La miseria di Napoli/Parte III - Proposte e tentativi fatti per migliorare le condizioni di Napoli/Capitolo V. Stabilimenti penali e Bagni

Parte III - Proposte e tentativi fatti per migliorare le condizioni di Napoli - Capitolo V. Stabilimenti penali e Bagni

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CAPITOLO QUINTO.

Stabilimenti penali e Bagni.


Un solo dei Bagni del Napoletano ho potuto visitare: quello di Nisida; e tutte le osservazioni fatte nelle Case di pena e di correzione mi si vennero con fermando in quell’oasi di pace, di salute, di buon ordine, ove si combina la dolce vita dell’agricoltore, ben diretto dallo studio, con altre occupazioni e ricreazioni che formerebbero la delizia di molta nostra gioventù chiusa nei collegi, in Italia per lo più malsani e monotoni, e certamente dei soldati costretti in tempo di pace ad ozio forzato e alla fastidiosa disciplina. Il presente Comandante ha proprio trasformato l’Isola: a forza di farvi lavorare i galeotti ci sono strade bellissime, che conducono dal basso all’alto dell’Isola, su cui sorge la fortezza. C’è una [p. 187 modifica]cascina magnifica con grande numero di vacche, il latte e il burro delle quali vincono in bontà quelli assaggiati da me in Napoli. Il vino, che vi si fabbrica di varie qualità, gareggia col Capri, e l’allevamento dei conigli piglia proporzioni ragguardevoli. Se il Governo volesse col tempo annettervi una conceria e una fabbrica di cappelli e facilitare quell’allevamento, ora che i Napoletani cominciano a gustarne la carne nutritiva e saporita, si potrebbe accrescere di molto l’introito dello Stabilimento penale. Raramente vidi un assortimento di esseri umani così sani e robusti con fisonomie così poco attraenti. Eccettuatine, pochissimi, notansi in tutti le tracce della lunga e persistente carriera del delitto: furberia ed astuzia ne costituiscono il carattere più spiccato.

Sono in numero di 1100, divisi in 70 camere, calcolandovi 11 metri cubi d’aria respirabile nei dormitorii per ciascun detenuto. Le punizioni permesse: il banco di rigore, il puntale, cioè un aggravamento i di catene, la cella isolata. Le ricompense in uso nei Bagni: il passaggio di classe, la nomina a mozzo o inserviente, l’alleggerimento della catena, le proposte di grazia, che soltanto possono farsi agli ascritti alla prima categoria.

Anche qui veggo che il Direttore, il quale conosce ad uno ad uno tutti quei signori e distrusse la camorra che vi esisteva in tutta regola, disprezzando le minacce e sfidando il tentato ammutinamento, presento 33 proposte di grazie. Ma mentre nove soltanto di queste sono state accolte, le grazie ottenute fuori delle proposte, ma con informazione della [p. 188 modifica]Direzione, sono 32, e le grazie ottenute fuori delle proposte e delle informazioni della Direzione, sono 41!

Considerata la natura degl’individui, il numero delle infrazioni disciplinari in un anno reputasi scarso e di poca importanza: 245 in tutto; e nessun con dannato a cella di rigore con pane, acqua e ferri; un solo a cella e vitto legale da uno a sei mesi.

Il lavoro di questi galeotti per servizii domestici, per le amministrazioni dei Bagni fuori e dentro, rappresenta L. 39,811, di cui alla massa di economia L. 21,456, e alla massa dei condannali L. 18,054.

I galeotti hanno una razione di pane, 750 grammi; e che pane I spesso i Bersaglieri di guarnigione se lo comprano. Hanno altresì minestra e una razione di carne ogni quindici giorni, e il Regolamento del 1860 concede loro una misura di 14 centilitri di acquavite.

Hanno inoltre il vitto del lavorante, e se viene fatto un maximum di lavoro, vi ha la retribuzione del vitto di ricompensa.

Mentre negli altri Bagni, come a Genova, ad Alghero, a Brindisi, a Cagliari, a Procida, a Civitavecchia, ec., i galeotti lavorano molto per conto del Municipio e dei privati, a Nisida ciò è impossibile, e le principali difficoltà per le Direzioni si compendiano nella impossibilità di trovar lavoro sufficiente.

