La fine di Cagliostro studiata ne' documenti lucchesi
Questo testo è stato riletto e controllato. |
LA FINE DI CAGLIOSTRO
studiata ne’ documenti lucchesi.
Giuseppe Balsamo, celebre sotto il nome di Cagliostro, aspetta ancora un biografo che, con l’aiuto de’ documenti, ci mostri veramente chi fu e che cosa fece. Al futuro storico del Balsamo appresto materiali, fino a qui ignoti, riguardanti il suo ultimo soggiorno a Roma, il suo arresto, il suo processo, la sua condanna, la sua morte. Son notizie spigolate dal carteggio di mons. Lorenzo Prospero Bottini, che poi da Pio VII venne creato cardinale e mori l’11 agosto del 1818. Nel 1784 era succeduto a Domenico Paoli nell’ufficio di Agente della Repubblica di Lucca presso la Corte pontificia e ad ogni corso di posta, come gliene correva l’obbligo, informava il proprio Governo di ogni più minuta particolarità che avvenisse in Roma.
Il 6 giugno dell’89 il Bottini parla per la prima volta del celebre avventuriere. “Da Trento, dove ha lungamente soggiornato„, (cosi scrive), “ed in ultimo da Torino, è qua giunto il famoso conte Cagliostro, colla moglie, romana, anzi trasteverina. Da Venezia gli è stato ingiunto di partire, ed avea richiesto, pria di qua trasferirsi, un salvo condotto, di cui non ha avuto bisogno, non costando finora di essere debitore a questo Stato Pontificio di alcuna delinquenza. Accertasi essere oriundo siciliano, e riccamente fornito, senza sapersi i suoi fondi e le sue industrie. Ha avuto una lettera commendatizia del Vescovo di Trento all’Em.o Albani, Decano, che nella figura e nell’eloquenza di Cagliostro non ha saputo rilevare la sua celebrità. Abita in una nobil locanda di Piazza di Spagna, senza dare fin qui osservazione nella sua condotta. Molti son curiosi vederlo e di sentire dalla sua bocca (se è possibile) la verificazione delle molte sue avventure„.
Che Roma non fosse terreno per Cagliostro se ne ha la prova da un’altra lettera del Bottini de’ 12 settembre di quell’anno. “L’altrove rinomato Cagliostro, che in varii mesi del suo soggiorno in Roma ha eccitato la curiosità di pochi e l’ammirazione di niuno, sentesi che, per economia, abbia lasciata la locanda di Piazza di Spagna, ritirandosi nelle vicinanze di Piazza Farnese presso alcuni parenti della moglie, e che sia intenzionato di partire in breve per Napoli, ed ivi stabilirsi„. Non gli riuscì, per altro, di mandare ad effetto il disegno di mutar cielo; e il Governo Romano, che non l’aveva perduto d’occhio un momento, finì col mettergli le mani addosso. “Domenica mattina„ (scriveva il Bottini il 2 gennaio del ’90) “la Santità di Nostro Signore, dopo aver assistito alla solenne Messa cantata, si portò nelle stanze dell’Em.mo Segretario di Stato, ove tenne una particolare congregazione, composta dell’Eminenza Sua„ (cioè del Segretario di Stato) “e degli Em.mi Antonelli, Pallotta e Campanelli, con Monsig. Vicegerente in qualità di Segretario. Non è noto l’oggetto della medesima. Si conviene però da tutti che l’improvviso arresto, accaduto nella notte della stessa domenica, e nel punto medesimo, del noto Conte Cagliostro e sua consorte e di un Padre Cappuccino, chiamato Fra Giuseppe da S. Maurizio, fosse il resultato di essa congregazione. Il Conte fu condotto in questo Castel S. Angelo, la Contessa nel Monastero di S. Apollonia in Trastevere ed il Religioso nelle carceri di Ara Coeli; trasportato in seguito, come si vuole, in quella di questa S. Inquisizione. Fuggì anche contemporaneamente il sig. Marchese Vivaldi, che in prima fu creduto complice, in mancanza di religione, ma in seguito si è inteso essere ciò accaduto pei suoi intrighi domestici„.
Del Vivaldi, gran capo scarico, due volte torna a parlare il Bottini nel suo carteggio. “Il Marchese Vivaldi„, (così in una lettera del 4 agosto 1792) “fuggito da Roma fino in tempo della carcerazione di Cagliostro, dopo essere stato lungamente a Parigi, si è costituito in questo Castello S. Angelo a disposizione di Sua Santità, onde più facilmente godere dei benigni effetti della sua connatural clemenza„. E il 17 agosto del 1793: “Il sig. Maichese Vivaldi, già ritenuto lungamente in carcere in Castel S. Angelo e quindi abilitato in propria casa, in oggi, per Sovrana clemenza, ha ricuperato l’intera libertà, dando segni di una costante risipiscenza„.
