La lanterna di Diogene/VII
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | VI | VIII | ► |
VII.
La costruzione della tavola.
Io lo so, cari bambini, quello che voi volete. Voi volete cenare all’aperto come tutti gli altri: e su la tavola volete un bel lume. Certo fa piacere in su l’ora del tramonto, quando i barchetti riposano sulla riva e le vele rance si accartocciano e dormono, fa piacere, volgendo lo sguardo all’intorno, osservare presso le casette — sparse lungo le dune — le piccole allegre mense. Dopo, si spegne la lampada del sole e si accende quella a petrolio o a gas acetilene. Poi v’è dove si balla, v’è dove, con le coperte del letto, improvvisano un teatro; e ce ne vuole, cari bambini, di consigli e di grida: «A letto, a letto, bambini!» Bisogna portarvi a letto che già siete addormentati. E dopo dieci ore di sonno profondo, voi scendete giù in cucina e trovate la tazza del latte, appena munto, e il cumulo delle fette di pane; e il mare che vi sorride nel sole e vi esorta di fare in fretta a mangiare e correre a lui: senza lavarvi, vero? perchè vi laverete nel mare. Ah, dolci cose e sempre belle e sempre nuove! Ringraziate Iddio almeno, e.... siate un pochino più buoni con me. Senza di me, il latte del buon Dio non verrebbe sino alle vostre labbra. E poi? E poi ricordatevi di questi giorni tutto sole e niente nuvole, ricordatevene per poter dire che la vita è pur bella! Ma già, o ironico destino, essa è bella quando noi non ne abbiamo conoscenza e coscienza.
Ma bando a ciò: voi dunque volete la tavola da metter fuori all’aperto. Ora conviene ordinarne una al falegname, perchè quella che è in questo minuscolo stanzino da pranzo («Dove si soffoca» voi dite. «Verissimo, oh, come bene trovate le ragioni che fanno per voi!») è di greve quercia, e a stento passerebbe per la piccola porta.
— Ci vorrebbe, — voi dite, — come hanno tanti; una semplice tavola greggia di abete, la quale poggia sopra due cavalletti.
— Egregiamente, se non che il falegname è troppo occupato per fare questo lavoro in giornata, e poi domanda di troppo: quindici lire. Il vostro desiderio, bambini miei, non vale le quindici lire. Tuttavia voglio accontentarvi — e così ho pensato: La tavola la farò io.
— Tu? — e il più piccino mi allungò il dito, e il suo sorriso esprimeva non soltanto la meraviglia, ma era atteggiato a quella espressione che fiorisce col fiorir del pensiero, cioè all’ironia.
(Anche tu, piccino, — meditai, — già pensi come la gente del volgo. Tuo padre, perchè vive sui libri, è incapace di lavori veramente utili. Ebbene, vedremo, e ti dimostrerò come chi si compiace in Platone del verbo di Socrate, impara in un attimo le cose minori della vita. Il vero sapere è essenzialmente armonia, se non che quello che ora penso non lo capirai mai, piccino.)
Meglio così.
Una voce di amorevole, ma purtroppo costante contraddizione, la quale è legata alla mia esistenza — aveva aggiunto tal chiosa, ed io tacqui.
*
Al mattino — o care albe rosate — io avevo pronti sull’aia sega, martello, tenaglia, pialla, chiodi, metro e squadra; e come dalla bottega mi furono mandate le tre asse di schietto abete e tre mezzi murali, mi posi all’opera.
Il canto stridulo della sega destò i bambini, e con grande impazienza si dettero la voce che il buon lavoratore già lavorava. Onde discesero con grande impazienza a veder l’opera nuova.
In quel lavoro mi sovvenni di un’eccellente massima che udii or fa gran tempo da una contadina: «cento misure e un taglio solo»; e finchè il sole non fu alto, il lavoro procedette abbastanza bene, ma quando esso salì e distrusse l’ombra a ponente (nè quella a settentrione era ancora formata) la fatica cominciò a farsi greve, e la maglia che mi copriva era imbevuta di sudore. Ma è evidente che si trattava di una fatica di nuovo genere: lavoravano cioè entro il mio corpo altri operai della vita che non quelli che sogliono lavorare abitualmente; operai più allegri.
Della qual cosa mi fece avvertito un mio collega, il quale, passando per il sentiero che fronteggia l’aia, si era fermato ad ammirarmi.
Ed io, levando la faccia, ben lo scorsi attraverso il sudore, ed egli mi disse allora:
— È la prima volta che vi sento cantare.
— Io cantare?
— Voi proprio.
*
Ciò mi accadde per la prima volta — che io ricordo — di cantare lavorando. Nei miei consueti lavori, non goccia il sudore. Bensì talora altro goccia! Ma allegro canto non mai!
Questa è buona chiosa per chi deve cominciare la vita e scegliere una carriera, o bambini!
*
Alla sera la tavola si reggeva alla bell’e meglio sui due cavalletti e, coperta di una tovaglia pulita, era pur bella. E una testa grigia, adorata, era presso le vostre teste bionde!