La giraffa bianca/5. In fondo ad una trappola

5. In fondo ad una trappola

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5.

IN FONDO AD UNA TRAPPOLA


Il loro svenimento non dovette durare molto tempo, poiché la luna s'era appena levata, quando cominciarono a riaversi da quell'improvvisa caduta, che per poco non era riuscita loro fatale.

Il primo a rimettersi in piedi fu William; agile come un clown, robusto come un lottatore, abituato ai casi più improvvisi, quella caduta lo aveva solamente stordito. Il suo compagno invece, più malconcio, era rimasto a lungo sdraiato al suolo.

— Dove sono? — si chiese il cacciatore, stupito di non trovarsi più sotto l'ombra cupa degli alberi.

Tastò il terreno che lo circondava e s'accorse che questo era senza consistenza e molto friabile.

— Vediamo dove sono caduto — disse.

Cercò di alzarsi e provò un crudele stringimento di cuore nell'accorgersi che poteva appena reggersi sulle gambe.

— Che nella caduta mi sia lussato un piede? — si domandò. — O che le mie gambe siano ancora indolenzite?

Con uno sforzo si rizzò, e s'accorse che, se non poteva camminare, almeno pel momento, nulla vi era di rotto o di guasto.

Si trascinò presso Kambusi e lo scosse ripetutamente.

— Sto meglio, padrone — disse il negro, che aveva già aperto gli occhi. — Sono solamente intontito. Dove siamo caduti?

— In una buca molta profonda, mi pare.

— In qualche trappola da elefanti?

— Lo sospetto, Kambusi.

— Non possiamo uscire?

— Ora lo vedremo.

Si trascinò carponi, temendo di cadere in qualche abisso; ma ad un tratto si fermò, avendo udito a pochi passi un sordo mugolìo.

— Vi è qualcuno che ci fa compagnia — disse, volgendosi verso Kambusi.

— Qualche negro?

— Mi pare un animale. Non vedi?

In un canto della buca si scorgevano due punti luminosi, dai riflessi verdastri e di una strana immobilità.

Il brontolìo aumentò in modo da scuotere anche la calma di William.

— Il nostro compagno deve essere in collera — disse. — Chi può essere?

— Un leopardo.

— Padrone, siamo morti! — gemette il negro.

— Non ancora.

— Hai il fucile?

— Io no, e tu?

— Nemmeno, padrone. Le nostre armi devono essere rimaste sull'orlo di questa buca. Abbiamo i coltelli.

— E con quelli bisognerà difenderci — disse William.

— Ci piomberà addosso?

— Vedo che non si muove.

— Che nella caduta si sia rotta una zampa?

— Forse tutte e quattro. Sai a che penso, Kambusi?

— A che cosa, padrone?

— Alla nostra fortuna.

— La chiamate fortuna cadere in questa trappola da elefanti?

— Sì, perché queste buche di solito sono munite nel fondo di piuoli aguzzi.

— Mentre qui non ve ne sono.

— E ci hanno risparmiato la morte.

— Che fa quel leopardo?

— Mi pare che sia più spaventato di noi — disse William.

— Pel momento non ha intenzione di assalirci, padrone.

— Oh! Non siamo ancora soli!

William nel retrocedere aveva urtato contro una massa villosa, la quale non si era mossa sentendosi urtare. Temendo di essere vicino a qualche altra fiera, estrasse rapidamente il coltello e menò un colpo furioso. La lama s'immerse tutta, senza che quella massa facesse un movimento e mandasse un gemito.

— È qualche animale morto — disse.

— Mi sembra un gnu — disse il negro.

Il giovane cacciatore si curvò e vide che l'animale, che aveva accoltellato, era realmente un gnu, un bestione che ha dell'asino e del bue, avendo il corpo del primo e la testa del secondo, armata di corna molto ricurve. Il povero animale doveva esser morto nella caduta perché, come abbiamo veduto, non si era mosso ricevendo la coltellata.

