La guerra nelle montagne/Un valico, un Re, e una montagna/Eserciti e valanghe

Eserciti e valanghe

La guerra nelle montagne/Un valico, un Re, e una montagna La guerra nelle montagne/Soltanto pochi passi più in su... IncludiIntestazione 15 ottobre 2014 100% Da definire

Rudyard Kipling - La guerra nelle montagne (1917)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1917)
Eserciti e valanghe
Un valico, un Re, e una montagna Soltanto pochi passi più in su...
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Eserciti e valanghe


«Ma se dovete costruire una strada, deve essere costruita a perfezione», diceva l’ufficiale.

«Lo ammetto; ma sono assolutamente necessaria queste opere formidabili?».

«Credetemi, noi non mettiamo a posto una pietra più del necessario. Adesso voi osservate le strade in primavera. Ma sulle montagne noi le costruiamo per l’inverno; e devono essere strade capaci di resistere a tutto».

Esse si avviticchiavano al versante del monte su archi pendenti fatti in calcestruzzo; erano rivestite e foderate, per trenta o quaranta piedi in giù, da opere di muratura a punta; protette in alto da scarpate, che spuntavano fuori dalla roccia stessa e ancor più in alto, ad un quarto di miglio, da muri ad ala, per dividere o far deviare le incerte frane di neve ed i ciottoli rotolanti dall’alto.

Queste strade erano attraversate da solidi ponti o da acquedotti in ogni punto ove le acque potessero radunarsi; o fiancheggiate da lunghi rivestimenti e da incanalature di pietra, incassate là dove il fianco della montagna, infradiciatesi, potrebbe scivolare a grandi masse a ventaglio, composte di macerie, che quando le nevi si sciolgono, scaraventano in basso valanghe di pietre ruzzolanti e acqua.

[p. 35 modifica] Ad ogni centinaio di metri di strada si trovavano sempre il solito vecchio ed il ragazzo, il monticello di pietrisco e la pala. E gli autocarri, con la velocità di venti miglia all’ora, scorrevano sulla strada levigata così facilmente come sul piano. Incontrammo un cartello indicatore del Touring, che datava da prima della guerra, con l’avviso alle persone di «fare attenzione» alle valanghe. Un groviglio di pini spezzati come pagliuzze, e sepolti sotto una frana caduta all’impazzata, grande come una casa, dava triste evidenza all’avviso.

«. Prima della guerra la gente soleva parlare sottovoce e trattenere il respiro, quando si passava, d’inverno, per questi recessi. Ma ora! Udite che fracasso fa quella fila di autocarri in quelle gole! Immaginate che cosa deve essere in inverno! Un solo motociclo talvolta determinava una valanga. Abbiamo perduto molti uomini così. Ma le comunicazioni non possono tuttavia cessare perchè c’è la neve».

E non cessavano. Noi correvamo, correvano gli autocarri su relitti di neve in disgelo, circondati da cespugli di genziana, di erica e di corculo e i relitti si ammassavano in lunghe distese, fino a quando non trovammo, alla testa di un valico, dieci piedi di neve ammassata, tutta accuratamente spazzata dalla superficie stradale perfettamente livellata e asciutta. La neve ci seguì saltuariamente attraverso villaggi, i rigagnoli dei quali zampillavano di acqua lucente, e la trovammo ancora [p. 36 modifica]con noi, in larghe distese, quando giungemmo a Cortina. È questa un’ex-stazione climatica e di villeggiatura, la quale fino a poco tempo fa apparteneva agli Austriaci, che l’avevano riempita di alberghi arte nuova, l’uno più scelleratamente brutto dell’altro. Oggi che le truppe e i trasporti vanno e vengono, quelle atrocità a base di ghirigori e di pezzi di vetro colorato sembrano dame imbellettate che stanno confuse in mezzo ad una bisca sorpresa dalla poliza. Il nemico non bombarda molto quegli alberghi perchè questi appartenevano a eccelsi personaggi austriaci che sperano di ritornare e riprendere il loro commercio illustre. Anticamente su Cortina furono scritti romanzi in quantità. Le montagne poco frequentate intorno ad essa servivano mirabilmente da sfondo per racconti d’amore e per avventure alpinistiche. Adesso l’amore è scomparso da questo immane bacino delle Dolomiti, e l’alpinismo viene compiuto da plotoni di soldati con lo scopo di uccidere e non da individui che danno conferenze nei Clubs Alpini.

