La giraffa bianca/3. La gola

3. La gola

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3.

LA GOLA


Quando giunsero fuori della foresta, incontrarono il dottor Skomberg e l'altro negro, i quali avevano udito i due colpi di fucile e, supponendo che William e Kambusi si trovassero in pericolo, avevano lasciato l'accampamento per correre in loro aiuto.

— Ucciso? — esclamò il dottore con voce giuliva.

— Lo vedete — rispose il giovane cacciatore. — È bastata una palla per atterrarlo.

— Una palla sola?

— Non me ne occorrono tante per ammazzare le belve. Sapete che io non manco mai i miei colpi.

— Mi avevano detto che eravate insuperabile.

— Insuperabile no, dottore. Tiro bene, o meglio ho imparato a tirare senza che i miei nervi sussultino, ecco tutto.

— Che bellissima pelle!

— È d'un leone dalla criniera nera e farà ottima figura nel museo zoologico di Dresda.

— E ve la pagheranno bene.

— Mi bastano i ventimila marchi della giraffa bianca.

— E se non la trovassimo?

— La troveremo, dottore.

— Che fiducia!

— Cosa volete? Ho il presentimento di ucciderla.

— Non domando di più, mio eccellente amico. Intanto grazie del regalo che mi fate. Non credevo di vedervi ritornare colla pelle del feroce animale.

— Dottore, facciamo colazione, poi mettiamoci in cammino. Ho fretta di giungere nelle pianure frequentate dalla giraffa bianca.

Mangiarono un boccone innaffiandolo con alcune sorsate di caffè; poi fecero attaccare i buoi e salirono a cavallo precedendo il carro. Dopo aver girato il bosco, la carovana si diresse verso alcune colline selvose, che tagliavano l'orizzonte a tramontana.

Il terreno era sempre pessimo e faceva faticare assai i buoi. Il carro scricchiolava come si spezzasse e nel superare i crepacci minacciava sovente di rovesciarsi. I due negri, armati di fruste lunghissime, che vengono chiamate jambok, non risparmiavano i poveri animali, strappando loro mazzi di peli e qualche volta solcando perfino la pelle.

Tutta la giornata il carro procedette lentamente attraverso quei terreni frastagliati e verso il tramonto giunse alla base delle colline, dinanzi ad una gola molto boscosa, che saliva rapidamente.

— È per di là che dovremo passare? — chiese il dottore a William.

— Sì — rispose questi.

— Un'impresa difficile!

— Superabile pei nostri buoi.

— E dove sboccheremo?

— Presso un fiume, dove troveremo probabilmente molti ippopotami.

— Desidererei assaggiare un pezzo di carne di quegli anfibi. Si dice che sia eccellente.

— Sta fra quelle del bue e del porco.

— Ne ucciderete qualcuno, mio giovane amico?

— Se ne troveremo non sfuggiranno alle palle del mio fucile.

— Ci fermiamo qui?

— Sì, dottore. Il luogo è propizio perché non vi sono boschi che possano servire di rifugio a grossi animali.

— Se si trovasse qualche antilope!...

— La mangereste volentieri, dottore?

— E me lo domandate?

— La selvaggina africana comincia a piacervi!

— La preferisco assai alle nostre solite bistecche di bue.

— Forse domani, potrò offrirvi una coscia di antilope shimbook. Dietro a queste colline e al di là del fiume troveremo delle vaste praterie che sono visitate da bande di quegli agili animali. Per questa sera contentatevi delle solite provviste.

La cena fu piuttosto magra, avendo consumato quasi tutti i viveri che avevano portato dalla città del Capo. Non abbondavano che di biscotti, di caffè, di zucchero e di formaggio; fecero però egualmente onore a quel meschino pasto, godendo entrambi di un appetito invidiabile.

Dopo cena, come il solito, legarono i buoi intorno al carro; quindi si sdraiarono sotto le coperte. I negri avevano acceso parecchi fuochi all'intorno per tener lontane le belve, che potevano trovarsi entro la gola.

La notte fu tutt'altro che tranquilla. I due europei si erano appena addormentati quando furono svegliati da urla acutissime.

