La giraffa bianca/4. L'assalto dei bufali

4. L'assalto dei bufali

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4.

L'ASSALTO DEI BUFALI


I bufali dell'Africa australe sono animali veramente terribili, più pericolosi anche dei leoni, e difficilissimi a domarsi.

Rassomigliano molto ai buoi comuni; sono però più grandi, di forme più massicce ed hanno la testa più corta e più larga.

Le corna che la sormontano s'innalzano molto, riavvicinate alla loro base e dirette all'indietro.

Gli occhi, piccolissimi, hanno un'espressione selvaggia, cattiva, che impressiona; il pelame è per lo più nero, o d'un grigio cupo, e solamente i fianchi sono rossastri.

Il dorso di questi animali è inclinato; la groppa alta, ricadente e molto sottile; le gambe sono tozze, forti e vigorose, col garrese che ha la forma di un bernoccolo. In tutta l'Africa meridionale i bufali selvaggi sono fatti segno ad una caccia spietata, sia per mangiare la loro carne che è eccellente, sia per ridurli in schiavitù, poiché rendono grandi servigi nella lavorazione dei campi e nel trasporto delle derrate. Sono animali socievoli, che vivono per lo più in truppe di dieci, dodici e talvolta perfino di trenta o quaranta; però durante la stagione degli amori si danno aspre battaglie, cercando di uccidersi a vicenda. Allora cacciano via i bufali più vecchi, e questi solitari sono più pericolosi, diventando, per il loro isolamento, d'un umore ferocissimo.

Di solito vivono nei boschi assai folti e non escono che la notte per recarsi a pascolare nelle pianure; s'incontrano anche sovente in riva ai fiumi e nei bassifondi paludosi, dove s'accontentano di canne e di erbe dure, che i buoi selvatici sdegnerebbero.

Sono anche abili nuotatori ed è un bellissimo spettacolo vedere una mandria di questi animali muovere in linea retta attraverso le correnti più rapide. Come abbiamo detto, tutti danno una caccia attivissima a questi grossi animali; e i negri, sapendo quanto siano pericolosi, ricorrono a mille astuzie per impadronirsene e vi riescono quasi sempre.

Un modo assai curioso per ucciderli è quello usato dai negri; i quali, possedendo un certo numero di fucili, li caricano con delle frecce pesanti tre o quattrocento grammi, colla punta a forma di lancia larga quattro o sei centimetri, e così lunghe che la punta sorpassi la canna del fucile di dieci o dodici centimetri. La freccia viene spalmata di veleno, poi coperta con uno straccio che serve a conservarlo ed a preservarlo dalla polvere, ma che però non gl'impedisce di agire sulle carni dell'animale.

Il bufalo selvatico possiede una vigoria ed una vitalità prodigiosa. Cattivo per indole, quando è ferito diventa terribile.

Ha delle astuzie che sconcertano. Un cacciatore crede di averlo ferito mortalmente? Mentre lo cerca, sperando di raggiungerlo nell'ora della sua agonia, si trova ad un tratto pericolosamente aggredito dal terribile animale, che ha fatto un giro per sorprenderlo alle spalle.

In queste occasioni il cacciatore fa conoscenza colle corna dell'animale, ben fortunato se, dopo essere stato lanciato in aria, può cavarsela con due o tre costole rotte.

Un bufalo si vede vicino a soccombere? Manda un muggito di dolore, appello disperato, che è udito dalla mandria alla quale esso appartiene. Infatti i bufali dispersi o in fuga si riuniscono immediatamente e corrono in aiuto del loro compagno.

Che più? Si sono veduti dei bufali feriti tentare di assalire il cacciatore, che si trovava sul dorso d'un elefante, cercando di sollevare il colossale pachiderma sulle loro corna!

Ecco quali formidabili avversari stavano per affrontare i due tedeschi ed i due negri barricati sul carro. I bufali, vedendo quell'enorme ostacolo che sbarrava loro il passo, si erano fermati colle teste basse e le corna innanzi, guardandolo sospettosamente. Non parevano sorpresi di vedersi chiusa la via, ma non vi era da fidarsi di quegli animali così facilmente irritabili.

— Che brutti musi! — esclamò il dottore. — E soprattutto con che terribili occhi ci guardano. Devo far fuoco?

— Non irritiamoli — disse William. — Stiamo a vedere cosa faranno.

