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sti, anche perchè era fresca la ricordanza che le spese fatte in occasione dell’altra venuta del Re nel 1833, erano state imputate agli amministratori del Comune. Ivi da circa 5 anni vacava il posto di Sindaco, ed il Governo non si decideva a nominarlo, respingendo parecchie volte le terne di coloro che venivano proposti dal Decurionato, sicchè funzionava il 2° eletto D. Antonio Cascini, un pittore di certo merito, ma insufficiente alla circostanza.

“Un grande arco trionfale era stato eretto fuori della città, alla prime taverna, decorato di foglie di quercia e di lauro, di panni scarlatti, e tele variopinte; altro arco consimile era stato posto allo sbocco della strada Napoli sulla piazza grande, e presso di queste erano aggruppate le autorità vivili e militari, i galantuomini ed i popolani. Giunse il Re in carrozza scoverta, nella quale erano pure il duca di Calabria ed il conte di Trapani, ricevè dall’arciprete e dal sindaco gli omaggi dovuti della città, e si mostrò a preferenza prodigo di cerimonie verso un frate cappuccino, Padre Alfonso da Lagonegro, che aveva conosciuto nel chiostro di Capodimonte e che tosto chiamò per nome. Indi, preceduto processualmente dalla croce astata e dal Clero in sacri paramenti, attraversò lentamente in carrozza la piazza per recarsi nella Chiesa della Trinità, giusta le usanze della Corte Borbonica.

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“Il Re Ferdinando — alto ed obeso della persona, circondato il grosso viso, al collo ed alla tempia, da un filo di barba, che era detta alla lione od a fettuccia, e che solo era permessa dalla polizia in omaggio alle sembianze ed alla moda reale — indossava con pochissima cura la divisa di colonnello del Reggimento Re o 1° di linea, col berretto rosso e la tunica bleu; e tuttochè avesse raggiunto i 42 anni di età, pareva assai disfatto e stanco. Le tristi emozioni del periodo della rivoluzione, e forse anche i rimorsi per le feroci persecuzioni, cui aveva dato luogo, avevano impresso sul suo viso Erofonde tracce: sospettoso ed irascibile pareva annoiato di ogni cosa, perfino delle acclamazioni e delle dimostrazioni popolari, che in fondo pretendeva non per affetto, ma per soggezione.

“Giunto il corteo reale davanti la Chiesa matrice, dov’erano stati distesi per terra vari tappeti e panni colorati, il Re ricevè dall’arciprete Sabatino l’acqua santa e la benedizione, ed indi entrò nel tempio, dove il cantore del Clero intuonò solennemente a più riprese il mottetto ad multos annos, quale augurio al Sovrano. Presso il pulpito era stato eretto un ricco trono — preso in prestito dalla chiesa del Rosario di Rivello e adatto all’esposizione dei Santi — ma il Re, invitato a prendervi posto, si schermi, e sorridendo disse all’arciprete in dialetto napoletano, che egli parlava a preferenza