La madre (Deledda)/Capitolo 4

Capitolo 4

../Capitolo 3 ../Capitolo 5 IncludiIntestazione 10 dicembre 2014 100% Da definire

Capitolo 3 Capitolo 5

[p. 27 modifica]




Quel pianto di povere donne, ch’era tutta un’espressione di amore, di speranza, di desiderio verso un bene non terreno, la madre se lo sentiva risalire dalle viscere in quell’ora di angoscia. Il suo Paulo! il suo Paulo! Il suo amore, la sua speranza, il suo desiderio verso un bene non terreno, ecco che glielo prendeva lo spirito del male; e lei stava lì ferma in fondo alla scaletta come in fondo a un pozzo, senza tentare di salvarlo.

Le sembrò di soffocare: il cuore le si gonfiò, duro come una pietra; le fece male. Si alzò per poter respirare meglio, risalì e riprese il lume; e tenendolo alto si guardò attorno nella sua cameretta nuda, dove il solo letto di legno e un armadio tarlato si tenevano compagnia come due vecchi amici. [p. 28 modifica]

Era una camera di serva, la sua: ella non aveva mai preteso di mutar sorte, contentandosi della ricchezza ch’era per lei l’esser madre del suo Paulo.

Passò nella camera di lui: bianca, col piccolo letto verginale, un tempo questa cameretta era ordinata e semplice come quella d’una fanciulla: egli amava la quiete, il silenzio, l’ordine, e teneva sempre i fiori sul tavolino da studio, davanti alla finestra; da qualche tempo però non si curava più di nulla; lasciava i cassetti aperti, i libri sulle sedie, e anche per terra.

Dall’acqua con cui s’era lavato prima di uscire, esalava un forte profumo di rosa: una veste di lui stava buttata lunga distesa per terra come un’ombra: l’ombra di lui caduto.

Quell’odore, quell’ombra, scossero di nuovo la madre dal suo avvilimento; sollevò con sdegno la veste caduta, e sentì di aver tanta forza da sollevare così anche lui. Poi mise un po’ d’ordine nella camera, camminando forte senza più darsi pena di smorzare il rumore delle sue scarpe [p. 29 modifica]da contadino. Riaccostò al tavolino la sedia di cuoio ov'egli sedeva per studiare, e ne sbattè i piedi sul pavimento come per ordinarle di star lì e prometterle che egli sarebbe tornato presto al suo posto: poi guardò verso il piccolo specchio appeso accanto alla finestra....

Nella casa di un sacerdote non è permesso tenere specchi: egli deve vivere senza ricordarsi che ha un corpo. Per questo, almeno l'antico parroco osservava la legge; e lo si vedeva dalla strada farsi la barba guardandosi nel vetro della finestra aperta, dietro il quale metteva un panno nero! Paulo invece era attirato dallo specchio come dalla fontana dove c'è un viso che sorride, attira e fa cadere dentro.

Ed ella strappò dal chiodo il piccolo specchio che rifletteva il suo viso scuro e sdegnato e i suoi occhi minacciosi: l'ira a poco a poco la vinceva. Spalancò la finestra, lasciando penetrare il vento per purificare l'aria; e i libri e i fogli sulla tavola parvero animarsi, svolazzando qua [p. 30 modifica]e là fino agli angoli più lontani della camera; la frangia della coperta del Ietto tremò tutta, la fiammella del lume si piegò paurosa.

Ella raccattò i fogli e li rimise sul tavolino. Allora vide una Bibbia aperta, con una figura colorata che a lei piaceva tanto, e si chinò a guardarla meglio: ecco, è Gesù pastore con le pecore che s’abbeverano al fonte in mezzo alla foresta: fra i tronchi degli alberi, sullo sfondo azzurro dell’orizzonte s’intravede una città rossa, illuminata dal tramonto: una città santa, la città della salvezza.

Sì, nei tempi passati egli vegliava la notte studiando; la finestra davanti a lui s’apriva sul ciglione fiorito di stelle; l’usignuolo cantava per lui.