Ed è un fatto significante quello dei richiami e delle domande, nel periodo di un anno, dei detenuti ammessi alle udienze: mentre altrove i richiami feriscono il personale di custodia a cagione del vitto e del trasporto in altri Stabilimenti, a Nisida si additano [p. 189 modifica]tre sole categorie di reclami: 89 domande di notizie ufficiali intorno ai parenti; 454 per scrivere; 185 per aver lavoro!

Un solo suicidio. E le inchieste e indagini di parecchi mesi, per conoscere se patite sevizie avessero condotto lo sciagurato al fatale passo, dimostrano la sollecitudine del caduto Ministero per i galeotti; mentre lasciava commettere impunemente ogni sorta di abusi dagli Agenti delle tasse sui poveri, impotenti a pagarle; e mentre più di un impiegato si tolse la vita per le intollerabili soperchierie dei capi di servizio, senza che altrettali investigazioni fossero ordinate.

Insomma reclusi e galeotti, imputati e condannati, stanno tanto bene nelle Case di pena e nei Bagni di Napoli, da scommettere, che se oggi si vuotassero carceri e galere obbligandone gli ospiti a menare un sol anno di vita del povero, ancora intemerato, o, come direbbe il Carlyle, un anno di vita di coloro che lottano per tenere il diavolo tentatore fuori di casa, tutti o quasi tutti commetterebbero qualche reato lieve o grave per tornare ai comodi, agli agi e al piacevole lavoro, così bene ricompensato, così gratamente alternato con le passeggiate, coi riposi e coll’istruzione e con ogni ben d’Iddio.

Egli è evidente adunque che per l’amministrazione delle carceri si elessero le più probe e intelligenti e pazienti e benevole persone d’Italia, e che le carceri non fanno punto passar la voglia nei delinquenti di tornare ad abitarvi.

Una volta condannato alle Case di correzione o di [p. 190 modifica]pena, o ai Bagni, l’individuo che fin allora aveva conosciuto solamente il pubblicano, l’ufficiale di leva e lo sbirro, principia ad accorgersi che ci sono anche le Autorità benevole e cortesi, le quali pensano e provvedono ai suoi bisogni materiali, alla sua istruzione, perfino all’anima sua!

Appena entrato in carcere, egli è ricevuto dal Direttore, condotto in una cella netta ed ariosa; cambia i cenci in abiti di lana, se d’inverno, di tela o di canape, se d’estate, e probabilmente per la prima volta in vita sua si lava con acqua sapone; è servito con una buona razione di pane e minestra, visitato dal cappellano, che lo esorta al lavoro e alla buona condotta, come mezzo di alleviare la punizione presente e ottenere la libertà più presto.

Trova un buon letto di ferro con saccone trapunto, ripieno di foglie di granturco o di crino vegetale, con lenzuola di lino o di canapa, con una o due coperte di lana e con guanciale.

Quanti carcerati avranno dormito su tal letto, la prima notte del carcere, il miglior sonno della loro vita!

Trascorso il periodo di esperimento, il detenuto introducesi in laboratorio per esercitarvi un mestiere, possibilmente il suo proprio.

E allora egli ha, oltre del pane e della minestra, una pietanza di carne bovina od ovina due volte la settimana, e negli altri giorni di verdura condita d’olio e d’aceto, se cruda: più il vitto di ricompensa del lavorante; più 25 centilitri di vino, tre volte la settimana. [p. 191 modifica]

Questo per le Case di pena, dove il lavoro è ad economia.

Nelle Case poi, in cui il lavoro va per appalto, invece di detto vitto di ricompensa, ha due decimi della mercede disponibile; e con questi due decimi egli può comperarsi un sopravitto di sua elezione a prezzi combinati fra l’Impresa e la Direzione, le cui tariffe stanno affisse in ogni laboratorio. Altri due decimi poi costituiscono un fondo di riserva pel tempo della liberazione. Le altre ricompense ai detenuti laboriosi e di buona condotta sono: 1 ° autorizzazione di visite e di corrispondenze epistolari; 2° stralcio del fondo di riserva (purché i due terzi residuali non siano minori di venticinque lire) in favore dei proprii genitori, della moglie e della prole minorenne; 3° acquisto facoltativo di sott’abiti, libri, istrumenti di mestiere; 4° incarichi di fiducia da parte della Direzione. Recentemente poi s’introdusse per coloro, i quali durante sei mesi non avessero subito alcuna punizione disciplinare, il passaggio ad una Colonia penale agraria.

