La geometria non-euclidea/Capitolo I/Il postulato delle parallele durante il Rinascimento ed il XVII secolo

Il postulato delle parallele durante il Rinascimento ed il XVII secolo

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Il postulato delle parallele durante il Rinascimento ed il XVII secolo
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[p. 11 modifica]§ 7. Tanto le prime versioni degli «Elementi», fatte nel XII e XIII secolo sui testi arabi, quanto le successive compilate sui testi greci alla fine del XV e nella prima metà del XVI non portano in generale alcuna annotazione critica al V postulato. La critica rinasce dopo il 1550, principalmente per impulso del Commento di Proclo1. Per meglio seguirla citiamo brevemente le vedute dei più autorevoli commentatori dei secoli XVI e XVII.

F. Commandino [1509-1575] nella definizione euclidea di parallele aggiunge, senza giustificazione, il concetto di equidistanza; intorno al V postutato riporta il giudizio e la dimostrazione di Proclo2.

C. Clavio [1537-1612], nella sua traduzione latina del testo euclideo3, riporta e critica la dimostrazione di Proclo. Porge poi una nuova dimostrazione dell’ipotesi euclidea [p. 12 modifica] basandosi sul teorema: «La linea equidistante da una retta è una retta», ch’egli cerca di giustificare con ragionamenti analogici. La dimostrazione di Clavio ha molti punti di contatto con quella di Nasîr-Eddîn.

P. A. Cataldi [? -1626] è il primo geometra moderno che pubblica un lavoro esclusivamente dedicato alla questione delle parallele4. Il Cataldi muove dal concetto di rette equidistanti e non equidistanti, ma per provare l’effettiva esistenza di rette equidistanti ricorre all’ipotesi che «rette non equidistanti in un verso convergono e nell’altro divergono». [cfr. Nasîr-Eddîn]5

G. A. Borelli [1608-1679] ammette, cercando di giustificarlo, il seguente assioma [XIV]: «Se sopra una retta linea trasportata lateralmente nello stesso piano sopra d’un’altra retta linea, la tocchi sempre mai con l’estremo suo punto, et in tutto il suo corso sia a quella perpendicolarmente elevata: l’altro suo punto estremo descriverà col suo moto una retta linea».

Successivamente dimostra che due rette perpendicolari ad una terza sono equidistanti e definisce le parallele come rette equidistanti. Segue la teoria delle parallele6


§ 8. Giordano Vitale [1608-1711], riattaccandosi al concetto di equidistanza formulato da Posidonio, sente con Proclo la necessità di escludere che le parallele di Euclide possano avere un comportamento asintotico. Allo scopo definisce parallele due rette equidistanti e cerca di [p. 13 modifica]provare che il luogo dei punti equidistanti da una retta è una retta7.

La dimostrazione riposa sostanzialmente su questo lemma: Se fra due punti A, C, presi in qualunque linea curva, il cui concavo sia verso X, sia tirata la retta AC e se dagli infiniti punti dell’arco AC cadono delle perpendicolari a qualche retta, dico essere impossibile che quelle perpendicolari siano fra loro uguali.

La «qualche retta» di cui si parla nell’enunciato, non è una retta qualunque del piano, ma una retta costruita nel seguente modo: Dal punto B dell’arco AC si cali BD, perpendicolarmente alla corda AC; poi in A si innalzi AG, pure perpendicolarmente ad AC; finalmente presi i due segmenti uguali AG e DF sulle due perpendicolari costruite, si congiungano gli estremi G, F. La GF è la retta che Giordano considera nella sua dimostrazione, retta rispetto alla quale l’arco AB non è certamente una linea equidistante.

Ma quando l’autore vuol dimostrare che il luogo dei punti equidistanti da una retta è pure una retta, applica il precedente lemma ad una figura in cui non sono verificate le relazioni che intercedono fra l’arco ABC e la retta GF, onde le conseguenze ch’egli deduce sulla esistenza di rette equidistanti non sono affatto lecite.

Sotto questo aspetto la dimostrazione di Giordano non offre alcun vantaggio sulle precedenti; essa però contiene una notevolissima proposizione, il cui concetto acquisterà nel seguito un maggiore sviluppo.