— Abbiamo qui di che nutrirci per un mese — disse William. — Se avessimo del sale si potrebbe conservare a lungo questa massa di carne.

— V'è una cosa che mi sorprende — disse Kambusi.

— E quale?

— Perché il leopardo non ha dilaniato il gnu?

— Lo spavento di trovarsi prigioniero gli avrà tolto l'appetito.

— E noi non potremo uscire di qui?

— Aspettiamo che la luna illumini questa buca — disse William.

— Ci lascerà tranquilli il leopardo?

— Non vedi che non osa muoversi? Ha più paura lui di noi, che noi di lui.

Un quarto d'ora dopo, la luna, che saliva sull'orizzonte, proiettava i suoi raggi in fondo alla buca, permettendo ai due prigionieri di osservare quella trappola. La loro cattiva stella li aveva fatti precipitare in una vasta fossa scavata in mezzo al bosco, per prendere i grossi animali, rinoceronti ed elefanti.

Era profonda sette od otto metri e le pareti, invece di essere verticali, presentavano la forma d'una piramide, dimodoché il fondo era più largo una volta almeno dell'apertura superiore. William ed il negro, i cui sguardi si erano rivolti dalla parte d'onde penetrava la luce, si persuasero che era impossibile dare la scalata a quelle pareti. Osservarono quindi gli angoli più oscuri della buca, e, a pochi metri da loro, scorsero un superbo leopardo sdraiato colle due zampe sotto il muso ed immobile come se fosse stato di pietra.

Questi animali, quantunque siano più piccoli dei leoni e delle tigri, non sono meno feroci e non esitano a dare addosso ai cacciatori; pure in quel momento il prigioniero si manteneva tranquillo e non manifestava intenzioni aggressive.

— Non mi ero ingannato — disse William, rivolgendosi verso il negro.

— Brutta compagnia — disse Kambusi.

— Non ci darà noia; questo animale è atterrito.

— Preferirei non averlo così vicino, padrone.

— Anch'io, Kambusi.

— E faremo bene ad uscire presto da qui.

— Come fare?

— Cerchiamo, padrone.

— Penso, amico.

Il giovane cacciatore pensava davvero per trovare un mezzo qualunque che gli permettesse di uscire da quella trappola; nondimeno, malgrado la sua abilità ed il suo ingegno, non riusciva a trovar nulla.

Urtava infatti contro una difficoltà press'a poco insormontabile, rappresentata dalle quattro pareti inclinate. Sarebbero state necessarie le ali per poter uscire da quella buca, ed il cacciatore, lungi dall'averle, si trovava anzi colle gambe un po' malandate.

Del leopardo si dava però poco pensiero. La clausura pel momento aveva domato i suoi feroci istinti ed era da presumersi che sarebbe rimasto ancora per qualche tempo in preda a quella specie di ebetismo. Del resto non aveva nulla di sorprendente quella paura che si era impossessata della fiera.

Le trappole preparate in mezzo ai boschi hanno molto di frequente contenuto degli animali di specie assolutamente diverse e furono veduti i più feroci rimanere inoffensivi intere giornate, senza nemmeno accorgersi della presenza dei compagni di sventura.

Così, quando gli incendi divorano le immense praterie del Far-West o le foreste del Canada, i bisonti, i giaguari, i cavalli selvaggi, i puma e tanti altri si spingono, fuggono confusi dinanzi al pericolo, senza pensare ad offendersi.

— Dunque, padrone, hai trovato? — chiese Kambusi, vedendo che il tedesco non si decideva a parlare.

— Sì. Ho trovato che ho fame. Sono dieci ore che non mandiamo giù un boccone.

— E non hai trovato il modo di uscire?

— Non ancora.

— Che cosa vuoi mangiare?

— Non abbiamo qui il gnu?

— Ed il fuoco?

— Ci contenteremo, per questa volta, di mangiarne un pezzo crudo.

— Non ti ripugna la carne cruda?

— La fame non ragiona. Mangiamo una bistecca; poi vedremo come potremo uscire da questa buca.