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parte ad un suo dispensator leale
degli altri piú copiosamente affida,
ed egli a questo e a quel n’è liberale.
Giá non può far ch’a punto non divida
140quanto gli è dato, sian pur gemme ed oro,
eh’ove si merta onor fidanza annida.
Cosi Dio fe’ la luce, suo tesoro.
Parte ne fu l’angelica natura,
ch’adorna il trono al trino concistoro.
145Parte per darla a noi chi ha di noi cura,
pose nel cielo un occhio e a quel la infuse,
che avesse a darne a ogni altra creatura.
Quinci la luna e tante stelle, fuse
nel curvo del gran cielo esposto a noi,
150dieron lor faci, da quell’occhio infuse.
Queste di Dio son lampe e specchi suoi.
Da lui per loro avemo giorno e sonno,
cibo, stagioni, tempo, binanti e poi;
si che senza quel primo maggior donno,
155che innanzi al sol giá fatto avea lo lume,
quel, che non hanno, dar altrui non ponilo.
Però ben posto ha Mòse al suo volume
che il sol creossi dopo al terzo giorno,
come lanterna ch’altrui luce assume.
160Fatto fu dunque il di, non anco adorno
il del del luminar maggior essendo,
e men quel del minor dal freddo corno.
Di quanto dissi autoritá vi rendo
di bocca d’òr Palermo, né altri esempi
165fuor del gran Mòse a voi per boria vendo.
Giá sono andati, la Dio grazia, i tempi
che il beato Aristotil piú di Cristo
profitto far credea nei sacri tempi.
Non ho per spazio di trent’anni acquisto
170fatto se non d’inciampi, sogni ed ombre,
pensando veder tutto, e nulla ho visto!