Sia ABCD un quadrilatero con gli angoli , retti ed i lati AD, BC uguali; sia inoltre HK una perpendicolare [p. 14 modifica] calata da un punto H del segmento DC sulla base AB del quadrilatero. Giordano dimostra: 1°) che gli angoli , sono uguali, 2°) che ove il segmento HK sia uguale al segmento AD i due angoli , sono retti e che CD è equidistante da AB.

Con questo teorema Giordano riconduce la questione delle rette equidistanti a dimostrare l’esistenza di un punto H su DC, la cui distanza da AB sia uguale ai due segmenti AD, CB. Questo ci sembra uno dei risultati più notevoli ottenuto fino a quell’epoca, intorno alla teoria delle parallele8.

§ 9. J. Wallis [1616-1703], abbandonando il concetto di equidistanza, sfruttato inutilmente dai precedenti geometri, diede una nuova dimostrazione del V postulato, fondandosi sulla nozione comune: Di ogni figura ne esiste una simile di grandezza arbitraria. Ecco rapidamente come procede il Wallis9.

Siano a, b due rette intersecate in A, B dalla trasversale c; ed α, β gli angoli interni da una stessa parte di c, tali che α + β sia minore di due angoli retti. Tracciata [p. 15 modifica] per A la retta b’ in modo che b e b’ formino con c angoli corrispondenti uguali è chiaro che b’ cadrà nell’angolo adiacente ad α. Se ora spostiamo con continuità la retta b, in modo che B percorra il segmento AB e che l’angolo ch’essa forma con c si mantenga costantemente uguale a β la retta b, prima di raggiungere la posizione finale b’, dovrà necessariamente incontrare a. Resta così determinato un triangolo con gli angoli in A e rispettivamente uguali ad α e β. Ma per l’ipotesi di Wallis sull’esistenza delle figure simili, su AB, come lato omologo di , si potrà costruire un triangolo ABC simile al triangolo , il che significa che le rette a, b debbono concorrere in un punto, cioè nel terzo vertice C del triangolo ABC. Dunque ecc....

Wallis cerca poi di giustificare la sua originale veduta osservando che Euclide, postulando l’esistenza di un cerchio di dato centro e dato raggio [III postulato], ammette in sostanza il principio di similitudine pei cerchi. Ma per quanto l’intuizione appoggi favorevolmente questa veduta il concetto di forma indipendente dall’estensione d’una figura costituisce una ipotesi, non certo più evidente di quella postulata da Euclide.

Osserviamo ancora che Wallis poteva più semplicemente ammettere l’esistenza di triangoli con angoli uguali o, come vedremo nel seguito, di due soli triangoli disuguali, con gli angoli a due a due uguali [cfr. p. 26 nota (1)].

§ 10. L’opera critica dei precedenti geometri è sufficiente per mettere in luce l’evoluzione storica del nostro quesito nei secoli XVI e XVII, onde giudichiamo superfluo parlare di altri insigni ricercatori, quali furono, ad es., Oliviero di [p. 16 modifica]Bury [1604], Luca Valerio [1613], H. Savile [1621], A. Taquet [1654], A. Arnauld [1667]10. Stimiamo piuttosto necessario dire qualche parola sul posto che nell’organismo geometrico occupa l’ipotesi euclidea presso i vari commentatori degli «Elementi».

Nell’edizione latina degli «Elementi» [1482], eseguita sui testi arabi dal Campano [XIII secolo], l’ipotesi in discorso figura fra i postulati. Altrettanto dicasi nella traduzione latina fatta sul greco da B. Zamberti [1505], nelle edizioni di Luca Paciolo [1509], di N. Tartaglia [1543], di F. Commandino [1572], di A. Borelli [1658].

Invece la prima impressione degli «Elementi» in lingua greca [Basilea, 1533], contiene l’ipotesi fra gli assiomi [assioma XI]. Successivamente la riportano fra gli assiomi F. Candalla [1556], C. Clavio (1574], Giordano Vitale [1680] ed anche il Gregory [1703], nella sua classica versione latina delle opere d’Euclide.

Per tentare di rendersi conto di queste differenze, le quali, più che ai predetti autori, risalgono ai codici tramandati dai greci, gioverà sapere quale significato attribuissero questi ultimi alle parole «postulati» [αἰτήματα] ed «assiomi» [ἀξιώματα]11. Notiamo anzitutto che la parola assiomi qui sta a significare ciò che Euclide, nel suo testo, chiama «nozioni comuni» [κοιναὶ ἔννοιαι].

