La miseria di Napoli/Parte III - Proposte e tentativi fatti per migliorare le condizioni di Napoli/Capitolo III. L'Opera per la mendicità

Parte III - Proposte e tentativi fatti per migliorare le condizioni di Napoli - Capitolo III. L'Opera per la mendicità

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CAPITOLO TERZO.

L’Opera per la mendicità.


Sarebbe ingiusto chiudere l’esame dei tentativi fatti per aiutare i poveri di Napoli senza parlare di quell’opera veramente pia ed efficace, iniziata e condotta da Leopoldo Rodinò a Napoli nel breve corso di sei anni. Quando egli si accinse all’opera, trovo che malgrado dell’enorme numero di Stabilimenti di beneficenza nella città nella Provincia la città era infestata da 13 mila accattoni.

Egli mosse dal principio che la Questura deve [p. 174 modifica]arrestare i mendicanti, i magistrati devono punire i malvagi, i pubblici Ospizii ricoverare coloro che vi hanno diritto, l’Opera per la mendicità provvedere a’ casi speciali: visto che nè lo Stato, nè la Provincia, nè il Municipio ci pensavano, egli e i signori che gratuitamente hanno prestata l’opera loro, fondarono un Deposito dei mendicanti, affinchè questi, appena raccolti dalle strade, avessero vitto ed alloggio per tre giorni, quanti bastassero a liberarli dalla loro sorte.

Sperarono che gl’Istituti pii, secondo le rispettive categorie, avrebbero ricevuto vecchi infermi e orfani, come avrebbero dovuto, ma rimasero in gran parte delusi. La Questura arrestava gli accattoni. I non Napoletani erano mandati nelle loro Provincie a spese dell’Opera, o scortati dai carabinieri con raccomandazione ai Prefetti, se inabili al lavoro. I Napoletani validi denunciavansi al Potere giudiziario, e scontata la colpa con la pena del carcere, erano provveduti di lavoro; gl’impotenti erano dal Magistrato consegnati alle loro famiglie, quando le famiglie avevano l’obbligo e la possibilità di sostenerli. L’Ospedale della Pace e di Sant’Eligio ricevettero sempre gl’infermi di malattie acute, l’Albergo dei Poveri e l’Ospedale degli Incurabili li accettavano il meno possibile; restò a carico del Rodinò e de’ suoi amici gran parte dei raccolti, e queglino fondarono un Ospedale per i mendicanti affetti da malattie croniche incurabili, e poi col l’aiuto di una signora inglese, Lady Strachan marchesa di Salsa, fondarono un Convitto e una Scuola per le fanciulle cieche, mendicanti, od appartenenti a famiglie di mendicanti. [p. 175 modifica]

A loro toccò di provvedere per infermi cronici incurabili, non accettati a Santa Maria del Popolo, per inetti al lavoro non Napoletani che non possono rimandarsi nelle loro Provincie senza pericolo di vita, per fanciulle che di sotto ai sette anni non si sa dove collocarle, per padri e madri che per ragioni di moralità non si possono staccare dalla propria famiglia, per fanciulle che per le stesse ragioni bisogna staccare dalla propria madre, per fanciulli d’ignota provenienza che servono di speculazione a uomini apparentemente ciechi o storpi, e finalmente per famiglie intere, alle quali o per infermità del corpo o per la condizione dei tempi mancarono i guadagni ed il modo di vivere.

Che tragedie, che misteri, che rivelazioni, che prove di mal governo di un paese in mano de’ preti! che ammaestramenti per un Governo che vuol meritare il titolo di riparatore, non devonsi trovare nell’Archivio di quell’Opera nobilissima! Stampavansi i conti ogni mese, e risulta che in poco più di sei anni furono collocate 63 fanciulle nel Convitto, 120 figliuoli di mendicanti vestiti per essere ammessi negli Asili e nelle Scuole, 760 accattoni accasati nei pubblici Ospizii, 1/12 dei quali mantenuto a spese dell’Opera.

Per duemila si provvide lavoro sufficiente alla sussistenza, seimila si spedirono nelle loro Provincie, più di 10 mila si denunciarono al Potere giudiziario. Sua merce si chiusero le botteghe, ove davansi a prezzo i fanciulli sani per 5 soldi al giorno, per 10 gli storpi. Sua mercè si chiuse la bottega, ove gli arrivati dai paesi vicini scambiavano gli abiti loro coi cenci dei mendicanti. Sua mercè, e non senza molto pericolo, [p. 176 modifica]finirono sgominate e disfatte le camorre dei mendicanti costituiti con leggi e regolamenti proprii, specialmente quelli di Santa Carolina, di Santo Spirito e di San Gaetano.