— Non rovesceranno il carro?

— Vi ho detto che non è possibile che compiano una tale impresa.

Il capobanda, un bufalo tutto nero, con delle corna enormi, si fece innanzi muggendo; quindi, preso da un improvviso accesso di furore, si gettò contro il carro. William aveva puntato la grossa carabina da caccia. Mirò un momento, poi sparò. L'enorme animale, colpito in mezzo al petto, si alzò sulle zampe posteriori; quindi si mise a saltare a destra e a sinistra, muggendo terribilmente. Il sangue gli usciva copioso dalla ferita, ma quella palla non era bastata a ucciderlo.

— Un altro fucile! — gridò William.

Kambusi stava per porgergli la propria carabina, quando l'intera mandria si slanciò innanzi.

Invece di assalire il carro, quegli animali passarono velocemente fra la casa ambulante e le rocce, fuggendo verso l'uscita della gola. Solamente il capobanda era rimasto sul campo di battaglia, continuando a muggire ed a saltare come un ossesso.

Il dottore gli sparò una fucilata colpendolo in mezzo alla fronte. La palla, come aveva previsto William, si schiacciò senza causare alcuna ferita. Il bufalo, più rabbioso che mai, questa volta si scagliò contro il carro, conficcando le sue corna nella cassa anteriore.

Il giovane cacciatore, approfittando dell'occasione che metteva l'animale nella impossibilità di muoversi a causa delle corna che lo trattenevano, lo fulminò con una palla nella schiena.

— Eccoci liberati anche da questo nemico — diss'egli modestamente.

— Era proprio indemoniato!

— Ve lo avevo detto che questi animali sono terribili.

— Credevo che fosse giunta la nostra ultima ora.

— Non così presto, dottore. Abbiamo ancora da uccidere la giraffa bianca — disse William ridendo. — Intanto abbiamo guadagnato un arrosto abbondantissimo.

— Non torneranno i compagni del morto per vendicarlo?

— Saranno già lontani.

Scesero dal carro e si accostarono al bufalo. Era uno dei più grossi della specie, con le corna molto aguzze ed una gobba assai pronunciata. La prima palla lo aveva colpito in mezzo al petto e la seconda gli aveva troncato la spina dorsale.

— Che animale formidabile! — esclamò lo scienziato.

— Capace di spaccare un albero — disse William.

— È un po' troppo, amico.

— No, dottore. Colle corna talvolta questi bufali riescono a sradicare degli alberi e molto grossi. Un giorno un negro, mio conoscente e bravo cacciatore, scoprì un vecchio bufalo solitario, che riposava fra le alte erbe. Quel cacciatore coraggioso lo affrontò risolutamente, sparandogli contro una freccia che aveva messa nel proprio fucile. L'arme trapassò da parte a parte l'animale, il quale, reso ad un tratto furioso da quella ferita molto dolorosa, ma che non lo aveva ucciso sul colpo, si slanciò addosso all'avversario. Questi, manco a dirlo, scappò con tutta la velocità delle sue gambe, gettando via il fucile per correre più presto. Il bufalo, svelto, lo seguiva da vicino. Il cacciatore sentiva già l'alito caldo dell'enorme bestia, quando potè arrivare presso un albero. In due salti s'aggrappa ai rami e si mette in salvo. Che fa il bufalo nella sua rabbia? Sebbene coperto di sangue e colla freccia ancora nel corpo, cozza furiosamente l'albero colle corna; lacera la corteggia, scheggia il tronco e fende l'anima della pianta, la quale, quantunque grossa assai, non può resistere a simile attacco. Presto sradicata, cade ed il disgraziato cacciatore ruzzola a terra in balìa del vendicativo animale. Allora il bufalo si scaglia su di lui con accanimento senza pari e non desiste finché non è sicuro d'avergli stritolato le ossa. L'animale non sopravvisse però alla vittoria. Il giorno successivo, accortomi della scomparsa del negro, andai a cercarlo in compagnia di alcuni cacciatori e trovai i due cadaveri, e poco distante l'albero rovesciato e il fucile dell'ucciso. Capirete che mi fu facile comprendere la spaventevole scena avvenuta nella foresta.

— È quasi da preferire l'incontro con un elefante che con un bufalo — disse il dottore.

— Sì, lo preferisco davvero.

