La forza dell'animo (1828)/Lettera
Questo testo è stato riletto e controllato. |
Traduzione dal tedesco di Anonimo (1828)
◄ | Avvertimento | Principio della dietetica | ► |
L E T T E R A
DI
EMANUELE KANT
AL PROFESSORE
H U F E L A N D
Voi mi chiedete un giudizio sul vostro studio di trattare moralmente il fisico dell’uomo, di presentar l’uomo, anco fisico, qual essere calcolato sulla moralità, e dimostrare la cultura morale come indispensabile alla fisica perfezione dell’umana natura, la quale esiste soltanto nella disposizione; ed aggiungete: “posso per lo meno assicurarvi che non già le prevenzioni, ma bensì le osservazioni m’imposero irresistibilmente questo metodo di trattare”. – Un tal aspetto della cosa appalesa l’uomo, il quale non solo con destrezza raccoglie tecnicamente per la sua arte medica i rimedj ordinati dalla ragione, come ce li offre l’esperienza, ma che oltre a quello che giova, sa pur ordinare ciò che nell’istesso tempo è anco dovere da per sè: cosicchè la filosofia morale pratica ne costituisce ad un tempo una medicina universale, la quale, abbenchè non giovi a tutti per tutto, non dee però mancare in nessuna ricetta.
Ma questo rimedio universale concerne solo la Dietetica, cioè, esso opera soltanto negativamente come arte di allontanare le malattie; cionnonpertanto una tal arte suppone una facoltà che la filosofia può sola fornire, su di che si riferisce la suprema quistione dietetica contenuta nel tema:
“Della forza dell’animo ond’essere col solo proponimento padrone delle proprie morbose sensazioni”.
Non trarrò gli esempi confermanti la possibilità di quest’asserzione dall’esperienza degli altri, ma bensì da quella fatta su di me stesso, quale risultamento della mia propria coscienza, e poscia si può chiedere altrui, se altri pure l’osservin così. Mi trovo dunque astretto di far sentir altamente il mio Io, uno sperimento interno, od osservazione, che prima io doveva fare su di me stesso, onde presentare all’altrui giudizio cose, a che non tutti penserebbero senza esservi condotti. Biasimevole arroganza sarebbe il voler divertir altrui coll’interna storia del giuoco de’ miei pensieri, i quali contenevano bensì un’importanza subbiettiva (per me), ma non obbiettiva (che vale per ognuno). Se però quest’osservare sè stesso e le percezioni che ne risultano non sono tanto comuni, anzi meritino di chiamare l’attenzione di ognuno, questo difetto di trattener altrui coi proprj sentimenti può per lo meno meritare perdono.
Prima dunque che io ardisca pubblicare il risultamento dell’osservazione su di me stesso sotto l’aspetto dietetico, devo ancora notare qualche cosa sulla maniera con cui il signor Hufeland offre il problema della Dietetica, cioè: l’arte di preseverare dalle malattie, in opposizione della Terapeutica, quella guarirle.
Esso ha per titolo: L’Arte di prolungare la vita umana.
Prende egli la sua denominazione da ciò che gli uomini bramano il più ardentemente, comecchè per avventura possa esser ciò che meno v’abbia a desiderarsi. Eglino bramerebbero volontieri due cose: vivere lungamente, e vivere sani: ma la prima non ha per necessaria condizione l’altra, ed è assoluta. Ancorchè soffra e stenti l’ammalato nello spedale per interi anni, e lo sentiate bramare che la morte ponga un termine ai suoi patimenti... non lo crediate, non la vuole davvero; la ragione gliel detta bensì; ma l’istinto naturale vuole diversamente. Se egli invoca la morte come un liberatore, dimanda pur sempre qualche picciol indugio, avendo sempre alcun pretesto alla procrastinazione del suo perentorio decreto. La risoluzione presa nel furor feroce di finire la vita con un suicidio, non ne fa eccezione, essendo l’effetto d’un’affezione esaltata sino alla manía... Fra le due promesse di ricompensa divina a chi adempie il dovere di figlio (acciò tu sii felice, e tu viva lungamente sulla terra), l’ultima contiene il più forte istinto anche nello stesso giudizio della ragione, vale a dire quale dovere, la cui osservanza è pur meritoria.
Il dovere di onorare la vecchiaja non è fondato sul debito riguardo, che si suppone ne’ giovani verso la debolezza de’ vecchi, non essendo questa la ragione della stima a loro dovuta. La vecchiaja vuol quindi pure essere considerata per qualche cosa di meritorio, dal che ne nasce la venerazione che le si concede. Dunque, non già perchè gli anni di Nestore portino con sè un sapere da lunga sperienza acquistato per dirigere il mondo più giovine, ma perchè l’uomo – purchè non sia macchiato d’infamia –, il quale si è conservato così lungamente, vale a dire, che ha potuto scansare la mortalità, cioè il più umile detto che mai possa pronunziarsi su un essere ragionevole (tu sei polvere, e devi divenir polvere), il quale è per così dire riuscito a vincere l’immortalità, ma perchè dico, un tal uomo si è conservato vivo per sì lungo tempo, ed ha servito d’esempio.
Ma in quanto alla salute, come la seconda brama naturale, la cosa è un po’ fallace. Si può sentirsi sano (del piacevole sentimento della sua vita), ma non mai sapere che si sia sano... Ogni causa della morte naturale è malattia, sia o no sentita. Vi sono molti di cui, senza però burlarsene, si dice, per aver sempre qualche cosa (esser malaticci), non poter mai divenir malati, e che campano lungamente senza manifestare molta forza. A quanti de’ miei amici e conoscenti non sono io sopravvissuto, i quali, adottata una volta una regolata maniera di vita, vantavansi di una perfetta salute, mentre il germe della morte (la malattia), vicino a svilupparsi, trovossi in loro inosservato, e quello che si sentìsano, non seppe ch’ei fu malato.