La leggenda della cintola di Maria Vergine che si conserva in Prato

Cesare Guasti

1861 Indice:La leggenda della cintola di Maria Vergine che si conserva in Prato.djvu Prato (Italia) La leggenda della cintola di Maria Vergine che si conserva in Prato Intestazione 30 gennaio 2019 100% Da definire


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LA LEGGENDA

DELLA

CINTOLA DI MARIA VERGINE

CHE SI CONSERVA IN PRATO

SCRITTA

NEL BUON SECOLO DELLA LINGUA.

PRATO,

DALLA TIPOGRAFIA GUASTI


MDCCCLXI

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AVVERTIMENTO

Nella quarta impressione del Vocabolario della Crusca venne allegata la Storia 0 Leggenda della Cintola di Prato, alle voci CASUCCIA, GABBIUZZA e GIUNCO, con le abbreviature Vend. Crist., Vend. Crist. Andr., per la ragione ch’essa trovasi in un codice miscellaneo che incomincia con la Vendetta di Cristo; già appartenuto all'abate Pierandrea Andreini, passato poi alla libreria della Nunziata di Firenze, e finalmente nel 1809 trasferito nella Magliabechiana, ove sta al palchetto IV, segnato di numero 56.

Da questo codice, mentre erane possessore l'Andreini, ne trasse copia il senator Filippo Buonarroti per far cosa grata al nostro Giuseppe Bianchini, che innestò questa scrittura nelle sue Notizie istoriche intorno alla sacratissima Cintola di Maria Vergine che si con serva nella città di Prato, stampate in Firenze dal Marmi, nel 1722, e ristampate dal pratese tipografo Vincenzio Vestri nel 1795 e nel 1822.

All’abate Giuseppe Manuzzi parve ben fatto il riprodurla in un con la Storia di Tobia; e con una più accurata collazione dello stesso codice Andreini, poté megliorarne alquanto la lezione. Ma gli studiosi degli antichi monumenti della nostra lingua non han potuto [p. 6 modifica]fin qui giovarsi delle sue fatiche, essendo rimasto inedito quel volumetto, quantunque da trent’anni ne sia quasi terminata la stampa.

Una nuova ristampa ne procurò Michele dello Russo a Napoli, stamperia Ferrante, nel 1858; con alcune note filologiche, e con varianti tratte da un codice Napoletano, che l’editore non dice ove esista.

Avvenne a me poi d'incontrarmi in un codicetto, che non ci offre soltanto una lezione migliore, come quella che sa più d’antico, ma ci da una stesura più ampia, e conseguentemente più ricca di voci e di modi. E appunto su questo codice membranaceo del secolo decimoquarto, che fu donato alla Roncioniana di Prato da monsignor Ferdinando Baldanzi arcivescovo di Siena, fino da quando presiedeva a quella biblioteca, e che ora porta il numero 85 tra i manoscritti, condussi la stampa di questa Storia o Leggenda, che si vede a pagine 244-49 della Bibliografia Pratese compilata per un da Prato, e quivi impressa nel 1844. Ma perché gli Accademici della Crusca, che giustamente han preferito questa seconda lezione, non siano costretti a citarne nel nuovo Vocabolario gli esempi con le pagine del volume in cui venne inserita, io ho pensato di farne un’accurata ristampa, che servirà, come si dice, di testo.

C. G. a. d. c.

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INCOMINCIA LA STORIA ET LA LEGGENDA

COME LA CINTOLA VENNE IN PRATO.