— A proposito, troveremo degli elefanti in questo paese?

— Ne uccideremo più d'uno — rispose William. — Conosco una palude che è frequentata sovente da quei colossi.

— Andremo a visitarla?

— È sulla nostra strada.

— Pensiamo ai nostri buoi, William. Dove si saranno rifugiati?

— Andremo a cercarli mentre i negri scuoiano il bufalo.

— Ed i nostri cavalli?

— Fuggiti anche loro.

— Saranno andati molto lontani?

— Devono essere vicini. Sono troppo affezionati per abbandonarci.

Ordinarono ai due negri di preparare per la colazione un pezzo di bufalo; quindi, presi i fucili, si misero in cammino, seguendo la tortuosità della gola. Non si erano allontanati dal carro più di trecento passi, quando scorsero i due cavalli, i quali avevan trovato rifugio su di un piccolo sentiero che saliva la collina di destra, fermandosi sotto un immenso banano. Vedendo i loro padroni, scesero di galoppo nella gola, nitrendo allegramente.

— Ve lo avevo detto che non ci avrebbero abbandonati — disse William. — Sono bestie impareggiabili.

— Avete ragione, mio giovane amico. Non vedo però i buoi.

— Si saranno rifugiati nella pianura.

— Che i bufali, nella loro rabbia, ce li abbiano squartati?

— Non se la prendono mai coi loro congeneri.

Salirono a cavallo e proseguirono la marcia al piccolo galoppo. Stavano per uscire nella pianura, quando William trattenne il suo cavallo, facendo un gesto di collera.

— Perché vi fermate? — chiese il dottore.

— Non udite?

— Che cosa?

— Delle grida lontane.

— Sono un po' duro d'orecchi.

— Sono grida umane.

— Saranno dei negri.

— Abbiamo i buoi nella pianura.

— E che cosa volete concludere?

— Che non tutti i negri sono onesti in questo paese e che i banditi abbondano.

— Non riesco a capirvi — disse lo scienziato.

— Temo che quei negri abbiano incontrato i nostri buoi e ce li abbiano presi.

— Ce li faremo restituire.

— Se avranno voglia di ridarceli.

— Sproniamo, William!

I cavalli, incitati dagli speroni, si misero al galoppo, uscendo ben presto dalla gola e slanciandosi nella pianura.

Vi erano appena giunti, quando William, guardando verso occidente, là dove si estendeva una immensa boscaglia, vide una numerosa truppa di negri spingere i buoi in mezzo alle folte piante.

Ciò che aveva sospettato era realmente avvenuto. Alcuni negri, forse dei predoni, avevano incontrato gli animali e, senza tante cerimonie, se li erano presi, cacciandoli nella foresta per sottrarli alle ricerche dei proprietari.

— Bricconi! — gridò il cacciatore, spronando a sangue il cavallo. — Ci sfuggono!

I due animali si erano slanciati ventre a terra; ma ormai i ladroni erano scomparsi sotto gli alberi della foresta.

— Continuiamo ad inseguirli? — chiese il dottore.

— I buoi ci sono necessari, se vogliamo muovere il carro.

— Andranno lontani quei negri?

— Mi pare che vi sia un villaggio oltre la foresta.

— Andiamo a visitarlo.

— Volevo proporlo.

— Opporranno resistenza?

— Se sono ladri non ci renderanno le nostre bestie. Siamo però uomini bianchi e come tali molto temuti da queste popolazioni. Insomma vedremo come finirà questa avventura.

Mentre i due amici si scambiavano le loro idee, i cavalli avevano attraversato la pianura ed erano giunti presso il bosco e precisamente nel luogo dove erano scomparsi i negri.

William rallentò la corsa del cavallo e armò il fucile, invitando il compagno a fare altrettanto.

— I negri possono essersi accorti del nostro inseguimento — disse.

— Che si siano nascosti per tendere un agguato?

— Lo suppongo.

Fermò il cavallo, balzò a terra, prese il fucile e si avvicinò, con precauzione, ai primi alberi, guardando sotto le fronde.

— Si vede il sentiero che hanno percorso — disse poi.

— Sono imboscati?

— Mi pare che siano fuggiti. Sapete che cosa dovreste fare?

— Parlate, William.

— Ritornate al carro e conducete qui i due negri. In quattro e tutti armati di fucili otterremo maggior successo che in due.

