La fondazion di Venezia/Nota storica
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NOTA STORICA
Legato ormai da più mesi alla compagnia Imer, il Goldoni suggerì al capocomico, in casa del quale abitava, un’idea nuova per l’apertura del teatro di S. Samuele in sul principio dell’ottobre 1735. Durante la primavera erano avvenuti alcuni mutamenti nella compagnia. In luogo del solito Complimento recitato dalla prima donna, pensò il dottor Carlo di dare uno spettacolo in tre parti, da riempire l’intera serata. “La prima parte era un’Accademia di belle lettere, nella quale recitava ciascun Personaggio”, comprese le maschere, “un componimento in lode di Venezia o dell’uditorio”. “La seconda parte era una breve, allegra Commedia in un atto solo, in cui le Maschere” e i nuovi attori “brillavano principalmente”. La terza parte era “un’Operetta in musica in sei Personaggi, intitolata la Fondazion di Venezia, in cui cantavano l’Imer, l’Agnese (Amurat), la Passalacqua, il Gandini brighella, il Campagnani arlecchino, ed il mio Casali cantovvi anche egli e si fece onore” (v. Memorie, vol. I della presente edizione, p. 114). Nei Mémoires troviamo qualche altro particolare. “Tous les Acteurs, au lever de la toile, se trouvoient assis et rangés sur la scène en habillement bourgeois. Le Directeur” cioè Giuseppe Imer “ouvroit l’assemblée par un discours sur la Comédie et sur les devoirs des Comédiens, et finissoit par complimenter le public” (P. I, ch. 37). Una specie dunque di programma teatrale, come farà nel 1750 con disegno ben più ampio ed ardito il nostro autore nel Teatro comico, un debole inizio della futura riforma. Poi gli attori e le quattro maschere a viso scoperto recitavano dei versi. “Riuscì una sorpresa piacevole” aggiunge il Goldoni “il vedere tutta la Compagnia in semicircolo e sentir cose nuove, e in vari metri e con varie invenzioni sentir gli elogi della Città, del Governo e degli ordini vari delle persone... Ebbe la mia Accademia perciò tutto l’applauso che poteva desiderare” (vol. I, p. 116). Non si può far a meno di pensare all’accademia poetica introdotta più tardi nel terzo atto della Donna di garbo (vol. I, pp. 512 sgg.) e a quelle più famose del Poeta fanatico (vol. IV).
La commediola a braccia non piacque per colpa principalmente del nuovo Arlecchino (dicono i Mémoires), cioè del Campagnani. Bene accolta fu la Fondazion di Venezia, musicata dal maestro Maccari (vol. I, pp. 115 e 116). È strano che il Goldoni nelle memorie in francese, ricordando quest’operetta, si lasci sfuggire più d’un errore, e possa scrivere: “Cette pièce, qui étoit peut-être le premier Opéra-Comique qui parut dans l’Etat Vénitien...”. Innanzi tutto la Fondazion di Venezia è propriamente un semplice Divertimento musicale, misto di giocoso e di serio; e poi, oltre gli Intermezzi, fin dal principio del Settecento sui teatri di Venezia si erano recitati “scherzi comici pastorali” e “drammi comici” e “divertimenti comici” e “tragicommedie” e “commedie” in musica, come si può vedere sfogliando il catalogo del Groppo o quello recente del Wiel: memorabile l’Elisa del Lalli, nel 1711, musicata dal Ruggeri. Ma come mai non ricordava almeno il Goldoni le Metamorfosi odiamorose del gori, recitate nel 1732 a S. Samuele, e ripetute nell’autunno del ’34?
Si presenta ora una questione di maggior importanza. Dello spettacolo offerto dal Goldoni a S. Samuele nell’ottobre del 1735 noi non abbiamo le prime due parti (l’Accademia e lo scenario della commediola), che di certo non furono mai stampate. Abbiamo la Fondazion di Venezia, ma stampata l’anno dopo, per l’inaugurazione delle recite autunnali del 1736, preceduta da un Prologo in versi, in forma di dialogo tra la Musica, la Commedia e il Genio dell'Adria, di cui il Goldoni non parla affatto. Convien credere che quest’ultima operetta, applaudita nel ’35, servisse anche per l’anno successivo, forse con qualche lieve ritocco, e che l’autore in tale occasione la stampasse, componendo per la nuova recita, in cambio dell’Accademia, il detto Prologo, musicato pure dal Maccari.