Le punizioni sono: 1° ammonizione; 2° isolamento in cella di rigore con pane ordinario con una minestra sola, da uno a tre giorni; 3° isolamento a pane ed acqua; 4 ° isolamento in cella da uno a sei mesi, pero con vitto legale. E notisi, che anche le celle di punizione sono fornite di un letto da campo.

Bisogna tenere a mente, che le più gravi punizioni pon le può infliggere il Direttore da se solo, ma ci vuole una sentenza del Consiglio di disciplina, composto del Direttore presidente, del Vice-Direttore e [p. 192 modifica]di un impiegato. Assistono a questi Consigli il Cappellano, l’Ufficiale sanitario e la Superiora delle suore, se carceri per le donne. E nemmeno i castighi deliberati dal Consiglio di disciplina oltrepassano i tre mesi; se di maggior durata, occorre la sanzione del Ministro.

Ogni carcerato poi frequenta le scuole, almeno tre volte per settimana; e nella domenica lo si ricrea con conferenze scolastiche!

Io, già informata delle regole disciplinari delle Case di correzione e di pena, m’immaginava che i detenuti ivi chiamati a si mite pena e a si dolci ricompense avessero commesso «piccole mancanze» almeno li credeva non macchiati di veri delitti.

Fui veramente costernata nel leggere la lista dei reati nella stessa riga della pena annessa.

C’era in una delle Case di pena di Napoli un vero mostro: ogni suo lineamento portava l’impronta dello scellerato.

Convinto di stupro sopra una ragazzina di nove anni, che ne mori in conseguenza, fu condannato a soli dieci anni di reclusione! — Cinico, insubordinato, di pessimo esempio ai compagni, indarno e Cappellano e Direttore vuotarono tutto il serbatoio delle ammonizioni e delle persuasioni. Egli vanta il proprio delitto e sospira il giorno, in cui potrà tornare a commetterne un altro.

Or bene, l’ho trovato in una cella nitidissima con superba vista di Napoli dalla finestra, con tetto comodo, vitto intero!

A proposito dell’ineguaglianza delle pene inflitte, [p. 193 modifica]c’è nello stesso carcere un giovane condannalo per mancato omicidio. Un giornalista insultò suo padre; egli lo prego di desistere; quegli insistette. Il figlio in un accesso di sdegno aggredì l’insultatore. Non lo uccise, e fu condannato a dodici anni; e il mostro stupratore a dieci!

In altro camerone egregio con finestre al settentrione, vetri, impannale e tutto il necessario per l’arte della pittura, trovai un famigerato falsario, che col padre si esercito in questa professione per parecchi anni, rovinando molte famiglie. Il padre n’era già uscito, graziato.

Ed io pensando alla penosa vita che conduce taluno dei più splendidi genii dell’arte in Napoli per provvedere alla fama propria e alla fame di numerosa prole, mi persuasi che il pittore falsario godendo ogni comodo di vitto, potendo ricevere anche clienti per farsi ritrattare, e mettere da parte danaro per l’avvenire, non avrà troppa fretta di abbandonare quel dolce fruttifero soggiorno.

So bene che il fatto della perduta libertà costituisce da se solo una grande punizione, ma i passati Governi almeno fecero si che la paura di questa pesasse formidabilmente sull’anima dei detenuti.

Fra le risposte ai quesiti del Comitato centrale internazionale trovo la seguente:

I carcerati possono in virtù della loro buona con dotta e del lavoro ottenere una diminuzione di pena?

E secondo quali norme applicasi questa diminuzione?

Il Regolamento generale per le Case di pena [p. 194 modifica]statuisce che quando il Consiglio di disciplina, legalmente convocato dal Direttore locale, riconosca esservi luogo ad invocare la grazia sovrana in favore di alcun carcerato, e formuli le sue proposte, esso Direttore debba inviare la deliberazione del Consiglio alla Direzione generale, e questa, riscontrate le proposte nei fogli di matricola, spedire il plico al Guardasigilli, a cui spetta di promuovere le sovrane disposizioni.

