La madre (Deledda)/Capitolo 25

Capitolo 25

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Eccolo di nuovo su per la scaletta buia; ma il pericolo era superato o almeno la paura del pericolo.

Eppure si fermò davanti all’uscio della madre pensando ch’era bene riferirle subito l’esito del colloquio e la minaccia di Agnese: ma ne sentì il russare sbuffante e andò oltre. Dormiva, la madre, perchè oramai era sicura di lui e lo sentiva salvo.

Salvo! Si guardò attorno, nella sua camera, come fosse tornato davvero da un viaggio disastroso: tutto era ordinato e quieto, ed egli cominciò a spogliarsi movendosi in punta di piedi, deciso a non rompere più quell’ordine, quel silenzio. [p. 206 modifica]

Ed ecco le sue vesti pendono dall’attaccapanni, più nere della loro ombra sulla parete; ecco il cappello in cima sopra un collo sottile di legno che si sporge in avanti, e le maniche della sottana floscia che si abbandonano giù con stanchezza.

E tutto quel fantasma scuro e vuoto, come spolpato e dissanguato da un vampiro, gli destava quasi paura; gli sembrava l’ombra dell’errore dal quale s’era liberato ma che lo aspettava per riaccompagnarlo il giorno dopo per le vie del mondo.

Un attimo; e si accorse con terrore che ricadeva nell’incubo. Non era salvo ancora: bisognava attraversare un’altra notte, come un ultimo tratto di mare burrascoso.

Era stanco, le palpebre gli si chiudevano pesanti, ma un’angoscia indefinita gl’impediva di buttarsi sul letto, e persino di sedersi, di riposarsi in qualche modo.

E continuava ad andare qua e là, indugiandosi a fare delle piccole cose insolite, ad aprire piano piano i cassetti, a guardare che cosa c’era dentro. [p. 207 modifica]

Passando davanti allo specchio si guardò, si vide grigio in viso, con le labbra violacee e gli occhi infossati. Guardati bene, Paulo — disse alla sua immagine, — e si scostò un poco perchè il chiarore della lampada battesse meglio sullo specchio. Anche la figura dentro si scostava, pareva volesse sfuggirlo; ed egli la fissava, ne vedeva le pupille dilatate e provava una strana impressione, gli pareva che il vero Paulo fosse quello, un Paulo che non mentiva, che rivelava nel pallore del suo viso tutta la sua paura del domani.

— Perchè io invece fingo a me stesso una tranquillità che non sento? Bisogna partire questa notte stessa, come lei vuole.

E andò, un poco più calmo, a buttarsi sul letto.

Allora, a occhi chiusi, col viso affondato sul guanciale, credette di veder meglio dentro la sua coscienza.

— Sì, bisogna partire questa notte stessa. Cristo medesimo impone di evitare gli scandali. È bene svegliare mia madre, avvertirla, possibilmente partire assieme, [p. 208 modifica]che ella mi riporti una seconda volta con sè, come da bambino, e che io possa ricominciare una nuova vita.

Ma sentiva che tutto questo era esaltazione; che non aveva il coraggio di fare quanto pensava.

E perchè poi? In fondo era certo che Agnese, a sua volta, non avrebbe tenuto la minaccia. Perchè dunque andarsene? Neppure il pericolo di tornare da lei e di perdersi con lei lo minacciava più: ormai aveva superato la prova.

Ma l’esaltazione lo riprendeva.

— Eppure devi andartene, Paulo; sveglia tua madre e partite assieme. Non senti chi è che ti parla? Sono io, sono Agnese. Tu credi davvero che io non terrò la minaccia? Non la terrò forse, eppure ti dico lo stesso di andartene. Tu credi di esserti staccato da me? Ed io sono dentro di te, sono il mal seme della tua vita. Se tu resterai qui non ti abbandonerò un istante; sarò l’ombra sotto i tuoi piedi, il muro fra te e tua madre, fra te e te stesso. Vattene. [p. 209 modifica]

Ed egli cercava di placarla, per placare la sua coscienza.

— Vado, sì, non senti? Vado, andiamo assieme, tu dentro di me, più viva di me: placati, non tormentarmi più; siamo assieme, viaggiamo assieme, trasportati dai tempo, verso l’eternità. Divisi e lontani eravamo quando i nostri occhi si guardavano e le nostre bocche si baciavano: divisi e nemici: solo adesso comincia la nostra vera unione, nell’odio tuo, nella mia pazienza, nella mia rinunzia.