Pareva che una banda numerosa di cani arrabbiati si fosse data appuntamento nella gola per fare un concerto alla luna, allora sorta. Erano sciacalli, specie di lupi, molto meno feroci e anche più piccoli, che vivono in truppe numerosissime e che passano le notti urlando senza tregua.

I due negri, seccati da quelle urla che impedivano ai padroni di dormire, spararono alcuni colpi di fucile, fugando quei disturbatori.

Dopo gli sciacalli vennero però le jene colle loro risa stridule, più noiose delle urla dei primi concertisti. Ronzavano attorno all'accampamento cercando d'impadronirsi di qualche bue, ma non si avvicinavano, per la grande paura che incuteva loro il fuoco. Non vi era dunque da temere un assalto; d'altronde sarebbe bastata la presenza dei due negri per metterle in fuga, temendo esse l'uomo specialmente se armato.

All'alba quel baccano terminò e soltanto allora i due tedeschi ed i negri poterono dormire un paio d'ore tranquilli.

Quando si rimisero in viaggio, il sole era già alto e faceva molto caldo. Abbeverati i buoi in una pozza d'acqua, che si trovava poco lontano, si inoltrarono nella gola aperta fra due colline molto ripide.

Il terreno era più malagevole che mai. Quel passaggio strettissimo, cosparso di macigni caduti dall'alto, di radici e sterpi, si prestava poco alla marcia di quella casa ambulante; eppure, non essendovi altre vie, non potevano avere la scelta.

I pendìi delle colline erano coperti da banani, da mimose, da legni puzzolenti, chiamati così perché quando si abbruciano mandano un odore pestilenziale, e da bahuinie dai rami assai contorti.

Molti avvoltoi col collo spelato e violaceo si vedevano appollaiati sulle rocce e qualche aquila volava in alto inseguendo gli sparvieri.

Il carro traballando e scricchiolando era giunto in un passaggio strettissimo, rinserrato fra due rupi enormi, quando i negri fermarono i buoi.

— Che cosa è avvenuto? — chiese William ai servi.

— Padrone, — disse Kambusi — si odono dei muggiti dalla parte opposta della gola.

— Che si avanzi qualche animale?

— Pare invece che siano molti.

— Se udite dei muggiti devono essere bufali — disse William con voce inquieta.

— Sono pericolosi? — chiese il dottore.

— Pericolosissimi — rispose il giovane cacciatore. — È molto difficile ucciderli causa la loro pelle di uno spessore straordinario; sono vendicativi e coraggiosi; d'indole cattiva, quando sono feriti diventano furiosi e allora veramente terribili.

— Che faremo?

— Se i bufali trovano il passaggio ingombro ci assaliranno.

— Non rovesceranno il nostro carro?

— Questo poi no; ci vorrebbero degli elefanti per muoverlo.

— Ed i nostri buoi?

— Stacchiamoli e mettiamoli dietro il carro.

Diede ordine ai due negri di fare quanto aveva detto. I buoi, che già si erano accorti del grave pericolo che li minacciava, appena messi in libertà, passarono fra il carro e le rupi e fuggirono verso l'entrata della gola, ossia dalla parte opposta, rifacendo la strada percorsa.

— Ritorneranno? — chiese il dottore assai inquieto.

— Li ritroveremo nella pianura sui fianchi delle colline. Prendiamo i fucili e prepariamoci a far fuoco.

— Riusciremo a respingere quegli animali?

— Ne ho i miei dubbi.

— Li odi avvicinarsi? — chiese lo scienziato a Kambusi, che si era spinto un po' innanzi.

— Arrivano, signore.

— Sono molti?

— Una dozzina almeno.

— Ci daranno dei fastidi — disse William armando la sua grossa carabina. — Dottore, non tirate sulle loro teste, perché le palle si schiaccerebbero come se fossero di carta pesta.

— Tirerò in mezzo al petto.

— E a breve distanza.

I muggiti si avvicinavano rapidamente; si udivano i robusti zoccoli dei formidabili animali percuotere le rocce con gran rumore.

— Salite sul carro! — gridò William.

I due negri obbedirono precipitosamente e armarono i loro fucili.

Erano appena a posto quando si videro comparire, alla svolta della gola, dieci o dodici enormi bufali, colle teste armate di corna terribili.