Ioseph ad Arimattia, lo quale ripuosi lo corpo di Iesu Cristo nel mio sepolcro nuovo, e fui colla sua Madre santissima infin ch'ella n’andò in cielo, voglio brievemente narare come in cielo n’andoe, et come la sua santa Cintola rimase in terra all’apostolo santo Tommaso. Onde dovete sapere, che anzi la passione di Cristo con grande umilitade priegò la Vergine Maria il suo figliuolo Iesu Cristo, che tre dì anzi che di questa vita la chiamasse gliel manifestasse. E aprossimandosi il tempo, cioè xxiiij1 anni dopo la sua passione, venne l’angelo Gabriello tre dì anzi che la nostra Donna morisse, e satutolla dicendo; Ave gratia plena, Dominus tecum: et ella rispuose; Deo gratias, amen. Allora l’angelo le diede una palma splendiente, e disse; Dopo’l terzo dì sarà la tua assunzione. Allora ella chiamò me Ioseph sopradetto e gli altri discepoli e li parenti, e’l suo transito manifestò a tutti loro. E venendo l’ora nella quale dovea morire, subitamente gli apostoli furono raunati dinanzi da lei; e subitamente la nostra Donna transì di questa vita, con grande splendore et canti angelici. E gli apostoli lo suo corpo santissimo ripuosero nel monimento con grande pianto et onore. E subitamente la luce di cielo venne sopra gli apostoli, e nombrogli si che caddero in terra: e'l corpo santo [p. 8 modifica]dagli angeli in cielo fue portato; andandone la nostra Donna in cielo a xxxiiij anni dopo l’ascensione di Iesu Cristo. Allora santo Tommaso, essendo menato a monte Uliveto, vide la nostra Donna santissima andare in cielo: ed e’ la chiama, e dice ad alte voci; Madre santa sanza macula, dammi allegrezza per la tua misericordia; dammi segnio della tua assunzione, che io lo possa dimostrare agli altri. Allora la nostra Donna li diede la sua Cintola colla quale era cinta dalli apostoli; lo2 quale santo Tommaso ricevendo divotamente, a lei fece laude e grazie: e venne nella valle di Iosafat, ov’erano li suoi compagni apostoli con molta turba, stando in allegrezza per lo grande splendore che aveano veduto; e basciaronsi divotamente per allegrezza. Allora parlò santo Piero e disse; Sempre fosti duro ed incredulo, e per la tua incredulità è piaciuto a Dio che non sii stato alla sepoltura della sua Madre santissima. Risponde santo Tommaso e dice; Io so veracemente che così è; perciò n’adomando perdonanza a voi miei fratelli. Allora tutti fecero orazione per lui. Poi santo Tommaso parlò e disse; Ove poneste voi lo suo corpo? E li apostoli dissero; Vella quivi in quello avello. Disse santo Tommaso; Non è quivi in quello avello il suo corpo santissimo. Allora tutti fuoro contristati. Dice santo Piero; Tu non volesti credere la resurrezione del nostro Maestro, se non quando mettesti le dita nelle sue piaghe: come crederesti che ’l corpo santo fosse quivi? Allora s’apressimaro al sepolcro, e non vi trovaro lo corpo, e non sapeano più che si dire a santo Tommaso. Allora disse santo Tommaso, come cantando messa in India, fue subitamente menato sul monte Uliveto; e come io vidi lo corpo santissimo andare in cielo: pregandola che mi donasse qualche segnio, che io potesse mostrare com’ella fosse ita in cielo, e ella mi diede la sua Cintola con che era cinta. Ricognoscendo li apostoli la Cintola, diedero gloria a Dio padre, e a santo Tommaso adomandaro perdonanza e benedizione. Allora san Tommaso li benedisse da parte della nostra Donna, ch’elli avea veduta. E subitamente da una nuvila ciascuno nel luogo suo fue riposto. E questo vide Ioseph ah Arimattia, e scrisselo nel suo cuore. Seguita ora a vedere come questo Cintolo venne a Prato, e come capitò alla chiesa del glorioso martire messere santo Stefano, e come per miracoli fue manifestato a’ nostri tempi. [p. 9 modifica]Leggesi nella storia di Ierusalem, che anzi che li apostoli si partissero della valle di Iosaphat, fecero a laude della nostra Donna una grande chiesa, ove lasciò santo Tommaso la Cintola ad uno religioso uomo, lo quale avea moglie e figliuoli in Ierusalem, col quale li apostoli abergavano quando andavano in Ierusalem; lo quale religioso albergando lo detto apostolo santo Tommaso, anzi che ritornasse in India li lasciò la detta Cintola, e comandolli che ne avesse grande cura. Et tenendola con grande reverenzia, l’uno quando moria lo diceva a l’altro suo figliuolo: e così si lasciò di generazione in generazione3, tanto che pervenne alle mani d’uno sacerdote che reggeva la chiesa predetta in Ierusalem; et questo prete aveva moglie legittima; c’ancor li preti di là entro hanno moglie, che non promisero mai castitade a Dio: e questo cotal prete avea una figliuola, la quale avea nome Maria, e tenéla molto caro.




