La leggenda di Tristano/CLXXII

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CLXXII. — In questa parte dice lo conto, che istando l’Amorat in cotale maniera, sí come detto èe, e combattendo con Meliagus molto duramente, e monsignor Lansalotto sí fue giunto a lui. E quando vide la battaglia, la quale eglino faciano, fue molto doloroso, e disse a l’Amoratto: «Amorat, ditemi per quale cagione combattete voi con questo cavaliere. Io sí voglio che voi sí lasciate ora questa battaglia, imperciò ch’io so che intra voi due non hae ora neuna querella, per la quale debbia essere menata a fine». E incontanente si mise in mezzo di loro tutto a cavallo, sí com’egli iera. Ma quando Meliagus vide lo cavaliere, lo quale iera intrato in mezzo di loro due, fue molto doloroso e disse: «Per mia fé, cavaliere, voi non fate cortesia, quando voi non mi lasciate menare a fine mia battaglia, la quale io abo presa con questo cavaliere». E quando Lancialotto intese queste parole, disse: «Cavaliere, ditemi, se Dio vi salvi, per che cagione avete voi presa questa battaglia?». E quando Meliagus intese queste parole, disse: «Cavaliere, noi sí combattiamo imperciò che l’Amorat sí dice che la dama d’Organia è piú bella dama che non è madama la reina Ginevra. Ond’io combatto co lui per questa cagione». E quando monsignore Lancialotto intese queste parole, fue molto dolente e disse a l’Amorat: «E com’è Amoratto, e andate voi dispregiando mia dama in cotale maniera? Per mia fé, voi avete molto fallito e molto malvagiamente contra mee». E incontanente ismontoe da cavallo e imbraccioe lo scudo e mise mano ala spada, e disse: «Cavaliere, ora lasciate a me questa battaglia, imperciò ch’io la voglio menare a fine, perch’io debo difendere madama da tutti li cavalieri». E quand’egli ebe dette queste parole, ed egli sí andò inverso l’Amorat cola spada isguainata e fedilo sopra l’elmo, e diedegli sí grande [p. 225 modifica] lo colpo che l’Amorat inchinoe la testa e molto malvagiamente. E quando l’Amorat ebe ricevuto lo grande colpo, lo quale Lancialotto gli avea dato, fue molto doloroso a dismisura e disse: «Per mia fé, Lansalotto, voi fate molto grande villania, quando voi non ci lasciate menare a fine nostra battaglia, la quale noi avemo incominciata intra noi due. Ma ora lasciate combattere per vostra cortesia noi due, sí come noi avemo incominciata nostra battaglia».

Ma quando Meliagus intese le parole del’Amorat e intese come questi iera monsignor Lansalot di Laca, fune molto dolente, e disse: «Per mia fé, cavaliere, voi fate la maggiore villania ch’unqua fosse fatta per uno cavaliere, quando voi m’avete tolta mia aventura. E imperciò vi priego che voi sí dobiate lasciarne nostra battaglia, e se voi volete combattere, andate a cercare vostra aventura in altra parte». E quando monsignor Lansalotto intese queste parole, disse: «Per mia fé, cavaliere, voi non potete provare al’Amorat questa aventura, e imperciò io la proverò a lui e per forza d’arme». Ed allora incontanente andò inverso l’Amorat e fedilo sopra lo scudo uno molto grande colpo, sí che ne portò uno grande pezzo a terra. E quando l’Amorat vide che Lancialotto volea pur combattere co lui per questa aventura, incontanente disse: «Per mia fé, Lancialotto, questi colpi che voi m’avete dati siranno ricontati davanti alo re Artú, sí come voi m’avete ferito molto malvagiamente per due fiate. Laond’io sí conteroe tutta questa aventura alo re Artú, sí com’è istata. E imperciò io vi dico ch’io non voglio piú combattere con voi».

Ma quando messer Estore intese le parole che l’Amorat avea dette, incontanente andò a monsignor Lansalotto, e quando fue a lui, ed egli sí gli disse molto pianamente: «Per mia fé, cuscino, voi non fate cortesia, quando voi combattete col’Amorat per questa aventura. Ond’io voglio che voi sí lasciate questa battaglia e non combattete piú co lui; imperciò che voi sapete lo convenentre, lo quale è istato intra voi e madama la reina Ginevra. Onde per lo certo il sappiate, se lo re Artú sapesse queste cose, per neuna cagione voi sí ne potreste iscusare, [p. 226 modifica] e sareste molto biasimato, e lo re non vi vorrebe vedere in sua corte. E imperciò io voglio che noi sí dobiamo montare a cavallo e sí andiamo al’Amorat, e sí lo pregheremo ch’egli sí vi debbia perdonare, né che di queste cose egli non debia dire neente, sí che voi non siate incolpato di questa aventura né madama la reina Ginevra per voi».