La leggenda di Tristano/CLXVII

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CLXVII. — A tanto dice lo conto, che dappoi che monsignor Lancialotto fue partito, sí come detto èe, e l’Amoratto incominciò a cavalcare per la foresta, alo picciolo passo delo distriere, ed iera molto doloroso di tutto quello che a lui iera incontrato. Ma cavalcando in cotale maniera, ed egli sí incomincioe a cavalcare per uno sentiere, il quale iera molto istretto, e tanto cavalcò in cotale maniera che lo giorno sí trapassoe e la notte appressimoe. E quando l’Amorat vide la notte, ed egli sí incominciò a cavalcare di fuori dalo sentiero, e istando per uno poco, ed egli sí guardò e vide una cappella tutta guasta. E l’Amorat vedendo la cappella, incontanente andò in quella parte, e quando fue in quella parte dela cappella, ed egli sí ismontoe da cavallo e trasse lo freno alo suo cavallo e lasciollo andare a pascere. E istando per uno poco, ed egli sí andoe nela cappella e puosesi a sedere, e incomincioe fortemente a pensare in tale maniera in quello che a lui iera addivenuto. [p. 219 modifica]

Ma istando egli in cotale maniera, e la notte fue venuta nera e iscura. E istando per uno poco, e uno cavaliere sí fue giunto ala cappella, armato di tutte arme; e quando fue ala cappella, ed egli ismontoe da cavallo, e acconcioe suo cavallo, sí come si convenia. E quando egli ebe acconcio lo suo cavallo, ed egli sí si trasse l’elmo di testa e levossi lo scudo da collo e puosesi a sedere. E istando per uno poco, ed egli incominciò a fare lo maggiore pianto che giamai fosse stato fatto per uno solo cavaliere, e dicea infra se istesso: «Certo io posso bene dire, che al mondo non hae neuno cavaliere che tanto abia di dolore né di pensieri né che tanto si possa lamentare quant’io; quando io per una dama io mi sono messo ad andare errante per lo mondo ed abo abandonato tutto lo mio reame e voe cercando aventura pegli lontani paesi. E s’io di questo male avesse dala mia dama alcuno conforto, a me non curerebe di tutto questo dolore. Ma io veggio che per ciò la mia dama non cura neente di me ned a me non parla. Ond’io vorrei morire». E appresso sí si lamentava contra l’amore e dicea: «Ai, amore, fello e traditore e pieno di tutta fallanza, che m’hai ingannato! Quando io mi credea avere de voi tutto mio volere, e io mi truovo piú abandonato da voi. E sed io sapesse che voi a tutti gli amanti facesse lo somigliante di mee, io di questo dolore non curerei tanto. Ma considerando sí come tutti gli altri cavalieri sono meritati da loro dama di tutta allegrezza, e io lasso taupino non mi posso allegrare per neuna cosa, che la mia dama abbia donato a mee! Ma io non lasceroe di servire in nessuna maniera, imperciò ch’io so bene ch’ella è la piú alta reina che sia al mondo e la piú bella e la piú cortese, in cui è tutta cortesia, ed è dama dele dame ed è reina dele reine. E imperciò io non mi voglio cessare di servire in nessuna maniera».