Quante ragazze povere e oneste salvate dalla necessità di prostituirsi quanti ragazzi avviati all’onesto lavoro invece di dedicarsi al furto e all’ozio! E fino al 67 l’Opera fioriva, anzi la cassa aveva un avanzo, ma in quell’anno per varie cause crescevano i bisogni e scemavano le entrate. Interrogai molte persone intorno a quest’Opera. Tutte mi assicurarono che essa fu condotta con intelligenza, con abnegazione, con zelo veramente filantropico; che a nessun falso sentimentalismo, a nessuna raccomandazione di potenti, a nessuna influenza privata riesci fatto di ottenere, a favore dei rei o di oziosi, aiuto, e di farlo mancare ai veri miserabili.

Il bilancio è veramente lodevole. Qualunque bilancio di qualsiasi Opera Pia in Napoli scapita in confronto.

Trentamila e seicento lire d’entrata furono spese come segue:

Pel Convitto L. 4,200
Per l’Ospedale » 5,800
Per soccorsi a domicilio e provvedimenti temporanei » 8,800
All’Ospizio dei vecchi » 4,400
All’Albergo dei Poveri » 5,400
Impiegato » 0,720
Spese di registri, di scrittoio, di stampe e premii di esazione » 1,280
Uscita L. 36,600
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Ma coll’anno 67 questa misera entrata non bastava. Gli accattoni ricevuti al Deposito superavano i 1000 al mese, bisognava tener forniti i letti, dar da mangiare per i tre giorni, mentre si provvedeva al loro destino, e spesso durante 10, 15 e 20 aspettare che venissero i carabinieri per condurli in patria, o che si scoprissero i genitori, o che l’Ospedale o l’Albergo si decidesse a dare un posto. Poi provvedere a quelli, di cui la Questura non voleva occuparsi, e talvolta a famiglie intere di padre condotto in carcere. Con tutto ciò i capi dell’Opera non domandarono che 12 mila lire di più all’anno per continuare il lavoro così bene avviato.

Eppure nè dalla Provincia, nè dal Municipio, nè dalla carità privata, le si potettero ottenere. Il Municipio, che ha speso in tredici anni un milione e mezzo per la sola mendicità, non si capacito del suo tornaconto nell’aiutare questo istituto, che forse a quest’ora avrebbe annientato del tutto lo sconcio dell’accattonaggio. Fatto sta che alla fine del 1868 l’Opera per la mendicità si sciolse, lasciando al Municipio tutti gli obblighi assunti da essa.

Oggi per rinvenirne traccia fa mestieri andare nelle carceri, ove i mendicanti si confessano d’avere commesso qualche piccola mancanza per esservi rinchiusi, e, credo, nel così detto Ospizio o Ufficio di mendicità nel gran convento dei Domenicani in San Domenico Maggiore. Lì, proprio lì, proprio vicino a tanti luoghi di progresso, di civiltà e di dottrina, proprio lì trovi e penetri in una bolgia, dove ti è dato di Osservare e studiare una miscela di lordure e [p. 178 modifica]d’infingardaggine, d’inabili poveri e di accattoni malvagi, di fanciulle che giuocano è di fanciulle che gridano. I quali tutti in attenzione di un ignoto destino sono ivi buttati come una merce qualunque e delle più sudice. E avvertasi che nel 74 quell’Opera costò al Municipio 100 mila lire, e troviamo nel bilancio passivo che la beneficenza, senza spese di culto, senza istruzione, supera le 200 mila lire.

Non era miglior consiglio coadiuvare l’Opera in discorso, mettendola in comunicazione con una Casa di lavoro, come fu domandato, stabilendo relazioni facili fra la Questura e il Potere giudiziario, anzichè lasciarla cadere del tutto e render necessario il ricominciamento ab ovo?

Non m’intertenni alquanto a lungo di un istituto morto per mero debito di giustizia verso l’operoso iniziatore a me personalmente ignoto, ma perchè riconosco nella sua compagine il germe del futuro ordinamento del pauperismo in Napoli, di cui parlerò poi. Del suo lavoro avanza solamente il Convitto delle fanciulle cieche.

Mi rincresce di non aver avuto tempo di visitare quest’Ospizio, che mi dicono eccellente, e che oggi il Municipio soccorre con cinquemila lire all’anno.

Gli Ospizii per i ciechi e per i sordo-muti sono fra quelli che necessariamente devono esistere sempre; perocchè solamente con un sistema che va ognor più perfezionandosi, sia per l’una, sia per l’altra categoria di disgraziati, con un sistema che non può esser messo in pratica che collettivamente, si giunge ad alleviare la loro infelice condizione.