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XCVI. — In questa parte dice lo conto, che quando T. intese queste parole sí si incomincioe molto a confortare. E disse: «Governale, io non so in che maniera noi possiamo parlare a madonna Isotta, imperciò ch’io credo che lo re Marco sí la fa guardare e la guarderá oltra misura. Ma tutta fiata noi faremo sí come voi avete detto». Dico che tutta la notte T. non calò di piangere, e cosí passò quella notte con molto grande dolore. E dappoi che lo giorno fue venuto, e Governale sí si levoe e aconciò bene i cavagli. E dappoi ch’egli gli ebe aconci, e T. sí si levoe tutto armato, sí com’egli s’iera coricato e cogli isproni in piede. Ma dappoi che fue levato, non si potea sostenere coll’arme ch’egli avea indosso, tanto si dolea del braccio. Ed allora incontanente sí chiamoe Governale e dissegli: «Ai, Governale, amico mio, per Dio aiutami disarmare, imperciò ch’io non posso sofferire l’arme in nessuna maniera». E Governale quando intese queste parole fue molto dolente, e pensò e disse infra se medesimo: «Ora ben veggio che T. non potrá campare, tanto gli [p. 139 modifica] abonderá lo tosco dela fedita ch’egli hae. Oi lasso!» disse Governale e sí andò a lui e aiutollo disarmare. E dappoi che T. fue disarmato, e Governale sí si mise indosso l’asbergo di T., e dappoi sí montarono a cavallo ambidue. E T. si mise indosso altri drappi e Governale sí portava tutte l’arme di T. e cavalcava uno palafreno molto bello. E a tanto si partirono dela magione dela savia damigella e presero lo cammino per andare inverso Tintoil.