In Proclo sono indicati tre diversi modi di intendere la differenza che passa fra gli assiomi e i postulati. [p. 17 modifica]

Il primo modo si riattacca alla differenza che passa fra problema e teorema. Il postulato differisce dall’assioma, come il problema differisce dal teorema, dice Proclo. Con questo si deve intendere che il postulato afferma la possibilità di una costruzione.

Il secondo modo consiste nel dire che il postulato è una proposizione di contenuto geometrico, dove l’assioma è una proposizione comune tanto alla geometria quanto all’aritmetica.

Finalmente il terzo modo di intendere la differenza fra le due parole e riportato da Proclo, è appoggiato all’autorità di Aristotile [384-322]. Le parole assioma e postulato in Aristotile non sembrano usate in senso esclusivamente matematico. Assioma è ciò che è vero per se stesso, in forza cioè del significato delle parole che contiene, postulato è ciò che, pur non essendo un assioma, nel senso sopradetto, si ammette senza dimostrazione.

Talchè la parola assioma, come appare anche meglio da un esempio portato da Aristotile [sottraendo da cose uguali cose uguali i resti sono uguali], è usata in un senso che corrisponde, presso a poco, a quello delle nozioni comuni di Euclide, mentre la parola postulato ha in Aristotile un senso diverso da ciascuno dei due sopra accennati. 12 Ec|αἰτῆμα| Ora a seconda che si adotta l’una o l’altra di queste distinzioni fra le due parole, una certa proposizione potrà classificarsi o fra i postulati o fra gli assiomi. Adottando la [p. 18 modifica] prima, dei cinque postulati euclidei solo i tre primi, secondo Proclo, meriterebbero questo nome, in quanto in essi soltanto è domandato di poter fare una costruzione [congiungere due punti, prolungare una retta, descrivere un cerchio di centro e raggio arbitrari]. Il IV [gli angoli retti sono uguali] ed il V dovrebbero invece classificarsi fra gli assiomi13.

Accettando invece la seconda o la terza distinzione, i postulati euclidei sono tutti cinque da noverarsi fra i postulati.

Con ciò l’origine delle divergenze fra i vari codici è facilmente spiegabile. Ad avvalorare questa spiegazione possiamo aggiungere l’incertezza in cui si trovano gli storici nell’attribuire ad Euclide i postulati, le nozioni comuni, le definizioni del primo libro. Per quanto riguarda i postulati, i dubbi più forti si elevano contro i due ultimi: la presenza dei primi tre concorda abbastanza con l’intero piano dell’opera14. [p. 19 modifica]

Ammettendo, sia pure contro l’autorità di Gemino e Proclo, l’ipotesi che il IV e V postulato non siano d’Euclide, il rigore estremo degli «Elementi» dovè condurre i successivi geometri a ricercare nel seno dell’opera tutte quelle proposizioni ammesse senza dimostrazione. Ora quella che ci interessa si trova, sotto una forma molto concisa, espressa nella dimostrazione della prop. XXIX. Da questa potè adunque essere tratto il contenuto del V postulato ed aggiunto ai postulati di costruzione od agli assiomi, a seconda dell’opinione professata dal trascrittore dell’opera d’Euclide.

Il suo posto naturale sarebbe del resto, anche secondo il Gregory, dopo la prop. XVII, di cui enuncia l’inversa.

Notiamo infine che, qualunque sia il modo di risolvere la questione di parole qui sollevata, la moderna filosofia matematica tende generalmente a sopprimere la distinzione fra postulato ed assioma, intesa nel secondo e terzo dei modi sopra ricordati, perchè prevale la veduta di attribuire alle proposizioni fondamentali della geometria un carattere di ipotesi appoggiate ad una base empirica, mentre sembra superfluo porre fra queste proposizioni delle affermazioni, che sieno semplici conseguenze delle definizioni date.



