La famiglia dell'antiquario/L'autore a chi legge
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L’AUTORE
A CHI LEGGE.1
Osservate però che dopo il primo e secondo anno non ho lasciato le Maschere in libertà, ma dove ho creduto doverle introdurre, le ho legate a parte studiata, mentre ho veduto per esperienza, che il personaggio talora pensa più a se medesimo che alla Commedia; e pur che gli riesca di far ridere, non esamina se quanto dice convenga al suo carattere e alle sue circostanze; e sovente, senza avvedersene, imbroglia la Scena e precipita la Commedia.
Io sono costantissimo a non voler dir nulla sopra le mie Commedie2; e molto meno a volerle difendere dalle critiche, che hanno con ragione o senza ragione sofferte. Ho letto il libro ultimamente uscito alla luce, e con una risata ho terminato di leggerlo. Può bene parlar degli altri chi non la perdona a se stesso, ed io sono molto contento di trovarmi colà in un fascio con Plauto, con Terenzio, con Aristofane e con cent’altri ch’io non ho letto, siccome letti non li averà nè tampoco quel medesimo che li ha citati3.
Circa il titolo della Commedia, io l’ho intitolata in due maniere, cioè: La Famiglia dell’Antiquario, o sia La Suocera e la Nuora, lo stesso trovandosi in quasi tutte le Commedie di Molier e in altre d’antichi Autori. I due titoli mi pare che convengano perfettamente. La Suocera e la Nuora sono le due persone che formano l’azione principale della Commedia; e l’Antiquario, capo di casa, per ragione del suo fanatismo per le antichità, non badando agl’interessi della famiglia, non accorgendosi de’ disordini, e non prendendosi cura di correggere a tempo la moglie e la nuora, dà adito alle loro pazzie e alle loro dissensioni perpetue, onde e nell’una e nell’altra maniera la Commedia può essere intitolata.
Aggiungerò soltanto aver io rilevato che alcuni giudicano la presente Commedia terminar male, perchè non seguendo alcuna pacificazione fra Suocera e Nuora, manca, secondo loro, il fine della morale istruttiva che dovrebbe essere, nel caso nostro, d’insegnar agli uomini a pacificare queste due persone, per ordinario nemiche. Ma io rispondo, che quanto facile mi sarebbe stato il renderle sulla scena pacificate, altrettanto sarebbe impossibile dare ad intendere agli Uditori che fosse per essere la loro pacificazione durevole; e desiderando io di preferire la verità disaggradevole ad una deliziosa immaginazione, ho voluto dar un esempio della costanza femminile nell’odio. Ciò però non sarà senza profitto di chi si trovasse nel caso. I capi di famiglia si specchieranno nell’Antiquario, e trovandosi disattenti alle case loro, se non per ragione della galleria, per qualche altra, o di conversazione, o di giuoco, potranno rimediare per tempo alle discordie domestiche, alle pretensioni delle donne, e soprattutto ai rapporti maligni della servitù.
- ↑ Precedono nell’ed. Paperini di Firenze (t. IV, 1753) le seguenti parole: Questa Commedia, che tiene il luogo di XVII nel Quarto Tomo della presente Edizione, era la X nel Tomo Terzo della edizione di Venezia, e siccome io era in Ferrara, allora quando la ridussi in istato di potersi dare alle stampe, l’accompagnai all’Editore con una Lettera, che fu poi da esso stampata in fronte della Commedia medesima, e di cui darò qui un estratto di quella parte che può essere più interessante. - In essa (Commedia) non ho fatto altro ecc.»
- ↑ Segue qui una nota nell’ed. Paperini: «Quantunque avessi così proposto nella prima Edizione, per liberarmi dalla maggiore fatica, osserverà il Lettore che in questa mia Fiorentina qualche cosa ho fatto di più, ed in alcuna prefazione mi sono esteso. Qui aggiungerò soltanto aver io rilevato ecc. ecc. ai rapporti maligni della servitù»: vedi l’ultimo capoverso nella pagina che segue.
- ↑ Segue qui un’altra nota nell’ed. Pap.; «Il Libro uscito alla luce nell’anno 1749 e un secondo Tomo di Lettere scritte da un Amico mio, il quale mi ha strapazzato, ma lo ha fatto per amicizia. - Un Libro simile, uscito pare alla luce, dopo mille proteste di parzialità e d’amore, non può credersi certamente a malizia fatto, senza far torto al carattere dell’Autore. Egli lo ha scritto con perfetta innocenza, e me lo assicurò con una sua Lettera ch’io conservo, e che stamperò, occorrendo, per confusion dei maligni e per giustificazione della di lui onestà. - Mi è dispiaciuto assaissimo che il mondo abbia per tre anni creduto che io l’odiassi, per tutto quello ch’egli diceva ed operava contro di me. - Compativo anzi la costituzione in cui si trovavo, e mi sono consolato allor che seppi ch’egli desiderava di meglio conoscermi e di stringer meco amicizia. - Ora siamo due buoni amici, a dispetto di chi non lo crede, e non è vero ch’egli sia collegato co’ miei Avversari, perchè mi ha giurato sul carattere sagro, che non lo sarebbe stato giammai, e tutto ciò che di lui mi viene scritto non posso credere». Il Goldoni allude manifestamente all’abate Pietro Chiari e al tomo terzo, non già secondo, delle Lettere scelte, che uscì nell’anno 1732. L’errore del nostro commediografo non apparisce involontario.