Sappiate che in Prato ebbe uno uomo, lo quale avea nome Michele: e questo Michele disse; Qui non fo io nulla: io voglio andare a visitare la Terra santa. E mossesi a cercare del mondo: e cercando, come Dio volle, capitò in quella terra dove era questo prete. E andando questi per la terra, capitò a casa della moglie di questo prete; e prese a favellare co’ lei; e quelle disse; Onde se’ tu? e quelli disse; lo sono di Toscana, d’uno castello che ha nome Prato. E in questo favellare la figliuola di costei, che avea nome Maria, innamoroe sì forte di costui, che non trovava luogo: e elli volea bene a lei: sì che la madre, vedendo ch’elle voleva cotanto bene a costui, diegliele per marito, che non lo seppe criatura del mondo: che se l’avesse saputo lo padre, ch’era così ricco, innanzi che l’avesse acconsentito, si l’arebbe morta. Sì che per questo la donna vivea in grande paura che non lo sapesse, e disseli così; Michele, io voglio che tu ritorni [p. 10 modifica] in tuo paese, e menatene questa tua moglie: io non ho dota che io ti dia; se non che io ti darò per tua dota una Cintola che fue lasciata agli antichi nostri, che la diede loro uno apostolo di Cristo, e disse ch’era della vergine Maria; e imperciò io la ti darò; e guardala bene, che io t’imprometto, che tu non vorrai nulla cosa da lei, che tu non l’abbi. E questi; La voglio: e diellili in una gabbiuzza di giunchi marini. E questi si mise in via colla moglie. Ora la storia non ricorda questa sua moglie più innanzi, sicché credo che morisse tra via.

E questo Michele se ne venne a Prato con questo tesoro, e puosesi in una casellina dirinpetto alla pieve, dove era il palazzo del Comune; e teneva vita santa e onesta, e visitava continuamente l’altare di nostra Donna. E tale paura avea questo Michele, che no’ li fosse tolta da’ discepoli, ch’elli tenea all’arte delle pelli, che ogni notte si ponea a dormire in soppedano, nel quale continuamente di e notte vi facea ardere una lampana al suo onore: del quale soppedano ogni notte n’era levato, e posto a’ piedi; che non è giusta cosa dormire su sì cara cosa e preziosa. E di questo elli se ne faceva grande meraviglia, e uno suo discepolo, lo quale avea nome Cardo, che’l vide più volte levarnelo a terra. E vivette così questo Michele buono tempo. E poi quando venne a morte, si mandò per lo proposto Uberto, e si li raccomandò questa Cintola, dicendoli, che li fue data in cotale luogo, e come era la Cintola di nostra Donna, secondo che detto li fue; e come dormendo sul soppedano dov’era la Cintola, si trovava in terra: di ciò rendeva testimonianza Cardo e Gottifredo con altri suoi discepoli: e lasciovi questa mia casuccia4, che io non ho altro. E così ragionando co’ lui, fue passato di questa vita. E messere lo proposto Uberto tolse questa gabbiuzza de’ giunchi, dov’era la Cintola, quasi faccendosene beffe, che fusse la Cintola di nostra Donna: e ripuosela in uno soppedano, che vi avea entro paramenti calici e terribili, e altre cose della chiesa. La prima notte, che stette in questo soppedano, si v’ebbe sì grande picchiata entro, che parea che vi fossero entro tutte le martella di questo mondo: e parea loro sentire grandi strepidori per lo dormentoro, con grande strefinata di piedi. Alcuna volta parea che rovinasse la casa; onde li calonaci aveano grande paura. [p. 11 modifica] Parea ancora che candellieri e terribili combattessero insieme. Per la qual cosa il proposto, abbiendo compassione alla famiglia sua, fece torre questa Cintola, e fecela portare nella casellina dell’orto fuori del castello, dov’elli solea stare quand’era di mala voglia; e la sera v’abergò elli con vij compagni. Onde dispiaccendo a Dio, ch’ell’era sì vilmente trattata questa santa Cintola, la notte nel primo sonno s’aprese nella casellina un grande fuoco, e parea che tutta ardesse; sì che appena poterono campare costoro con alquante cose e non vollero gridare, credendo che'l fuoco menimasse; e’l fuoco pur cresceva, e la casa non compieva d’ardere. Temendo il proposto il furore de’Pratesi, e di non perdere le cose che avea, comandò a’ vij suoi servidori che votassero la casa pianamente, che non si sentisse dalla gente: ma per la paura del fuoco non ne trasser ogni cosa; sicchè la santa Cintola vi rimase con altre cose. Faccendosi di, non parea che la casa nè’l fuoco venisse meno: ed elli chiamando i calonaci a veder questo fatto, a pena a pena poteano darmi fede; però che’l fuoco era allora spento, e la casa non era arsa nè guasta. Allora si fecero grande maraviglia: e disse allora il proposto; Io veggio che questa è quella Cintura che mi disse Michele; e questo adiviene perché non sta bene. E d'allora inanzi le fecero grande reverenza, e fecero fare una cassetta d'ariente inorata; et poi la misero nell'altare della vergine Maria, dove è ora con altre orliquie. Disse il proposto; Io non voglio che si predichi ancora al popolo, che nel crederebboro; anzi direbbero che fusse guadagnaria. E quando Michele diede la Cintola al pro posto Uberto fue nel M.C. xlj anno.

