La fine di un Regno (1909)/Parte III/Documenti vol. I/II

Carlo Pesce

Documento II
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La seconda venuta di Ferdinando II in Lagonegro.
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Documento II, volume I, cap. II.


La seconda venuta di Ferdinando II
in Lagonegro.


.... “Giunse il corteo reale in Lagonegro verso le 4 pom. di quello stesso giorno 29 settembre. Già lungo la via, fuori l’abitato, erasi fatta incontro numerosa folla, nella quale non mancavano i soliti monelli, che, correndo dietro la carrozza reale, acclamavano con evviva e con schiamazzi, di che il Re pareva non poco seccato.

“In città i preparativi del ricevimento erano stati assai [p. 19 modifica]modesti, anche perchè era fresca la ricordanza che le spese fatte in occasione dell’altra venuta del Re nel 1833, erano state imputate agli amministratori del Comune. Ivi da circa 5 anni vacava il posto di Sindaco, ed il Governo non si decideva a nominarlo, respingendo parecchie volte le terne di coloro che venivano proposti dal Decurionato, sicchè funzionava il 2° eletto D. Antonio Cascini, un pittore di certo merito, ma insufficiente alla circostanza.

“Un grande arco trionfale era stato eretto fuori della città, alla prime taverna, decorato di foglie di quercia e di lauro, di panni scarlatti, e tele variopinte; altro arco consimile era stato posto allo sbocco della strada Napoli sulla piazza grande, e presso di queste erano aggruppate le autorità vivili e militari, i galantuomini ed i popolani. Giunse il Re in carrozza scoverta, nella quale erano pure il duca di Calabria ed il conte di Trapani, ricevè dall’arciprete e dal sindaco gli omaggi dovuti della città, e si mostrò a preferenza prodigo di cerimonie verso un frate cappuccino, Padre Alfonso da Lagonegro, che aveva conosciuto nel chiostro di Capodimonte e che tosto chiamò per nome. Indi, preceduto processualmente dalla croce astata e dal Clero in sacri paramenti, attraversò lentamente in carrozza la piazza per recarsi nella Chiesa della Trinità, giusta le usanze della Corte Borbonica.

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“Il Re Ferdinando — alto ed obeso della persona, circondato il grosso viso, al collo ed alla tempia, da un filo di barba, che era detta alla lione od a fettuccia, e che solo era permessa dalla polizia in omaggio alle sembianze ed alla moda reale — indossava con pochissima cura la divisa di colonnello del Reggimento Re o 1° di linea, col berretto rosso e la tunica bleu; e tuttochè avesse raggiunto i 42 anni di età, pareva assai disfatto e stanco. Le tristi emozioni del periodo della rivoluzione, e forse anche i rimorsi per le feroci persecuzioni, cui aveva dato luogo, avevano impresso sul suo viso Erofonde tracce: sospettoso ed irascibile pareva annoiato di ogni cosa, perfino delle acclamazioni e delle dimostrazioni popolari, che in fondo pretendeva non per affetto, ma per soggezione.

“Giunto il corteo reale davanti la Chiesa matrice, dov’erano stati distesi per terra vari tappeti e panni colorati, il Re ricevè dall’arciprete Sabatino l’acqua santa e la benedizione, ed indi entrò nel tempio, dove il cantore del Clero intuonò solennemente a più riprese il mottetto ad multos annos, quale augurio al Sovrano. Presso il pulpito era stato eretto un ricco trono — preso in prestito dalla chiesa del Rosario di Rivello e adatto all’esposizione dei Santi — ma il Re, invitato a prendervi posto, si schermi, e sorridendo disse all’arciprete in dialetto napoletano, che egli parlava a preferenza [p. 20 modifica]d’ogni altra lingua: Arciprè, m’hai pigliatu pi santu! e andò ad inginocchiarsi al faldistorio.

“Dopo che fu cantato solennemente il Te Deum, il Re co’ principi, i ministri ed i generali si recò a piedi nel palazzo della Sottointendenza, mentre la folla acclamava, chiedeva grazie e presentava suppliche. In quel rincontro attirò l’attenzione sovrana una donnicciuola, che implorava, ad alta voce, grazia pel fratello cappuccino. Il Re la face avvicinare, e quando seppe che il frate, per bassi intrighi di convento e per pretesi sensi liberali, era perseguitato e fuggiasco: Fatelo venire a me, disse.

“— Sarebbe subito arrestato, Maestà — soggiunse la donna — da questi che vi circondano.

Non abbiate paura — soggiunse il Re con un sorriso, e diede ordine che un suo segretario accompagnasse la donna per rilevare il capuccino, il quale era nascosto in paese, non ostante le accanite ricerche da parte della polizia.

