La palermitana/Libro primo/Canto V
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CANTO V
Discorso della creazione d’un sol cielo,
e ch’era fatto il giorno innante alla creazione del sole
Cosa fuor d’ogni stima parmi e strana
trovar dottrina ed arte fra ’vezzati
monger armenti e a’ greggi tonder lana.
S’essi a Parigi o altrove fosser stati.
5potean rappresentar con voci vive
passi piú oscuri e sensi piú ’levati?
Ecco vane scienzie come prive
son di saper quel che buon studio insegna,
e manco i libri n’han che zappe e stive!
10Dio le piú volte un rozzo ed umil degna
degli alti suoi consigli e imparte lui
quel ch’impartir gli altèri dotti sdegna.
Io pago e sciolto in pochi detti fui
via piú dal caldo spirto d’un pastore
15che dalle scole ov’impazzimmo nui.
D’altro saper fu Pietro pescatore,
Giovan, Luca, Matteo, l’eletto Vaso
che salse al terzo ciel del corpo luore;
d’altro Plato e Aristotil, persuaso
20e questo e quel da loro studi avere
pel crin natura e la ragion pel naso.
Questo vo’ dir, che sogni e ciance mere
fint’hanno il mondo eterno, e l’ampio cielo,
da Dio fatt’uno, han trito in molte sfere.
25Non sempre è ver di veritade il velo;
sta sotto il bruno e in gli occhi appar il bianco
si occulta il lupo in mansueto pelo.
Ma piú d’un can mi sento avere al fianco,
pere’hanno i del di difensori un mare;
30un ciel n’ha cinque, e forse quattro manco.
I molti, all’osservar del par e impare,
trovan mirabil ordin, ma diverso,
ché un mobil gira e gli altri fa girare.
Qui degli audaci l’intelletto, merso
35nel parer proprio, a ciascun moto ha dato
singoiar eie), chi dritto, chi traverso:
come di maraviglia non sia stato
piú degno assai l’autor, si vari effetti
in un sol ciel che in tanti aver causato;
40come se i diti suoi fossero astretti
far con piú cose quel che far con una
fia prim’onor di artefici perfetti.
Per un sol, dunque, corpo il sol, la luna,
le stelle innumerabili son vòlte.
45mentr’ora imbianca, or l’emisfero imbruna.
Di ciò i contrasti e le cagion son tolte,
se di tant’opre e tante al Fabro attendi,
che a tai le scopre, a tai le tien sepolte.
Da quest’error commun fa’ che sospendi
50la mente, o tu, che del profeta Mòse
le carte leggi o che le leggi intendi.
Egli apparò da Dio le occulte cose,
come da lui che farle e dir non erra;
però queste parole a noi propose:
55«Dio fece nel principio il ciel, la terra».
Ecco: giá non piú «cieli» o «terra» appella;
ma l’universo in duo conchiude e serra.
Mi maraviglio pur, se vera è quella
opinion de’ cieli, e non dell’uno,
60che non gli assegna ognuno alla sua stella.
Dir della terra e mar non è digiuno;
piante distingue, augelli, fiere e pesci,
e d’essi «ciel» non fanne motto alcuno.
Ma dirai forse: — Frate, tu te n’esci
65non pur del dritto fuor, ma di memoria,
quantunque volgi carte e inchiostro mesci.
Paolo, com’or hai detto, in Dio si gloria
che di sé fuori al terzo ciel fu ratto,
né dir può quanta sia di quel la gloria. —
70Rispondo, ch’io non sono mentecatto:
so il terzo ciel di Paolo e i ciel de’ cieli
di quel gran pecorar, che re fu fatto.
Dimmi tu ancor s’egli è chi ti riveli
meglio che a me delle Scritture il senso,
75e in quelle hai volto i negri in bianchi peli !
Tu sai eli’una sol terra è questo denso,
ch’ognor ealcámo, e centro al mondo fassi,
anzi vii punto al par del cerchio immenso.
Or come delle Biblie in molti passi
80«contorno di piú terre» ella vien detta,
e pur una sol trovi ovunque passi?
Man di scrittor giammai non interdetta
per numer fu del piú, per quel del meno,
per dir senso o parola piú perfetta
85Un Dio credean gli ebrei; son nondimeno
piú dèi da lor nomati in lor figure,
ma nell’istoria tiensi a man il freno.
