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la leggenda di tristano 139


derá lo tosco dela fedita ch’egli hae. Oi lasso!» disse Governale e sí andò a lui e aiutollo disarmare. E dappoi che T. fue disarmato, e Governale sí si mise indosso l’asbergo di T., e dappoi sí montarono a cavallo ambidue. E T. si mise indosso altri drappi e Governale sí portava tutte l’arme di T. e cavalcava uno palafreno molto bello. E a tanto si partirono dela magione dela savia damigella e presero lo cammino per andare inverso Tintoil.


XCVII. — Ma in questa parte dice lo conto, che quando T. sí partio dala magione dela savia damigella, egli sí lascioe tutti li suoi drappi, i quagli egli avea, nela magione dela savia damigella, che non ne portarono neuno co loro. Ma dappoi che fuorono partiti sí come detto è, e eglino sí cavalcarono tanto per loro giornate che pervennero appresso a Tintoil. E istando in cotale maniera, e T. sí era molto doloroso a ciò e perch’egli non avea cui mandare a madonna Isotta. Ma istando per uno poco, e una damigella si venia da uno castello, lo quale sí era appresso a Tintoil, e cavalcava ala corte del re Marco ed iera in compagnia di due iscudieri. E quando T. la vide, sí ne fue molto allegro e disse a Governale: «Governale, eco una damigella per la quale noi potemo mandare a dire a madonna Isotta lo nostro convenentre». E dicendo queste parole, e la damigella sí fue giunta a T. Ma quando T. la vide, si ne fue molto allegro, imperciò ch’egli sí la conoscea bene. E la damigella quando vide T. sí gli fece grande festa e grande onore e grande gioia; e T. fece il somigliante a lei. E istando in cotale maniera, e T. sí disse: «Damigella, a voi si fae mistiere che voi sí mi facciate uno messaggio, lo quale io voi diroe». E la damigella rispuose e disse: «Monsegnor T., comandatemi arditamente tutto quello che voi volete che per mee si faccia, ché per mia fé io farò molto volontieri tutto quello che a voi debia piacere». E T. disse: «Damigella, io voglio che voi sí dobiate andare a madonna Isotta, e ditele dala mia parte sí com’io sono innaverato e malamente, e la fedita ched io abo sí è mortale e sanza neuno