Qual fu la generale maraviglia quando, di lì a poco si vide comparire in piazza, a scorno dei gendarmi, il frate, lacero e smunto?

Lo stesso Re ne rise, e rivolto al capitano della gendarmeria, che era qui di guarnigione, gli disse: Che bella polizia esercitate voi!...

“Il frate fu tosto graziato, ma stanco della persecuzione fratina, entrò nel clero secolare, e riprese il suo nome di battesimo Filippo Falabella.

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“Nel mattino seguente, 30 settembre, il Re co’ principi e col seguito ascoltò devotamente la messa, celebrata dall’arciprete Sabatino nell’oratorio, che fu eretto appositamente nello stesso palazzo, ed essendo rimasto vieppiù compiaciuto dai tratti affabili e generosi, dalla dottrina, della bontà d’animo e dello zelo religioso di quell’ottimo sacerdote, stabilì di proporlo alla Santa Sede per la nomina di vescovo, come in effetti fece nell’anno stesso, nel quale il Sabatino fu nominato vescovo dell’importante diocesi di Valva e Sulmona.

“Dopo gli uffizi divini il Re ricevè l’autorità cittadine, il sindaco con tutti i decurioni, il giudice istruttore Pettinicchio, il ricevitore distrettuale Giovanni Aldinio, il giovane conciliatore Nicola Pesce ed i galantuomini. Chiese minuto conto dell’amministrazione e dell’azienda comunale, e volle fra le mani il bilancio, nel quale fermò la sua attenzione su di una partita di 85 ducati per manutensione di fontane, osservando che, nel passare per la piazza, aveva notato che la fontana circolare era completamente all’asciutto. Il sindaco fe’ riflettere che in paese eranvi altre fontane, alle quali bisognava provvedere, e per accomodare il condotto di quella, che [p. 21 modifica]aveva richiamato l’attenzione reale, chiese al Re un congruo sussidio.

“Nella stessa udienza reale fu pure dimandato che l’ospedale di Maratea — dichiarato già distrettuale nel 1881 con 6 letti giornalieri, oltre gli straordinari — fosse stato traslocato a Lagonegro come capoluogo, ma il Re tenne duro, e: Non è lecito disse, spogliare un altare per vestirne un altro; ed al sindaco funzionante Cascini, che insisteva su questo argomento, rispose scherzosamente: Pittò va pitta!...

“Durante tutto il ricevimento, fece poca gradita impressione agli intervenuti il contegno distratto e indifferente del quindicenne Principe ereditario Francesco, il quale si divertiva a far roteare sul suo piede la sciabola, che gli cingeva il fianco, sicchè pareva bene appropriato il nomignolo, che gli dava il padre, di Lasa o Lasagna, che pare alludesse alla timidezza ed alla insipienza di lui.

“Dopo i ricevimenti, il principe Francesco, montato a cavallo, passò in rivista l’esercito che era allineato su due file nella piazza e che poscia prosegui la marcia per la strada delle Calabrie. Il Re assistò dal balcone della Sotto-intendenza allo sfilamento delle truppe, e quando passarono i Cacciatori reali, gridò in tuono marziale: Cacciatori reali, pochi, ma buoni! Questi risposero con sonore acclamazioni ed evviva.

“Ad ogni cittadino era accordato libero accesso fino al Re, sicchè molti gli sì presentarono per chiedere grazie ed elemosine, che furono accordate direttamente su larga scala. A) padre Alfonso, suo amico personale, il Re accordò un lauto sussidio pel ristauro del convento di S. Francesco, e tutta la spesa per la costruzione della strada a gradini d’accesso sull’amena collina del Monastero. Altre somme furono lasciate all’arciprete per la distribuzione ai poveri del paese.

“Dopo un giorno di sosta, nel mattino del l° ottobre il Re col seguito proseguì il viaggio per Lauria e Castelluccio Inferiore, dove pernottò nel monastero dei Frati.

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“Ritornato il Re in Napoli dalle Calabrie per mare, le principali disposizioni, da lui date in occasione di quel viaggio, furono inserite nel Giornale Ufficiale del Regno, e fra esse è notevole questa che riguarda la città di Lagonegro: “S. M. dispose che in Lagonegro fosse richiamata un’antica fontana da lungo tempo essiccata,, — L’ordine era ben dato, ma le finanze del comune non consentivano alcuna spesa, sicchè il Decurionato nella seduta del 7 luglio 1858, si fe’ a supplicare la S. M. ad avere la degnazione che la spesa bisognevole per animare la fontana sia prelevata dai fondi del Real Tesoro.

[p. 22 modifica]“Nulla però s’ottenne nè per la fontana, nè per la chiesa; pare che sia stata triste fatalità sempre per Lagonegro chieder molto e non ottener nulla„!

(Dal giornale il Foglietto di Lagonegro).