Non son piú lune no, perché tal cure
amar la prima e in odio aver la quinta:
90anzi una sempre fu, non piú nature.
Fingesi ad ornamento: ma non finta
esca parola ove si cerca il vero,
per cui la fede al tutto fóra estinta.
Però l’accorto Mòse dal sincero
95suo stil né dall’istorico travia,
«piando del mondo scrive il magistero.
Se un Dio sol è, ragion è ben che sia
sol un ciel anco, a lui suo trono e stanza,
tutto che tutto in tutti i luoghi stia.
100Di quest’error, ch’ogni altro errore avanza,
che sian piú cieli, empia cagione emerse
di dar a finti dèi del ver l’orranza;
quando ch’a ciascun cielo un idol s’erse
agli aitar sopra, ed adorollo il mondo,
105che in un mar poi di favole s’immerse.
Di quante stelle andar vedemo a tondo
fur tanti dèi, chi putta, chi cinedo,
poi quei del mar. poi quei del basso fondo.
Cosi la bella Astrea tolse congedo
110da noi, tornando in ciel, ché il dare a’cani
onor divino att’era immondo e fedo.
Alziamo dunque i cuor, non che le mani,
non che le facce al ciel unico e santo:
né siamo stoici no, ma cristiani!
115Creò la terra Dio, cui Mòse vanto
non dá dicendo ch’era vana e vota,
acciò col ciel non sia prezzata tanto.
Corpo alla terra ed alma al ciel devota:
lá gioie eterne, qua speranze umane;
120lá regna Dio, qua la volubil rota.
Successe al cielo il lume sera e mane:
e rotti che del cao furo i legaggi,
la luce di, fèr notte l’ombre vane.
Disser pur anco quegli antichi saggi
125che il sol cagiona il giorno e notte, e fanno
quest’altro al magno Sol di mille oltraggi.
S’un principal motor del tutto sanno,
perché si abbaglia questo Sol lor ciglia,
che a ben veder del tutto occhi non hanno?
13011 fattor della luce s’assomiglia
ad un possente re, che molti e molti
ministri elegge a cura di famiglia.
Ricchi tesor tien, che dissepolti
parte per sé dispensa, e n’orna sale,
135teatri, templi ed archivolti:
parte ad un suo dispensator leale
degli altri piú copiosamente affida,
ed egli a questo e a quel n’è liberale.
Giá non può far ch’a punto non divida
140quanto gli è dato, sian pur gemme ed oro,
eh’ove si merta onor fidanza annida.
Cosi Dio fe’ la luce, suo tesoro.
Parte ne fu l’angelica natura,
ch’adorna il trono al trino concistoro.
145Parte per darla a noi chi ha di noi cura,
pose nel cielo un occhio e a quel la infuse,
che avesse a darne a ogni altra creatura.
Quinci la luna e tante stelle, fuse
nel curvo del gran cielo esposto a noi,
150dieron lor faci, da quell’occhio infuse.
Queste di Dio son lampe e specchi suoi.
Da lui per loro avemo giorno e sonno,
cibo, stagioni, tempo, binanti e poi;
si che senza quel primo maggior donno,
155che innanzi al sol giá fatto avea lo lume,
quel, che non hanno, dar altrui non ponilo.
Però ben posto ha Mòse al suo volume
che il sol creossi dopo al terzo giorno,
come lanterna ch’altrui luce assume.
160Fatto fu dunque il di, non anco adorno
il del del luminar maggior essendo,
e men quel del minor dal freddo corno.
Di quanto dissi autoritá vi rendo
di bocca d’òr Palermo, né altri esempi
165fuor del gran Mòse a voi per boria vendo.
Giá sono andati, la Dio grazia, i tempi
che il beato Aristotil piú di Cristo
profitto far credea nei sacri tempi.
Non ho per spazio di trent’anni acquisto
170fatto se non d’inciampi, sogni ed ombre,
pensando veder tutto, e nulla ho visto!
Or oltre non appar chi il vero adombre,
quantunque impugnator di lui non manchi,
che degl’infermi ognora il senso ingombre.
175Pur non cessiamo noi, piú sempre franchi,
dir Cristo ora con voce or con inchiostro,
acciocché al destro de’ suoi giusti fianchi
grazia riponga in fine il seggio nostro.
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