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XCV. — Ma in questa parte dice lo conto, che, dappoi che T. fue nel letto, sí incominciò a fare lo maggiore lamento che giamai fosse fatto per uno cavaliere. E dicea infra se medesimo: «Ora bene son io morto, dappoi ch’i’ ho perduta madonna Isotta, imperciò ch’ella sí era la mia vita e lo mio conforto e lo mio sollazzo e lo mio avere e tutta mia isperanza. E ora abo perdute tutte queste cose, e imperciò bene dovrei io morire». Molto si dolea T. di questa aventura. Ma Governale lo riconfortava tutta fiata, ma lo suo conforto non gli valea neente, imperciò ch’egli sí si dolea troppo di questa aventura. E T. disse: «Governale, come dite voi ch’io no mi debia uccidere? E non vi ricorda voi quand’io combattei [p. 138 modifica] col’Amoroldo d’Irlanda e ch’io fui fedito d’una saetta attossicata nela coscia e non trovava guarigione in nessuna parte, infino che noi non andamo in Irlanda, sí come voi sapete? E la bella dama Isotta sí mi diede guarigione. E imperciò meglio è ch’io muoia, ch’io viva languendo lutto tempo». E incontanente che T. ebe compiute di dire queste parole, si tramortio un’altra volta. E Governale vedendo che T. iera tramortito, ebe grande paura che T. non morisse per questa cagione. E incontanente T. tornò in sua materia. E Governale quando vide che T. iera tornato in sua materia, disse: «T., io vi prego che voi vi dobiate confortare. E alo matino sí monteremo a cavallo e sí andremo inverso a Braguina e sí le diremo ch’ella vegna co noi, e io so bene ch’ella verrá e inmantenente. E quand’ella sará venuta a noi, sí la domanderemo di madonna Isotta e prenderemo da lei alcuno consiglio per voi, sí che se Dio piace voi tornerete tosto a guerigione».