La palermitana/Libro primo/Canto XVIII

Libro primo - Canto XVIII

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[p. 79 modifica] CANTO XVIII

Discorso della grazia e libero arbitrio, della fede e delle opere,
dell’eresie e mala vita de’ pastori.
La fin del grave canto, che qui sopre
col bel Ioseppe il padre suo conchiude,
dove nomossi «arbitrio, grazia ed opre»,
non ben allor compresi, essendo rude
5nel mistier sacro e negli arcani sensi,
ond’ha bisogno ch’altri in spirto sude.
Ma, poi che in me da Dio fur entro accensi
per bocca di Palermo gli agghiacciati
pensieri miei, so dir quanto conviensi.
io So dirlo e me’ pensar; poiché voltati
ho piu volumi e trattone conserve
d’alte sentenze e detti non enfiati.
So che ad ognor la grazia bolle e ferve
in sciolto arbitrio, ina, gelato il quale,
15mancando lei, va cattivato e serve.
So che lo spirto al ben, la carne al male
tránno il consenso, e gara tra lor nasce,
gara senza vantaggio e in armi eguale.
So non volere il Re del ciel si lasce
20uomo tentare alle sue forze sovre,
ché studio n’ha fin dalle prime fasce.
So che al perdente, acciò se ne ricovre,
la via dimostra, i modi e l’arte come
spiri all’onor di cosi nobil’ovre.
25So che per me, pur sotto il forte nome
del nostro invitto capitano Cristo,
domar le voglie posso e impor le some.
So che per me, se grazia è in me, resisto
agli avversari affetti, e, s’opro bene,
30lei sola riconosco e il cielo acquisto.

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IV - LA PALKKMITANA
So per li merti altrui non si conviene
fuor che di Cristo riputarsi eletto,
ché ogni altro merto in sé nequizia tiene.
So ch’uomo non fu mai senza difetto,
per giusto che si fosse, né salvossi
se non per Cristo, sol di colpa netto.
So che sentenza in Dio non mai cangiossi
di serbar tutti, ed ab aelerno elesse
quai degni fian ch’ai ciel gli abbia promossi.
So che gli umani dal prim’ovo impresse
di ragion fra due vie, che in tutto l’una
fuggir qual peste, l’altra entrar dovesse.
So questo, e sollo non per arte alcuna,
perché si debbia disputarne e, meno,
lá dirne ove la turba si raguna;
sollo per sola fede, e i sensi affreno
al saper alto, e l’intelletto abbasso,
e vo serpendo in piccol orto ameno.
Vo, dico, alcun fioretti passo passo
meco tessendo in umil ghirlandetta,
e i gran giardini e i chiostri ad altri lasso.
Piú cerco ed aggio a grado una valletta
col suo poggetto accosto e un rio che bagno
novelle piante, fiori e molli erbette.
Che salir monti e traversar campagne?
ch’entrar d’antique selve i labirinti,
ov’io mi perda e indarno alfin mi lagne?
Oh, come oggi son pronti e van succinti
nostri dottori alle salite alpestre,
tutto che sian dal borea risospinti!
Come cercan per porte e per finestre
al ciel ir entro, e a forza il quia trarne
delle cagion sinistre e delle destre!
Come fingon saperle, anzi parlarne,
e saper diffinirle portan vanto,
benché lo spirto in lor serve alla carne!

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Or di costor ia pratica cotanto
passa per cribri e s’assottiglia in polve,
che ognun dir sa chi è reprobo, chi santo.
70Volgo di piazze e traffichi s’involve
oggi, Dio buono! in dispute di fede,
di inerti, arbitrio, grazia, e sen risolve.
Tal densi salvo, se senz’opre crede,
giá persuaso che di croce il pegno
75per tal credenza il fa del del erede.
Tal dice: — O sono eletto, o no, dal regno
di gloria innanzi al mondo, a che affannarsi
dell’uomo, e in opre e merti far disegno? —
Tal porta in seno un libro, dove sparsi
80son di Scritture detti al vuoto estorti,
che solo a Dio dé’ l’uomo confessarsi.
Tal creder vuole, e par se ne conforti,
per non scioglier le borse al sacerdote,
che nulla i prieghi son fatti pei morti.
85Cosi la cara Sposa, ch’ebbe in dote
il tesor delle piaghe del suo Sposo,
si rompe i crini e battesi le gote.
Ved’ella il re d’abisso, giá non oso
piú a luce uscir da poi che fu conquiso,
90tornar piú che mai forte ed orgoglioso.
Di che solleva il lacrimoso viso,
chiamando il di e la notte il giusto Padre,
che lei col braccio estento attende fiso.
Attende il gran lamento della madre
95di tanti figli, cui sta il cielo aperto,
e pur vanno all’inferno in lunghe squadre.
Perch’egli, essendo pio, poic’ha sofferto
chiamar tutti e chiamar, e pochi vanno,
forz’è che giusto renda il pregio al merto.
100Ma duri guai le scorte lor avranno,
ché, mentre all’ozio sono ed alle piume
piú ch’ai governo intenti, peggio fanno.

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Oh misero pastor quel che s’assume
tal nome, sendo in atti mercenaro,
105che, visto il lupo, ha di scampar costume!
Oh perfido pastor, che, del danaro
fattosi giá vii servo e adoratore,
non mette al fiacco armento alcun riparo!
Oh perverso pastor quel che, dottore,
110falso erudito, al fallo non si oppone,
ma in giuochi vanne e cacce tutte l’ore!
Oh mal nato pastor, via via depone
(perduto sei) le pastorali insegne,
tu, che prave fai l’alme, ch’eran buone!
115La vita tua, l’esempio rio, le indegne
opre, di luce immedicabil peste
e fuoco sono altrui, né mai si spegne.
A tal versaglio par che ognun si deste,
prono mai sempre al mal, né astiensi farlo,
120se l’argomento il mal pastor gli preste.
Oh coscienze morte e senza tarlo
di pentimento alcun od impetrate,
oh ciechi! oh sordi! a quanti mostro e parlo!
Oh sensi duri e reprobi! oh! enfiate
125di livor alme, di superbia e fasto!
quante n’avete e voi con lor dannate,
dannate al fuoco eterno! E cosi guasto,
e cosi giace rotto il caro gregge,
che Cristo, per comprarlo, ebbe contrasto
130con Morte, Ira, Peccato, Inferno e Legge!