Il Cappuccino, detto per soprannome il Padre Svizzero, nella Corrispondenza segreta sulla vita pubblica e privata del Conte di Cagliostro (operetta divenuta assai rara, che fu stampata a Venezia nel 1791, e si crede scritta dall’ab. Giuseppe Compagnoni di Lugo), vien dipinto come complice del celebre avventuriere, e si afferma “che, tra le altre cose degne di riprensione, il detto traviato Religioso spargesse in cotesta città libri degni del fuoco, diretti specialmente a denigrare tre augusti personaggi. Non si nomina l’autore del libro, e si dice soltanto che avesse per titolo Le tre Sorelle, scritto con sì sfacciata impudenza e impastato di sì abbominevoli calunnie, che fa orrore„.
Il processo andò molto per le lunghe. Il Bottini il 17 aprile del 1790 diceva: “Per la prima volta lunedì scorso dovea esser costituito il celebre Cagliostro dai Ministri del Tribunale del S. Uffizio, coll’assistenza di Monsig. Barberi, Procuratore fiscale generale, onde il ritardo di tal esame (che in breve, peraltro, sarà effettuato) non sa attribuirsi che alla mancanza d’alcune prove, da acquistarsi ulteriormente„. Il 24 del mese stesso tornava a scrivere: “Sino da lunedì doveansi prendere i primi constituti del detenuto Cagliostro dai Ministri del Tribunale del S. Uffizio, coll’intervento del Primo Luogotenente del Governo Paradisi e di Monsig. Fiscale Generale. Non si sa per qual motivo siensi differiti, ma è probabile che manchi tuttavia l’incarto e la verificazione d’alcune prove del Fisco. E dopo l’esame di Cagliostro si si passerà a quello del Cappuccino, custodito nelle carceri di Ara Coeli, e che, trattato molto meglio di quello che porta la sua professione religiosa, vive tranquillissimo„. Poi l’8 di maggio proseguiva: “Martedì passato, per lo spazio di sei ore, fu soggettato ai primi constituti il celebre Cagliostro, e in seguito parimente il Cappuccino. Proseguendosi questi esami, si credono non lontane le difese, le quali sentesi che saranno appoggiate a Monsig. Costantini Avvocato de’ Rei„. Infatti si lasciò Cagliostro in piena libertà o di servirsi dell’opera degli ordinari difensori de’ rei, o di sceglierne altri a suo piacere. Volle i primi, e furono il Conte Gaetano Bernardini Avvocato dei rei della S. Inquisizione e Monsig. Carlo Luigi Costantini (quello, appunto ricordato dall’Agente lucchese), che era l’Avvocato de’ Poveri.
La curiosità e l’interesse del pubblico ben presto si raffreddarono. “Colla solita, ma spesso indispensabile, lentezza„ (son parole d’una lettera del Bottini de’ 27 di maggio) “si proseguono i processi contro Cagliostro e il Cappuccino. La ritenzione però di uno in Castel S. Angelo e dell’altro in Ara Coeli non produce alcun turbamento, ed ormai quasi si vanno dimenticando, col fissar l’attenzione ad oggetti più importanti e alle giornaliere novità„.
Per quasi sei mesi non si ha più traccia alcuna nè di Cagliostro, nè del Cappuccino nel carteggio del Bottini. Il 20 di novembre ne parla di nuovo: “Ultimato il processo di Cagliostro„ (così scrive), “è stato consegnato al difensore del S. Offizio, che, per ordine pontificio, dovrà agire colla direzione di Monsig. Costantini Avvocato de’ Poveri, ammesso anch’egli al segreto. Non si sa poi se, in seguito d’una condanna, o dell’assoluzione, si renderà pubblico il suddetto processo, come si gradirebbe da molti„. Il 26 marzo del seguente anno 1791 torna a discorrerne cosi: “Nella Consulta dei 4 aprile venturo al S. Offizio e quindi nella radunanza dei sigg. Cardinali del giorno 7, presente il S. Padre, sentesi che sarà decisa la causa di Cagliostro e del religioso Cappuccino. Si vuole altresì che attualmente, colla scorta dei processi informativi, si vada compilando la vita di quel celebre impostore e giramondo, da pubblicarsi colle debite licenze„.
