La famiglia dell'antiquario/Lettera di dedica
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A SUA ECCELLENZA
IL SIGNOR CONTE
FEDERIGO BORROMEO
CONTE D’AVONA
Grande di Spagna di prima classe, Cavaliere dell’insigne
Ordine dell’Aquila Bianca di S. M. il Re di Polonia ecc.1
Io sono fra questi ultimi: innamorato della Virtù, a guisa di colui che non potendo aspirare all’acquisto di una bellezza, si contenta di vagheggiarla dalla finestra. Fra quelli che mi hanno incoraggiato a seguitare la mia carriera sulle scene d’Italia, conto a mia gloria l’Eccellenza Vostra, e ciò vuol dire ch’io posso lusingarmi di non essere uomo inutile affatto, poichè Voi siete quanto dotto, altrettanto sincero, e vi sta a cuore il nome italiano e l’onore di questa Nazione2, che ad altra certamente non cede.
La Virtù si venera da per tutto egualmente; e i Letterati d’ogni Paese formano una Repubblica fra di loro, e sono, per ragion di sì bella madre, concittadini e fratelli. La distanza del luogo, la varietà del clima, la diversità del linguaggio non fa che sia diverso il cuore e lo spirito delle persone, e gli uomini dotti sparsi per le città, per le Provincie, per le nazioni varie del mondo, si trattano fra di loro come gli abitanti di un sol paese in varie case distribuiti.
Quindi è che mal pensa chi le altrui Nazioni disprezza, la propria sola estimando; ma egualmente s’inganna chi gli Esteri esalta e i proprj Nazionali disprezza. Si possono lodare gl’ingegni felici dell’Inghilterra, senza far torto a quelli di Francia; e possiamo noi medesimi agli uni e agli altri dar lode, senza avere in dispregio i nostri buoni Italiani. Misera Italia! I tuoi Nemici sono i tuoi medesimi Figliuoli, li quali per un certo spirito di novità amano tutto ciò che suol venire di lontano; e danno quel vanto alle opere degli stranieri, che forse nel loro Paese conseguir non potevano.
V. E. che parla ed intende le varie lingue d’Europa, e i buoni libri sa conoscere e giudicare, non ha mai creduto che gl’Italiani avessero a cedere ad altri il luogo nelle Arti e nelle Scienze; ma che al Paese nostro, ferace di sottilissimi ingegni, e coraggiosi, e franchi, altro non manchi che l’eccitamento, l’emulazione ed il premio.
Ecco ciò che fa risplendere l’Accademia di Londra e quella di Parigi. Per altro abbiamo3 ingegni tali sparsi qua e là per l’Italia, che se uniti fossero in una società sola, vedrebbonsi uscire memorie, operazioni, scoperte, che attirerebbonsi l’applauso e l’ammirazione del Mondo, e si tradurrebbono i nostri volumi, come ora si traducono quelli degli Esteri nel nostro idioma.
Dove manca per dir vero la nostra Italia, è nel Teatro Comico, poichè la Francia, l’Inghilterra e la Spagna lo superano di gran lunga. S’io avessi lo spirito di Moliere4, farei nel Paese nostro quello ch’egli ha fatto nel suo. Ma troppo debole io sono per reggere a tanto peso; e può bene Vostra Eccellenza incoraggirmi e tutta impiegare la sua eloquenza, per farmi sperare che dalle mie fatiche la cara mia Nazione qualche ristoro in questa parte ricever possa, poichè oltre il conoscer me stesso, che poco vaglio, convien riflettere che l’Italia non è il Paese che abbia una sola Metropoli5 ed un popolo solo. Per piacere in Francia, basta piacere a Parigi: per alere gli applausi dell’Inghilterra, basta ottenerli da Londra;6 e da quelle Dominanti soltanto veggiamo uscire le opere rinomate.7
Trovandomi favorito dall’E. V. parecchie volte in città ed in villa, trovai nei Vostri ragionamenti occasione d’apprendere ed ammirare; e ho preso animo certamente da Vostri preludj a lusingarmi di qualche cosa di più dell’esito delle opere mie.
Esse in oggi sono ancor deboli e bisognose d’aiuto. Le vo appoggiando alla protezione de’ benignissimi Padroni miei; e questa all’Eccellenza Vostra umilmente io raccomando. Fortunata Commedia, a cui tocca un Protettore magnanimo, dotto ed illustre! Nell’Italia e fuori di essa ancora è conosciuta talmente la Vostra Casa, che sarebbe il discorrerne far torto agli uomini illuminati, li quali fra le memorie delle famiglie più illustri trovate avranno più d’una fiata le glorie, gli splendori, le imprese degli antichissimi Borromei, ai quali basterebbe nei secoli trasandati il nome del gloriosissimo Porporato, che si venera su gli altari. Nei presenti giorni8 non è minor fregio di sì gran sangue la vostra persona9, piena di virtù e di moderazione, e fornita del più bel cuore del mondo.
Il vostro bel cuore appunto è quello che mi anima a presentarvi questa povera Commedia mia ed a supplicarvi proteggere l’Autore10 di essa, il quale a Voi pieno di ossequio e di venerazione s’inchina.
Umiliss., Devotiss., Obbligatiss., Serv. |
Ferrara, li 4 Maggio 175211.
Note
- ↑ Questa lettera di dedica fu stampata la prima volta nel t. III (1752) dell’ed. Bettinelli di Venezia.
- ↑ Bett. e Paper. ecc.; di questa nostra nazione.
- ↑ Bett., Pap. ecc.: abbiamo noi.
- ↑ Bett. e Pap. aggiungono: siccome ho il di lui genio.
- ↑ Bett. e Pap. aggiungono: un sol genio.
- ↑ Bett. e Pap. aggiungono: così almeno fra noi risuona e da quelle ecc.
- ↑ Segue nelle edd. Bett. e Pap.: In Italia non è così: sovente quello che piace ad un Paese, non piace all’altro, e per una prova di ciò, addurrò sol quest’esempio. Il Cavaliere e la Dama, e la Pamela sono fra le Commedie mie certamente le men cattive: Milano, Venezia, Bologna, Mantova, Verona le han giudicate tali, eppure a Turino non piacquero, e piacque poscia colà ciò che in altri luoghi e spiaciuto. - Trovandomi ecc.
- ↑ Così Bett. e Pap.: il nome del Gloriosissimo Santo, e nei presenti giorni ecc.
- ↑ Bett. e Pap. aggiungono: medesima.
- ↑ Bett. e Pap.: l’infelice Autore.
- ↑ Questa data si legge soltanto nell’ed. Bettinelli.