La leggenda di Tristano/XLVI
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XLVI. — In questa parte dice lo conto che dappoi che T. fue guerito, sí che potea portare arme, lo re Marco mandoe per tutti li suoi baroni e cavalieri, che debiano tutti essere a corte con loro dame e damigelle, in pena d’essere distrutti. E questo fece lo re Marco per amore dela damigella dell’Agua dela Spina. Ma quando lo comandamento venne alo cavaliere dela damigella, ebe grande paura d’andare a corte, per paura di T. E la damigella gli disse: «Cavaliere, non temere, ché di T. t’assicuro io bene». Allora si parte lo cavaliere cola damigella e vanne a corte delo re Marco, e lo re gli fece grande onore per amore dela damigella. E comandoe che fossero messi cinque padiglioni ala marina, imperciò ch’egli vi si volea andare a sollazzare. E appresso di queste parole, si andoe lo re con tutti li suoi baroni e cavalieri e con loro dame e damigelle a mangiare a’ padiglioni ala marina. E dappoi che fimo messi a tavola e mangiavano con grande allegrezza, ed e’ venne uno cavaliere erante, armato di tutte arme, e cavalcò per mezzo deli padiglioni. E guardando in fra li cavalieri disse: «Re Marco, io sono uno cavaliere errante che vo cercando le strane aventure per lontani paesi, e sono giovane cavaliere, né anche domandai dono a neuno re. E imperò sí vi dimando voi uno dono, sí veramente che quello che io vi domanderò, io possa menare lá dove mi piacerae». E lo re disse: «Cavaliere, dimanda ciò che ti piace». Ed egli disse: «Io vi domando questa damigella dell’Agua dela Spina». E lo re glile donò, ed egli prese la damigella e puosela a cavallo in sun uno pallafreno, e prende suo camino.
XLVII. — Ora dice lo conto che dappoi che Lambegues
vide che lo cavaliere andoe via cola damigella, prese l’arme
e montoe a cavallo e andoe dietro alo cavaliere. E tanto cavalcoe in tale maniera che lo giunse in uno bello prato. E
incontanente che lo vide, sí lo isgridoe e dissegli: «Cavaliere,
guardati da me, ch’io ti disfido». E allora incontanente li
cavalieri sí si dirizzarono le teste deli distrieri l’uno inverso
l’altro e abbassano le lancie e vegnosi a fedire, e feggonsi
insieme li cavalieri e ruppersi le lancie addosso. E Lambegues
andoe in terra del cavallo e fortemente innaverato e Blanore
sí si n’andoe cola damigella. Ma T. volontieri sarebe andato
a combattere con Blanore, se non fosse per paura del re Marco,
perch’egli sapea che lo re l’amava di tutto suo cuore, e imperciò non andoe egli a combattere con lui. E istando in cotale maniera, ed egli si passarono dappresso ali padiglioni due
cavalieri erranti, armati di tutta arme, e andavano per la via
diritto al diserto di Nerlantes, e non salutarono lo re Marco
né sua corte. E allora disse lo re a Gheddino: «Vae dirieto
a quegli cavalieri, e di loro da mia parte ch’egli tornino a
me a dirci novelle delo re Arturi e dela reina Ginevra e come
fanno li buoni cavalieri». E Ghedin disse: «Questo farò io
volontieri». Allora montò a cavallo e tenne dirieto ali cavalieri e tanto cavalca in tale maniera che gli ebe giunti in una
grande valle. E disse loro: «Cavalieri, lo re Marco vi manda
a dire per me che voi dobiate tornare a lui che egli vi vuole
domandare di novelle». E li cavalieri dissero che dovesse
loro perdonare e dovessegli iscusare al re Marco e dovessegli
dire ch’eglino non potiano tornare ora, «imperciò che noi
andiamo in una aventura. Ma ala nostra ritornata noi torneremo a lui molto volontieri». Allora disse Ghedin: «Questa
villania non farete voi giá, che voi non torniate a lui, dappoi ch’egli il vi manda a dire per me». E li cavalieri dissero:
«Noi non torneremo in nessuna maniera». E Ghidin disse:
«E si farete al nome di Dio, se no io vi ne meneroe per
forza, o vogliate voi o noe». Ed allora Gheddin si prese per
lo freno l’uno deli cavagli deli cavalieri, e menavane lo