Il 7 d’aprile venne finalmente pronunziata la sentenza, e il dì 9 il Bottini ne informava la Repubblica Lucchese con queste parole: «In sequela della risoluzione presa giovedi da Sua Santità, previa la consulta dei prelati e religiosi del S. Offizio, sul voluminoso processo del celebre Cagliostro, detenuto in Castel S. Angelo, e del Cappuccino, ristretto nelle carceri di Ara Coeli, ultimato in tutte le sue parti, mediante ancora le difese, rimane condannato il suddetto Cagliostro all’ultimo supplizio come reo di più delitti e in specie di capo settario dei Liberi Muratori e degli Illuminati, con aver fatto uso di superstizioni e sortilegi, non solo a disprezzo della Santa Religione, ma a danno ancora della società, truffando somme considerevoli e strascinando al mal fare persone di ogni sesso, età e condizione; dovendosi a tale effetto consegnare il suddetto inquisito al braccio secolare, previa la solenne sua abiura, e la pubblica combustione, da eseguirsi, sulla Piazza della Minerva, dal carnefice, di varii ben ridicoli attrezzi, insegne, distintivi, ecc. delle sètte da lui professate, che, qual corpo di delitto, esistono presso il Fisco. Usando però la Santità Sua dell’ecclesiastica moderazione e della sua ingenita pietà, si è degnata di commutare la divisata pena nel carcere perpetuo nella Fortezza di S. Leo, sotto stretta custodia, e di far ricever privatamente l’abiura. Il Cappuccino è stato condannato a soli dieci anni di prigionia».
In un dispaccio de’ 16 d’aprile soggiungeva: «Gira copia, che ho l’onore di compiegare, dei voti che formano la condanna di Cagliostro e del Cappuccino. Sta sotto il torchio un ristretto delle respettive delinquenze e delle pene, e finora e la sentenza non rimase eseguita che nelle sole private abiure». La «copia dei voti» più non si trova nella filza contenente il carteggio del Bottini, ma non è gran danno, essendo noto che, nella Consulta della S. Inquisizione, dieci «volevano si supplicasse il santo Padre a commutare la sentenza di morte in prigionìa perpetua, colla condizione di fare l’abiura formale, per essere assolto dalla censura e ricevere salutari penitenze»; tre «aggiunsero che l’abiura fosse pubblica nella chiesa della Minerva»; uno soltanto opinò che «fosse di nuovo esaminato, e, rispondendo da cattolico, non venisse condannato a più di tre anni di carcere; passati i quali, data mallevadoria, possa avere Roma per carcere perpetua». Riguardo al P. Giuseppe da San Maurizio, ossia al Cappuccino, «nove voti furono, che essendo reo confesso di essersi ascritto in Roma alla Loggia de’ Liberi Muratori, di aver tentato lo stesso con la setta Egiziaca, di essersi mostrato fautore della medesima con parole e scritti, e di aver commesse altre colpe, sia incorso in tutte le censure e pene decretate». Ma, peraltro, «atteso la confessione da lui fatta, prima che gli fossero palesate le prove del Fisco, ed i segni di ravvedimento, dati costantemente per più mesi,» convennero di supplicare il Pontefice a commutargli la carcere a vita in dieci anni di reclusione in qualche convento, «con sospensione perpetua dalla celebrazione della Messa e da qualunque voce attiva e passiva nell’Ordine». In quanto poi alla moglie di Cagliostro «tutti convennero debbasi rimandare libera, come spontaneamente comparsa; fatta però l’abiura pubblica, per ricevere l’assoluzione dalle censure».
In piazza della Minerva, «alla presenza di un affollatissimo popolo» (son parole del Bottini) «fu eseguita dal carnefice la indicata combustione dei libri ed instrumenti appartenenti a Cagliostro». Tra i libri (per testimonianza della sentenza) «ve ne fu uno manoscritto, intitolato: Maçonnerie Egyptienne, contenente riti, proposizione, dottrina e sistema, che spiana una larga strada alla sedizione ed è distruttivo della religion cristiana, superstizioso, blasfemo, empio ed ereticale».
Il 23 aprile il Bottini scriveva: «Lunedì notte, scortato dai soldati, fu condotto alla Fortezza di S. Leo Giuseppe Balsamo, denominato il Conte Cagliostro; e dalla Stamperia Camerale sortì ieri il Compendio della sua vita e gesta, estratto dal processo, che, servendo di scorta per conoscere la setta dei Liberi Muratori, non lascia più luogo a dubitare della sua impostura, furfanteria e miscredenza. Il libro, in 8.°, di 216 pagine, si vende sciolto tre paoli, ed è opera di Monsig. Barbèri, Fiscale Generale, che ha diretta la compilazione dello stesso processo 1.
L’ultima volta che si fa cenno del Balsamo nel carteggio del Bottini è il 10 marzo 1792, in cui dice: «Il celebre Cagliostro, nell'ozio della sua carcere, avendo estratto da un tavolato un vecchio e rugginoso chiodo, ha saputo renderlo a tal pulimento, taglio e punta, senza aiuto d’istrumenti, che sembra uno stiletto di fino acciaio. Questo ferro è presso l'Em.mo Segretario di Stato, che ha dato ordine d’invigilare maggiormente sulla di lui custodia».