Note

  1. Il Commento di Proclo fu stampato per la prima volta a Basilea [1533] nel testo originale; poi a Padova [1560] nella traduzione latina del Barozzi.
  2. Elementorum libri XV [Pesaro, 1572].
  3. Euclidis elementorum libri XV [Roma, 1574].
  4. «Operetta delle linee rette equidistanti, et non equidistanti» [Bologna, 1603].
  5. Ulteriori osservazioni sull’argomento furono fatte dal P. A. Cataldi nell’«Aggiunta all’operetta delle linee rette equidistanti, et non equidistanti» [Bologna, 1604]
  6. Borelli: «Euclides restitutus» [Pisa, 1658].
  7. Giordano Vitale: Euclide restituto overo gli antichi elementi geometrici ristaurati, e facilitati. Libri XV [Roma, 1680].
  8. Cfr. Bonola: «Un teorema di Giordano Vitale da Bitonto sulle rette equidistanti», Bollettino di Bibliografia e Storia delle Scienze Mat. [1905].
  9. Cfr. Wallis: «De Postulato Quinto; et Definizione Quinta - Lib. 6 Euclidis; disceptatio geometrica»; in Opera Math. t. II, p. 669-678. [Oxford, 1693]. Questo scritto di Wallis contiene due conferenze ch’egli tenne all’Università di Oxford, la prima nel 1651, la seconda nel 1663. In esse viene riportata anche la dimostrazione di Nasîr-Eddîn. La parte che riguarda la dimostrazione di Wallis fu tradotta in tedesco dai SS. Engel ed Stäckel nella Theorie der Parallellinien von Euklid bis auf Gauss, p. 21-36 [Leipzig, Teubner, 1895]. Quest’opera sarà nel seguito indicata con: Th. d. P.
  10. Per qualche indicazione in proposito vedere: Riccardi, «Saggio di una bibliografia Euclidea». Mem. di Bologna, serie 5, T. I, p. 27-34 [1890].
  11. Per quanto segue cfr. Proclo, nel capitolo portante il titolo «Petita et axiomata». Recentemente G. Vailati, in una sua comunicazione al terzo Congresso Mat. [Heidelberg, 1904], ha richiamato l'attenzione degli studiosi sul significato di queste parole presso i greci. Cfr.: «Intorno al significato della distinzione tra gli assiomi ed i postulati nella geometria greca», Ver. des dritten Math. Kongresses, p. 575-581, [Leipzig, Teubner, 1905].
  12. Cfr. Aristotile: Analytica Posteriora, I. 10. Riportiamo integralmente il passo, un po’ oscuro, in cui questo filosofo parla del postulato. Ὅσα μέν oὖν δεικτὰ ὄντα λαμβάνει ἀυτὸς μὴ δείξας, ταῦτα ἐὰν μὲν δοκοῦντα λαμβάνῃ τῷ μανθάνοντι ὑποτίθεται. Καὶ ἔστιν οὐχ ἁπλῶς ὑπόθεσις ἀλλὰ πρὸς ἐκεῖνον μόνον.Ἐὰν δὲ ἢ μηδεμίας ἐνούσης δόξης ἢ καὶ ἐναντίως ἐνούσης λαμβάνῃ, τὸ αυτὸ αἰτεῖται. Καὶ τούτῳ διαφέρει ὑπόθεσις καὶ αἴτημα. ἔστι γὰρ αἰτῆμα τὸ ὑπεναντίον τοῦ μανθάνοντος τῇ δοξῃ.
  13. È opportuno osservare che il V postulato può enunciarsi così: Si può costruire il punto comune a due rette, quando queste rette tagliate da una trasversale formano due angoli interni da una stessa parte la cui somma è minore di due angoli retti. Da ciò risulta ch’esso, afferma, come i tre primi, la possibilità di una costruzione. Questo carattere scompare però totalmente se lo si enuncia, ad. es., così: per un punto passa una sola parallela ad una retta, ovvero: due rette parallele ad una terza sono parallele fra loro. Parrebbe adunque che la su accennata distinzione fosse soltanto formale. Non bisogna però lasciarsi illudere dalle apparenze: il V postulato, comunque lo si enunci, permette, in sostanza, di costruire il punto d’incontro di tutte le rette d’un fascio, ad eccezione di una, con una retta assegnata sul piano del fascio. Tuttavia fra questo postulato ed i tre postulati di costruzione una certa differenza esiste: in questi i dati sono completamente indipendenti, in quello i dati (le due rette tagliate dalla trasversale) sono assoggettati ad una condizione. Sicchè più che ai postulati od agli assiomi, l’ipotesi euclidea appartiene ad un genere intermedio fra gli uni e gli altri.
  14. Cfr. P. Tannery: «Sur l’authenticité des axiomes d’Euclide» — Bull. Sciences Math. (2), t. XVIV, p. 162-175 [1884].