Ora avete udito come la Cintola pervenne alla pieve. Ora voglio dire li grandi miracoli che Idio ne mostrò a’ fedeli cristiani.




Nella pieve si avea questa usanza, che quando veniano le feste, si cavavano fuori dell'altare di santa Maria la cassetta, e poneanla in su l’altare di santo Stefano. E per la festa di santo Giovanni [p. 12 modifica] dicollato si trasse fuori la mattina lo bossolo e la cassetta della Cintola, e puoserla su l’altare di santo Stefano. Or avea in Prato una femina, ch’era stata indimoniata per molti tempi, si che i parenti suoi dissero; Menialla alla pieve alle orlique sante; forse che le gioverà. E quando fue menata dinanzi a l’altare di santo Stefano, detta la messa, e uno prete, che avea nome prete Gherardo, tolse il bossole delle orlique e segnolla; e no’le giovò nulla. Uno Piovano v’avea, che avea nome Piovano diacono, lo quale tolse la Cintola: com’elli la levò alta, il dimonio, ch’era in costei, cominciò a gridare fortemente, e a dire: Non mi apressare, che di cotesta cassetta esce si grande odore per una cosa che v’è entro, che tutto m’incende. Disse il Piovano; Che ci ha entro? Disse il dimonio; Non lo ti voglio dire però che n’aresti grande letizia, e sarebbeti molto utile. Dopo le molte parole e contenzioni, disse il dimonio; Elli mel conviene pur dire, e tacere nol posso; che me ne costringe la Donna di vita eterna: io ti dico, che costicentro si è la Cintola della beata vergine Maria, per la quale io e’miei compagni siamo vinti e diserti, e convienmici pur partire. Allora lo Piovano segniò con essa questa femina; e visibilemente l’uscirono di corpo, l’uno dopo l’altro, tre dimoni: e la femina fue liberata. Per la qual cosa ciascuno rendeo laude e grazie a Dio di tanto dono e benefizio. Questo miracolo fue nel M. clxxiij.