Oltre alle condizioni, che tanto naturalmente limitano simili proposte a pro dei soli detenuti di esemplare condotta, il Regolamento vuole che il titolo di condanna del candidato alla grazia non sia di quelli indicanti profonda corruzione e perversità d’animo, ed abbia scontata già la metà della sua pena. Di più, le proposte di ogni Direttore non debbono eccedere normalmente la proporzione annua del cinque per cento sul complesso dei carcerati reclusi.

Sembrerebbe da tale risposta, che solamente per buona condotta certificata dal Direttore un condannato potesse ottenere commutazione di pena.

Ma studiando per bene le Statistiche carcerarie del 1874, trovo tre categorie di «Grazie ottenute:»

1ª Grazie ottenute in seguito alle proposte fatte dalla Direzione;

2ª Grazie ottenute fuori delle proposte, ma con informazione delle Direzioni;

3ª Grazie ottenute fuori delle proposte e delle informazioni della Direzione.

In un anno solo furono concesse a richiesta delle Direzioni: [p. 195 modifica]

Condannati ai Bagni 161
Agli Stabilimenti penali 85
Totale 246
mentre le proposte delle Direzioni erano 583.

2° Fuori delle proposte, ma con informazione delle Direzioni:

Condannati ai Bagni 364
Agli Stabilimenti penali 114
Totale 478

3° Fuori delle proposte e delle informazioni delle Direzioni:

Condannati ai Bagni 133
Agli Stabilimenti penali 102
Totale 235

Ora domandiamo prima: perchè non si è confessata la verità davanti il Comitato Centrale internazionale? E poi perchè non si è indagato se questo sistema contribuisca a rinforzare l’autorità della Direzione, ad eccitare i carcerati alla buona condotta, a proteggere la società contro una ripetuta infrazione delle sue leggi?

Qualunque punizione incorsa dai carcerati è iscritta sul registro loro di matricola caratteristico e di contabilità morale. Sicchè nel registro A non si trova punizione, perchè A non ha commesso infrazioni ai Regolamenti disciplinari delle carceri.

Trascorso un certo tempo, il Direttore propone una remissione della restante pena o una commutazione o una riduzione. Più della metà delle sue proposte vengono respinte.

B invece è stato frequentemente punito. È noto [p. 196 modifica]nelle carceri come indisciplinato, provocante coi compagni, renitente al lavoro.

Ciò non fa caso. Per un numero, che supera di un terzo le proposte dei Direttori e di due terzi le grazie concesse, vengono dall’arbitrio di un Ministro remissioni, commutazioni, riduzioni di pene.

A rimane sfiduciato e scoraggiato: B torna allegramente a riprendere la sua delittuosa carriera interrotta dal grato soggiorno della carcere!

Ha fatto gran senso in Napoli un caso successo a Sant’Eframo in questo anno.

Notisi, che dovendo vivere in mezzo a questi condannati, nessuno dei quali è mai incatenato, e per i quali la camicia di forza riesce un’incognita, è rigorosamente proibito ai guardiani di portare indosso un’arma qualunque. Notisi poi, che molti dei condannati, falegnami, calzolai, ec., hanno sempre in mano, per necessità di mestiere, istrumenti taglienti.

Or bene, mentre a Sant’Eframo i condannati calzolai stavano pacificamente lavorando, uno di essi si alza e freddamente ferisce con ripetuti colpi uno dei guardiani, così improvvisamente, che i compagni sono appena arrivati a tempo a strapparglielo dalle mani prima che fosse vibrato il colpo mortale. Direttore, guardie, compagni rimasero attoniti, perchè costui aveva tenuto un’esemplare condotta durante lunghi anni di prigionia; non aveva mai dato segno di alienazione mentale, ne sussisteva causa alcuna di contesa coll’infelice guardiano. Interrogalo sul motivo del misfatto, costui rispose con freddezza: «Prima di entrare in carcere o di commettere delitto, ho [p. 197 modifica]saputo che cosa significhi miseria e fame. Ora mi condanneranno da capo.»

Nelle Case di pena per tutta l’Italia abbiamo il 30 per cento di recidivi. In Napoli essi superano il 50. Nè è da meravigliarsene.

Ci stanno così bene da voler tornarvi e da istigare i compagni di miseria nei fondaci e nei bassi a tentare qualche colpo grosso o piccolo, tanto da far la prova della differenza.