La leggenda di Tristano/XXII
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XXII. — Or dice lo conto che T. e Governale istettero in mare VIIII mesi. E se alcuno mi domanderae lá ove arivò T., io diroe ch’arivò in Irlanda ala corte del re Languis, lo quale iera cognato del’Amoroldo, il quale morio dela fedita che T. gli diede. E dappoi che la nave di T. fue aconcia ed egli si prese l’arpa e incominciò a sonare. Ed iera presso a giorno e sonoe tanto dolcemente che lo re Languis l’udíe infino nela camera sua. E intendendo lo suono dell’arpa, parveli tanto dolce a udire che si levoe del letto e vestisi e venne ala finestra, la quale è sopra lo porto del mare, e quivi istette tanto quanto T. sonò. E dappoi ch’ebe lasciato T. di sonare, mise uno grande grido e disse: «Oi lasso me, morrò io in cotale maniera?». E queste parole intese bene lo re Languis e incontanente si chiamoe IIII damigelli e disse loro: «Andate laggiuso dal porto e domandate chi è quegli c’hae sonato». E li damigelli vennero e fecero quello comandamento. E lo re non si potte attenere e venne di dietro con altra gente assai, e venne a T. e salutollo cortesemente; ed egli gli rendeo suo saluto. E lo re disse: «Onde siete voi?». E T. disse: «Sono uno cavaliere aventuroso di lontano paese, e ora per disaventura si fui ferito e non truovo neuno aiuto del mio male». Ed allora rispuose lo re e disse: «Dappoi che tu se’ cavaliere aventuroso, io voglio che tu vegni a stare nel mio palazzo». E T. disse ch’egli non potea andare. E allora comanda lo re ali suoi damigelli che lo debiano portare a braccio nelo palagio suo, ed egli fecero il suo comandamento, e fugli fatto uno grande letto su nel palagio deio re.