In quelli medesimi dì fue l’altro miracolo. Era uno florentino lo quale avea nome Bonafede, lo quale avea uno figliuolo, che avea nome Benedetto, che studiava in lettera, lo quale nel principio della quaresima passata fue stimolato dal dimonio; e nella predetta festa di santo Ioanni dicollato era fortemente dal diavolo stimolato. Allora li suoi parenti mandarono per li preti, perchè insegnassero rimedio al detto pericolo; e ’n segniando coll’acqua benedetta, e dicendoli molte orazioni sopra, lo dimonio incominciò a parlare e a dire; Che pensate voi di fare? per questo non mi caccerete quinci; ed è lungo meno di tre braccia, dice il dimonio, è la Cintola di beata Maria. Dicono li preti; E dov’è? Dice’l dimonio; È nella pieve di Prato. Allora li fiorentini cherici e laici si maravigliarono, e diceano; Non sappiamo che si dica. Considerando questo il padre suo, nella festa di santo Matteo apostolo menò lo suo figliuolo alla chiesa di santo Stefano da Prato: ed essendo menate dinanzi a l’altare, cominciò a fuggire in chiostro. Fue rimenato per forza a l'altare; ed essendo presso [p. 13 modifica] alla Cintola, gridava ad alte boci, e tutto si stemperava: e così tre spiriti dal fanciullo si partirono, essendo toccato dalla santa Cintola: e in nove dì, che stette nella detta chiesa, furono discacciati xviiij spiriti da questo garzone, per li meriti della beata vergine Maria; li quali predicevano molte cose, e rivelavano molti secreti: e rimase libero lo fanciullo.

Fue ancora un’altra femina ne’ confini dell’alpi, la quale era istimolata da’dimoni per iiij anni; sì che udendo la revelazione della santa Cintola, e li grandi miracoli fatti a quelli dì, inmantenente alla nostra Donna si raccomandoe, e alla chiesa di santo Stefano da Prato venne tostamente. Lo dimonio, ch’era in lei, diceva; Questo inpedire non posso, imperò che Maria m’ha comandato che io a quel popolo debbia anunziare cose di salute. Ed essendo giunta nella detta chiesa di santo Stefano, lo dimonio nel mezzo del popolo in cominciò a gridare ad alta voce, e dire; La vostra regina Maria, per la sua Cintola che avete apo voi, m’ha costretto di venire qui, acciò che io vi dichiari della sua santa Cintola a chi n’avesse dubio; e inperciò udite: In me verità non è, ma amo la bugia; ma quello che m’è comandato, tacere non posso. A voi cherici dico; che matrimonio intra parenti non lasciate fare: per questo sono dannati i vescovi che lasciano fare. E pogniamo che questa femmina fosse nata ne’ boschi, parlava sì per gramatica, che tutti coloro che’l vedevano e che l’udiano si maravigliavano. Disse ancora lo dimonio; La vostra regina Maria m’ha comandato che io v’affermi del suo Cintolo che avete apo voi; ad onore del quale io mi debbo partire da questo corpo, ove io sono: e dovvi questo segnio di verità della mia partenza: non mangerà questo corpo infino a tanto ch’io ci sarò; e uscironne domenica notte a primo sonno. E così rimase libera dal dimonio questa femina. La qual cosa veggiendo quelli che v’erano, rendero laude a Dio.

Fue ancora una conversa di santo Ipolito, la quale diece anni era stata indimoniata; la quale venendo a Prato, e stando a giacere a piè de l’altare di santo Stefano come morta, e parlava per gramatica; la quale per li meriti della Cintola della nostra Donna rimase sana e libera.

E con ciò sia cosa che sarebbe troppo lungo dire a narrare tutti li miracoli della predetta Cintola, bastino questi per testimonianza e [p. 14 modifica] conformazione alli fedeli credenti, come l’alto Dio Padre ha dimostrato e dimostra continuamente cose miracolose per lo glorioso Cingolo della nostra Donna santissima; e vergogninsi l’infedeli che ciò non credessero. Or preghiamo lei che ci dia della sua grazia in questo mondo, e poscia ci dia alla nostra fine vita eterna. Amen.

Explicit ystoria sanctissimi Cinguli

virginis Marie.

  1. Più sotto, xxxiiij.
  2. Cioè, cintolo.
  3. Manca in generazione, che prendiamo dall’altro testo.
  4. Il codice legge casucca.