Nella maggior parte degli altri fronti la lotta si svolge in intimo contatto fra le opere dell’uomo ed i suoi possessi. L’uccisore e l’ucciso si tengono, per lo meno, compagnia, in un mondo che stessi hanno creato. Ma qui si affronta il disprezzo immenso di monti, preoccupati soltanto dei loro casi; poichè tra il gelo, la neve e le acque sotterranee, i monti sono sempre affaccendati. Gli uomini, i muli e gli autocarri, sono pure affaccendati; le strade ne pullulano. Essi abitano città costruite [p. 37 modifica]entro oscure foreste di pini, e le cui navate rimbombano del rumore del macchinario in azione. Essi sfilano fuori, si schierano e si suddividono per i campi nevosi, in alto, a reggimenti intieri, ad arsenali intieri. Volgete altrove i vostri sguardi per un istante, ed essi sono inghiottiti dalla vastità dell’ambiente, prima di giungere alle slanciate muraglie rocciose, dove cominciano le montagne e dove comincia la battaglia.

Non vi è scala di proporzione che possa servire. Le granate più grosse tracciano appena un segno, non più grande di una zanzaretta sull’angolo di una balza, sull’orlo di un fianco di campo nevoso. Un baraccamento per duecento soldati è appena un nido di rondine attaccato sotto grondaie pendenti, visibile soltanto quando la luce è buona — la stessa luce che rivela quella piccola ragnatela luccicante di fili d’acciaio, distesa attraverso gli abissi: la ferrovia aerea che rifornisce quel posto. Alcune di queste linee agiscono soltanto di notte quando i carrelli viaggianti sospesi al cavo non possono essere presi di mira dagli shrapnells. Altre girano e sussurrano continuamente tutto il giorno contro fessure e comignoli della roccia, con i loro carichi di materiale da costruzione, di vettovaglie, di munizioni e di quelle tanto sospirate lettere che vengono da casa; oppure con un carico silenzioso di feriti, due alla volta, slanciati giù, dopo qualche lotta accanita sulla cresta stessa della montagna.

Dal cavo di acciaio e dal suo carrello, al mulo [p. 38 modifica]che porta un carico di duecento libbre, al carro di cinque tonnellate fino alla stazione ferroviaria più vicina, questo è il modo con cui viaggia ogni oncia di peso, che viene e che va, su e giù da questo fronte di battaglia. Eccettuati però i grossi cannoni. Essi giungono ai loro posti assegnati, nello stesso modo con cui fu costruita Roma.

Questi mezzi di trasporto mi furono spiegati e rispiegati, con tutti i particolari di pesi, misure, distanze e medie assegnate a ciascuno dei soldati. Il loro sistema non è simile al nostro. Sembra mancar loro quella pletora di stampati e di mandati, e così pure i nostri palazzi pieni zeppi di impiegati vestiti in khaki, i quali firmano pezzi di carta in quadruplice esemplare.

«Ma, anche noi abbiamo stampati e carta a sufficienza — egli protestò — stampati a iosa! Li troverete però nelle città. Non allignano qui, fra la neve». «Ciò è veramente assai ragionevole», dissi; «ma quel che m’impressiona sopratutto è il lavoro immane che vi incombe, a causa dell’ambiente. Pare che ogni grande peso che passa per le vostre mani diventi un piccolo fardello, tirato su lungo i muri di una casa; e pure avete la vostra artiglieria pesante piazzata sul limite dei ghiacciai. È un fatto del tutto nuovo».

«È vero; ma tale è il nostro ambiente; e i nostri soldati vi si sono assuefatti. Essi sono abituati a trasportare carichi su e giù per il monte; sono avvezzi, fin dall’infanzia, a maneggiar roba, cinghie, arnesi, bestie, e pietre. Ecco perchè le cose vanno avanti».

[p. 39 modifica] Eppure, malgrado tutto ciò, dovetti riscontrare una spaventevole interruzione in quella macchina enorme. Sul versante di un monte era stata piazzata una batteria di cannoni, con muli, baraccamenti, e scuderie, tutto completo; improvvisamente, la montagna credè opportuno di spazzar via ogni cosa, come una donna spazza la neve attaccata alle sue vesti.

«Ne trovammo cinquanta e li seppellimmo». — disse l'ufficiale — additando una fila di croci piccole, emergenti appena da una conca di neve. «Novanta di essi sono laggiù, nella vallata, con i muli ed il resto. Quelli lì non li troveremo mai più. Come accadde? Una piccolissima cosa fa partire una valanga quando la neve è arrivata al punto! Forse anche lo sparo di un fucile. Eppure, soggiunse con aria risoluta, dobbiamo andare avanti e scuotere tutta questa atmosfera con i nostri cannoni. Ascoltate!».

In quel momento non si compiva nulla di importante su questo fronte, che non si facesse sugli altri; soltanto qualche pezzo, nascosto qua e là, rispondeva all'avversario. Talvolta il colpo risuonava come un grido trionfale attraverso le nevi; tal'altra come una caduta di alberi nelle macchie lontane; ma era tremendo questo suono quando si spegneva in un sordo martellamento non più forte del pulsare del sangue nelle orecchie dopo una ascensione alpina; come pure terribile era il segnale che una montagna pareva dare, quando si era decisa ad entrare in azione per proprio conto.