Non c’è dubbio che ogni qual volta il Goldoni portò davanti al pubblico le sue idee sulla riforma del teatro, si inspirava all’esempio del Molière (v. Maria Ortiz, Il canone principale della poetica goldoniana, Napoli, 1905, p. II). Nel presente Prologo l’autore cerca di rivendicare i diritti antichi della Commedia e la sua importanza morale contro il predominio tirannico della Musica nei teatri veneziani del suo tempo; e assale la "turba mercenaria" dei cantanti, chiamati impropriamente virtuosi. Ricorda tuttavia il dispregio in cui eran cadute le rappresentazioni comiche, ma quasi per un presagio dei futuri trionfi, dice la Commedia alla Musica: "Non andrai sempre fastosa. - Verrà un dì che l’ orgogliosa - Fronte tua saprò umiliar". E la Musica ribatte: "Verrà un dì, ma intanto fremi". Per ora la conclusione era questa, che la Commedia aveva bisogno, per rialzarsi, della Musica e la Musica stessa, se non voleva tediare gli spettatori, doveva introdurre "ne’ suoi drammi qualche comica azione". Così decideva il Genio dell’Adria, cioè il pubblico veneziano avido di novità, imponendo però che così la Commedia, come la Musica, correggessero i propri difetti.
Io credo che la lettura dell’Adria di Pier Jacopo Martello, che il buon Segretario del Senato Bolognese compose a Roma nel 1714, dopo il ritorno da Parigi, e fece recitare a Venezia nell’antico teatro dei SS. Giovanni e Paolo, edita a Roma nel 1715 e riprodotta proprio nel 1735 a Bologna, nel tomo terzo delle Opere complete, stimolasse nel Goldoni l’idea di mettere in scena le origini di Venezia, sfrondando la pesante azione da ogni ingombro puerile e liberandola dall’imitazione delle favole piscatorie con qualche scenetta realistica di sapore popolare. Certo non mancano ingenuità e puerilità anche nelle scene vernacole, ma vi è tuttavia nella pittura del vecchio Besso, del ragazzo Niso, e in quella specialmente di Dorilla, giovine maestra d’amore, qualche lampo fuggevole della futura arte comica del Goldoni, come già vedemmo negli Intermezzi meno infelici (Olga Marchini-Capasso, Goldoni e la commedia dell’arte, Napoli, 1912, pp. 191-193 e Mario Penna, Il noviziato di C. Goldoni, Torino, 1925, pp. 67-68). L’arrivo nelle isolette della laguna di Adrasto e degli altri cavalieri fuggenti dall’Italia in fiamme, offre occasione al poeta d’esaltare la libertà veneziana ("Liberi semo nati, ‐ Liberi moriremo") e l’ottimo governo, come fece il Martello. Come mai potè scoprirvi la Marchini-Capasso intenzioni feroci di esecrazione del “tirannico giogo dei governanti” e versi “d’intonazione eroica”? Ma il Goldoni era un suddito veneziano orgoglioso della sua patria, non un giacobino francese; nè questo scherzuccio comico musicale d’infelice fattura si può confondere con la Nave del D’Annunzio.
Della musica del Maccari, maestro romano, nulla ci resta (vol. XXVI, pp. 128-129). La Fondazion di Venezia, edita la prima volta nel 1736 dal Valvasense (v. pag. 35), fu ristampata a Venezia dal Tevernin nel t. III delle Opere Drammatiche Giocose di Polisseno Fegejo P. A., 1753; e poi a Torino nella riproduzione di dette Opere fatta dal? Olzati nel 1757 e nel L XII delle Commedie di C. Goldoni, edite nel 1777 presso Guibert e Orgeas; e di nuovo a Venezia nel t. 36 (t. II della classe IV) dell’edizione Zatta, 1794, dove il Prologo fu separato del tutto e stampato come Introduzione, con questo titolo: La gara tra la Commedia e la Musica. È strano come i continuatori della Drammaturgia di Lione Allacci (Venezia, 1755), dopo di aver ricordata l’ed. Valvasense, aggiunsero: “Questo Dramma fu preceduto da un Prologo in Musica intitolato Le Gare fra la Musica e la Commedia decise dal Genio dell’Adria. Il detto Prologo non fu stampato”. Delle edizioni dell’Ottocento qui non mi curo. Solo per curiosità noto la recita che la compagnia Colacusi fece a Venezia nel teatro di S. Samuele, ai 21 febbraio 1827, di un’opera intitolata: L’origine della fondazione di Venezia.
G. O.