La leggenda di Tristano/CLXV
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CLXV. — Ma se alcuno mi domanderae come avea nome lo cavaliere con cui l’Amoratto coinbatteo, io diroe ch’egli sí fue lo re Arturi, lo quale iera perduto e andava tutto giorno per lo diserto, faccendo sue cavallerie e abattendo tutti li suoi cavalieri; ned egli non potea parlare a neuno cavaliere, sí fortemente iera incantato, sí come questo libro diviserae apertamente. Ma dappoi che l’Amorat fue abattutto, sí come detto èe, ed egli sí andò appresso alo suo cavallo, e istando per uno poco, ed egli sí montò a cavallo e incominciò a cavalcare alo picciolo passo delo distriere. Ma tanto cavalcò in cotale maniera, ched egli sí vide venire uno cavaliere, il quale sí era armato di tutte arme, lo quale cavaliere cavalcava molto pianamente. Ma tanto cavalcarono in cotale maniera, che ambodue sí fuorono giunti insieme. E quando l’Amoratto vide lo cavaliere, fue molto allegro, imperciò ch’egli sí lo conoscea. Ma istando per uno poco, l’Amorat sí salutoe lo cavaliere molto cortesemente, e lo cavaliere sí gli rendeo suo saluto. Ond’io voglio che voi sappiate, che questo cavaliere si era monsegnor Lancialotto di Lacca. Li quali sí fecero molto grande sollazzo e grande festa insieme, quando eglino si ritrovarono insieme. E istando per uno poco, e Lancialotto disse a l’Amoratto: «Amorat, io vi so dire novelle, che lo re Arturi è perduto nel diserto». E l’Amorat disse: «Per mia fé, Lancialotto, io trovai questo maitino monsignor lo re Arturi e combattei co lui, lo quale mi donò uno sí grande colpo ched egli sí m’abatteo a terra del cavallo; e quando egli m’ebe abattuto, ed egli sí incominciò a cavalcare molto fortemente, sí che io no gli potti parlare in nessuna maniera. E sappiate ched egli si portava tutte l’arme ad azzurro e le stelle d’oro. Onde sappiate ched egli sí m’hae innaverato molto duramente». E quando monsignor Lancialotto intese queste parole, fue molto doloroso e disse: «Per mia fé, Amorat, di vostro damaggio mi duole assai. Ma io voglio che voi sappiate ched io sí lo voe cercando per tutti parti, ned io unqua no lo posso trovare in nessuna maniera, e io non soe per quale cagione mi l’adivegna. Ma tanto mi dite, se Dio vi salvi, se voi sapete neuno altro cavaliere, lo quale si sia messo in aventura per questo diserto». E quando l’Amoratto intese queste parole, fue molto allegro; imperciò ch’egli si ricorda bene del’ambasciata, ond’egli fue tanto pregato. E istando per uno poco, disse PAmoratto a Lancialotto: «Lancialotto, io sí vi saluto molto di parte di monsignor T., delo migliore cavaliere del mondo; lo quale voi manda a dire per mee, ched egli sí hae maggiore volontade di vedervi voi, che de neuna cosa che sia al mondo». E quando monsignor Lancialotto intese queste parole, fue molto allegro e disse: «E com’è ciò? Ed è bene per veritá che T. sia in questo diserto?». E l’Amorat rispuose e disse che sie. E Lancialotto disse: «Per mia fé, Amorat, io abo maggiore volontade di vedere monsignor T. che di nessuna cosa che sia al mondo, per la grande bontade dela cavaleria che è in lui. Ed io abo bene inteso ched egli è lo piú cortese cavaliere che sia al mondo; ma tutta fiata mi dite, se Dio vi salvi, se voi combatteste unqua co lui e s’egli è cosí pro cavaliere, si com’io abo inteso».