Il primo anno di residenza nel paesetto, egli parlava di andarsene, di tornare nel mondo; poi s’era come addormentato, all’ombra del ciglione, tra il mormorio degli alberi: e sette anni erano passati così, e la madre non lo incitava a muoversi perchè erano tanto felici lassù, nel [p. 31 modifica]paesetto che a lei sembrava il più bello della terra perchè il suo Paulo ne era il Cristo e il Re.

Rinchiuse la finestra e riattaccò lo specchio che rifletteva il suo viso divenuto pallido, con gli occhi velati di lagrime.

Ancora una volta si domandò se non s'ingannava. Si volse, prima di uscire, verso il crocifisso appeso alla parete davanti ad un inginocchiatoio, sollevando la lucerna per vedere meglio: e nella mossa che fecero le ombre le parve che il Cristo scarno, nudo, teso sulla croce, piegasse la testa per ascoltare quello che lei voleva dirgli. Allora grosse lagrime le caddero dagli occhi, lungo il viso, sopra le vesti: e le parvero di sangue.

— Signore, salvaci tutti. Anche me, anche me. Tu che sei pallido, senza sangue, col viso, sotto la corona di spine, dolce come la rosa nel rovo; tu che sei sopra le passioni nostre, salvaci tutti.

E uscì rapida; scese nuovamente la scaletta, attraversò le stanzette terrene. Al chiarore improvviso della lucerna, [p. 32 modifica]qualche mosca si svegliava ronzando intorno agli spigoli dei vecchi mobili.

Dalla stanzetta da pranzo, sulla cui piccola finestra alta il vento e il rumore degli alberi del ciglione si sbattevano con un fragore di pioggia, passò nella cucina e sedette davanti al camino, dove il fuoco era già coperto di cenere.

Anche là dentro tutto tremolava per il vento che penetrava dalle fessure: e le pareva di essere, non in quella lunga e bassa cucina col soffitto obliquo sostenuto da una infinità di travi e travicelli anneriti dal fumo, ma in una barca in mezzo al mare sconvolto.

E benché decisa ad aspettare il ritorno del figlio e cominciare subito la lotta, cercava di credere ancora d'ingannarsi.

Trovava ingiusto che Dio le mandasse un dolore così. Ed ecco di nuovo ricostruiva tutto il suo povero passato, frugando nei suoi giorni per trovarvi il seme del male presente: e tutti i suoi giorni erano lì, sul suo grembo, duri e puri come i grani del rosario che le sue dita tremanti palpavano. [p. 33 modifica]

Nulla aveva fatto di male, lei, se non forse qualche volta col pensiero.

Si rivedeva ragazzetta, orfana, in casa di parenti poveri, in quello stesso paesetto, maltrattata da tutti: andava scalza, con grossi carichi sulla testa, a lavare i panni al fiume, a portare il grano da macinare al molino. Un suo zio, già quasi vecchio, era servo aiutante del mugnaio; e ogni volta che ella scendeva al molino, se nessuno li vedeva, la rincorreva fin dietro le fratte e le macchie di tamerici e la baciava pungendole il viso coi peli ispidi della sua barba; e la copriva tutta di farina.

Quando ella raccontò questo in casa, le zie non la lasciarono più andare al molino. Allora l'uomo, che non veniva mai in paese, una domenica ritornò in casa e disse che voleva sposare la ragazza. Gli altri parenti rìdevano e gli davano degli spintoni e gli passavano la scopa sulle spalle per togliervi la farina; egli lasciava fare, guardando la ragazza con occhi lucenti. Ed ella accettò di sposarlo; e [p. 34 modifica]continuò a stare in casa dei parenti, ma ogni giorno scendeva al molino, e il marito, ch'ella continuava a chiamare zio, le dava una piccola misura dì farina di nascosto del padrone.

Un giorno, mentre tornava su con la farina nel grembiale, le parve che in mezzo vi si agitasse qualche cosa. Lasciò spaventata le cocche del grembiale, e la farina le si sparse tutta ai piedi: allora si buttò a sedere per terra, con un senso di vertigine: le pareva ci fosse il terremoto; tutto si spaccava, intorno, le casette del paese crollavano e le pietre rotolavano sul sentiero. Anche lei si avvoltolò sull'erba bianca di farina, poi si alzò e si mise a correre ridendo, ma ancora un po' spaventata: sì accorgeva di essere incinta.