— E voi?

— Io seguo il sentiero. Mi raggiungerete più tardi.

— Solo?

— Non ho paura e poi mi limiterò per ora a spiare senza dar battaglia.

— Come volete, William.

— Tornate presto.

Mentre il dottore riattraversava la prateria, il giovane cacciatore si incamminava sotto la foresta, seguendo le tracce lasciate dai buoi, le quali erano visibili per l'umidità del terreno.

La foresta era foltissima, tuttavia egli non si trovava impacciato a muoversi fra tutti quei vegetali. Scoperte le tracce, si mise a seguirle per tre o quattrocento metri; poi sostò, temendo di cadere in qualche imboscata. Aveva udito muovere dei rami e non voleva farsi sorprendere solo da una truppa forse molto numerosa.

— Ritorniamo — disse. — Non è prudente spingersi più innanzi.

Prese a retrocedere, guardandosi attorno; poi si fermò di nuovo. Qualcuno lo seguiva. I rami continuavano a crepitare vicino a lui. Si nascose dietro il tronco di un albero e aspettò che chi lo inseguiva si mostrasse all'aperto. Stette immobile alcuni minuti, poi vide un cespuglio aprirsi con precauzione e comparire la testa d'un negro. Allora puntò piano piano il fucile e, convinto d'aver da fare con uno dei ladri, fece fuoco.

Il negro cadde mandando un grido.

William stava per ricaricare l'arma, quando udì una voce esclamare:

— L'avete fulminato, padrone.

Era Kambusi, il fedele negro che lo aveva accompagnato nella caccia del leone.

— Già qui! — esclamò William con stupore.

— Ho pensato che potevo esservi utile e vi ho seguiti correndo dietro i cavalli.

— Ed il dottore?

— È andato a chiamare il mio compagno.

— Noi due possiamo andare avanti! Il dottore non è uomo da potermi seguire in mezzo a questa foresta. È coraggioso, ma è troppo vecchio per queste corse.

— I buoi sono stati rubati?

— Sì, Kambusi.

— Sospetto...

— Chi?

— I negri di Kumbo.

— Chi sono?

— Predoni che hanno il loro villaggio a tre o quattro leghe verso occidente.

— Sono molti?

— Un centinaio di famiglie.

— Godono cattiva fama?

— Sono briganti pericolosi che depredano le tribù vicine.

— Andremo a minacciarli. Hai paura tu?

— Con te non temo nessuno.

— Allora seguimi.

— Ed il negro che avete ucciso?

— Andiamo a vedere se è proprio morto.

Si diressero verso il cespuglio, contro il quale William aveva fatto fuoco e trovarono un negro di alta statura, armato di lancia e di coltellaccio, che si dimenava fra le erbe. La palla gli aveva attraversato il petto, tuttavia non era morto.

Anzi, vedendo William e Kambusi, si alzò sulle ginocchia, esclamando:

— Grazia!

— Non scaricherò il mio fucile contro di te a condizione che tu mi dica chi ha rubato i miei buoi.

— È stata la mia tribù.

— Dove si trova?

— A quattro leghe da qui.

— Di quanti guerrieri dispone?

Il ferito esitò a rispondere.

— Se taci ti finisco — disse William armando il fucile.

— Non ha che cinquanta uomini validi — rispose il negro spaventato.

— Dove si trova il tuo villaggio?

— Presso il lago Kuto.

— E chi comanda?

— Il capo Kumbo.

— Un brigante!

Il negro tacque.

— Vi sono dei tuoi compagni nascosti in questi dintorni?

— Nessuno — rispose il ferito. — Mi avevano lasciato indietro per spiare le vostre mosse.

— Kambusi, — disse William — da' un sorso di acquavite a questo povero diavolo e che vada a farsi finire altrove.

Il negro diede da bere al bandito alcuni sorsi dalla sua fiasca, poi seguì il padrone che aveva continuato la sua marcia attraverso la foresta. Camminavano da un paio d'ore, brancolando fra l'oscurità, essendo già il sole prossimo al tramonto, quando tutto ad un tratto, nell'attraversare uno spazio coperto da fitti alberi, si sentirono improvvisamente mancare il terreno sotto i piedi. Il suolo aveva ceduto e la caduta fu così repentina che precipitarono l'uno sull'altro, smarrendo i sensi.