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Ad ogni centinaio di metri di strada si trovavano sempre il solito vecchio ed il ragazzo, il monticello di pietrisco e la pala. E gli autocarri, con la velocità di venti miglia all’ora, scorrevano sulla strada levigata così facilmente come sul piano. Incontrammo un cartello indicatore del Touring, che datava da prima della guerra, con l’avviso alle persone di «fare attenzione» alle valanghe. Un groviglio di pini spezzati come pagliuzze, e sepolti sotto una frana caduta all’impazzata, grande come una casa, dava triste evidenza all’avviso.

«Si. Prima della guerra la gente soleva parlare sottovoce e trattenere il respiro, quando si passava, d’inverno, per questi recessi. Ma ora! Udite che fracasso fa quella fila di autocarri in quelle gole! Immaginate che cosa deve essere in inverno! Un solo motociclo talvolta determinava una valanga. Abbiamo perduto molti uomini così. Ma le comunicazioni non possono tuttavia cessare perchè c’è la neve».

E non cessavano. Noi correvamo, correvano gli autocarri su relitti di neve in disgelo, circondati da cespugli di genziana, di erica e di corculo e i relitti si ammassavano in lunghe distese, fino a quando non trovammo, alla testa di un valico, dieci piedi di neve ammassata, tutta accuratamente spazzata dalla superficie stradale perfettamente livellata e asciutta. La neve ci seguì saltuariamente attraverso villaggi, i rigagnoli dei quali zampillavano di acqua lucente, e la trovammo ancora