Dopo una prigionia di quattro anni, quattro mesi e cinque giorni finì miseramente la vita il 26 agosto del 1795. La sua morte trovasi descritta in una lettera del cav. Luigi Angiolini, Ministro residente del Granduca di Toscana presso la Corte di Roma, de’ 4 di settembre di quell’anno. «Alla fine» (cosi scrive) «quel Cagliostro, che, per aver fatto credere a molti che viveva ai tempi di Giulio Cesare, ebbe una celebrità e un partito, è morto nella Fortezza di S. Leo nello scaduto 26, per apoplessia. Non dovendo perciò esser sepolto in luogo sacro, quel provvido Castellano Semproni, credendo forse che il ciarlatanismo ne imponga dopo morte come in vita, l’ha fatto seppellire in un legnaio, dove gli erano sempre rubate le legna, all’oggetto che i ladri possano, in avvenire, avere spavento d’uomo così temuto, nell’approssimarvisi».
Don Luigi Marini, che era arciprete della città di S. Leo appunto nel 1795, afferma invece (e c’è da credergli) che venne interrato sulla sommità del monte, sul quale sorge il castello, dal lato che guarda occidente, «aequa fere distantia inter duo monumenta habendis exuviis destinata, vulgo nuncupata il Palazzetto ed il Casino», dove, secondo la tradizione vivente, si lasciavano marcire le carogne2. Se il famoso avventuriere fosse stato padrone della scelta, avrebbe senza dubbio preferito il legnaio!
Del resto, sembra che il Castellano di S. Leo in quel tempo non fosse il Semproni, come dice l’Angiolini, ma piuttosto un Gandini. Debbo questa notizia alla squisita cortesia del sig. G. De Luca, che il 10 aprile del 1883, parlandomi di Cagliostro, tra l’altre cose, mi scriveva: «Il figlio del Gandini viveva ancora dieci anni fa e si compiaceva di raccontare alcuni aneddoti sul prigioniero, raccolti dalla bocca del padre. Ricordo di avere inteso da lui che Cagliostro fu una volta punito severamente per aver dipinto sul muro della sua cella, con colori occultamente preparati, un quadro rappresentante la chiesa di S, Pietro in Vaticano portata via da una turba di diavoli. Un’altra volta riusci a travestirsi con gli abiti di un cappuccino, che gli avevan messo d’intorno perchè ne tentasse la conversione; e procurò, così travestito, di guadagnar l’estrema porta del castello, quando, quasi prossimo ad evadere, fu riconosciuto da uno dei suoi custodi e ricondotto nella cella, dove si dibatteva ancora il povero frate, imbavagliato e seminudo».
Il comm. Alessandro Ademollo nell’interessante suo scritto: Cagliostro e i Liberi Muratori, dopo aver riportato il brano del Diario del Cracas con cui se ne annunzia la morte, conclude: «Così sparì dal mondo un uomo, che aveva fatto parlare di sè per tanto tempo tutta l’Europa. La morte di lui passò quasi inosservata: il mondo politico e la Massoneria non se ne fecero nè in qua, nè in là. Avevano in quel torno da pensare a ben altro». Ed è vero, ma soltanto per allora. Di lì a pochi anni anche alla memoria di Cagliostro non mancò l’apoteosi. Eccone la curiosa descrizione che me ne fa il sig. G. De Luca nella sua lettera: «Quando le truppe del Primo Console presero per fame il castello di S. Leo, dopo due anni di assedio, non privo di gloria per le armi italiane, molti officiali francesi, affigliati alla Massoneria, disseppellirono gli avanzi del Conte di Cagliostro e li onorarono con riti massonici. Un vecchio di novant’anni si ricordava, dieci anni or sono, di quei tempi e di quegli avvenimenti, e, fra l’altro, d’un’agape fraterna, durante la quale gli ufficiali massoni bevvero, dopo varie cerimonie, uno dopo l’altro, nel teschio del famoso maestro».
Massa, 4 febbraio 1891.
Note
- ↑ Compendio | della vita e delle gesta | di | Giuseppe Balsamo | denominato | il | Conte Cagliostro | che si è estratto dal Processo contro | di lui formato in Roma l’anno 1790, | e che può servire di scorta per conoscere l’indole della Setta | de’ | Liberi Muratori. | In Roma MDCCXCI. | Nella Stamperia della Rev. Camera Apost. In 8.° di pp. 200 (non 216, come afferma il Bottini), coi ritratti di Cagliostro e della moglie.
- ↑ Silvagni D. La Corte e la società romana nei secoli XVIII e XIX; I, 320.