ciò manca in Dante.

Poliziano ebbe la nuova forma, ma non il nuovo contenuto. Il Poliziano imbelletta, sparge oro e gemme intorno al nulla. Un Giuliano de’ Medici che va alla caccia, ecco il soggetto intorno al quale egli ha prodigata tanta eleganza. Quella forma manca di contenuto assolutamente. Egli è splendido ma insufficiente: è stato studiato per la forma ma tenuto in nessun conto pel contenuto. Ma frattanto altri poeti, il Pulci, il Cieco da Ferrara, il Boiardo creavano ciò che a lui mancava. Da un lato stavano la bella forma, dall’altro il nuovo contenuto, quando Ariosto, il vero e sommo rappresentante del ciclo cavalleresco, sorse e li uní insieme.