La facciata del nostro Duomo/Relazione

Relazione

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Prefazione

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RELAZIONE







NN
ell’accingersi a studiare la composizione architettonica della facciata della Cattedrale di Milano non basta inspirarsi ad un concetto esclusivamente artistico, basato sugli elementi dello stile quali si vedono nel resto del Monumento, e sui motivi caratteristici che si presentano nei numerosi edificj consimili; la composizione deve al tempo stesso affidarsi ad un concetto pratico, nel quale sia dato campo, nell’opportuna misura, alle considerazioni di possibilità, o probabilità della effettuazione del progetto, sia dal punto di vista delle ragioni economiche, che dal punto di vista della disposizione topografica e delle condizioni della viabilità quali sono imposte, dalle attuali condizioni della città, nelle vicinanze della Cattedrale.

Come risulterà dalla conclusione di questa Relazione, tutte queste varie ed in apparenza disparate considerazioni, venendo [p. 10 modifica]a costituire dei caposaldi sicuri nello studio del problema, convergono spontaneamente alla medesima soluzione, o possono attribuire a questa, valore e autorità, per qualsiasi punto di vista la si voglia considerare.

Nella facciata attuale del nostro Duomo, oltre allo accoppiamento degli stili, e all’ibridismo di forme che si palesa all’occhio del profano, notiamo dei difetti di disposizione noi contrafforti, o piloni. Infatti, per malintesa regolarità e ricerca di simmetria, vediamo i piloni angolari ridotti trigemini, e i due di mezzo raddoppiati, con riprovevole risultato, sia dal lato estetico, che dal lato organico, i due contrafforti o piloni più prossimi all’asse della facciata non corrispondendo a nessuna parte dell’organismo interno, cosicchè riescono completamento superflui e vengono solo a restringere e a immiserire la parte centrale della facciata.

Levate anzitutto le discordanze e le scorrezioni di stile, quanto a dire tolta tutta la decorazione attuale della facciata, eliminate le accennate suddivisioni e parti inutili, l’architetto si troverà dinanzi, come campo sul quale esercitare la mente, una facciata rinfiancata agli angoli da due piloni eguali per larghezza, a quelli degli angoli dei bracci di croce, e suddivisa in cinque parti da quattro piloni, eguali fra loro; delle quali cinque parti la mediana risulta, in larghezza, doppia delle altre, misurate da asse ad asse dei piloni stessi. Il contorno superiore di questa ossatura di facciata segue naturalmente i varii piani ascendenti della copertura.

Tale schema si presenta anzitutto col grave difetto di proporzioni piuttosto depresse, e ciò per la ragguardevole larghezza della fronte del Tempio. A correggere, o modificare tale proporzione, due soluzioni si presentano, avvalorate entrambe da esempi. Approfittare di parte della facciata per adattarvi le torri o campanili: oppure dare maggior rialzo a tutta, o parte della facciata con elementi puramente decorativi. Questo secondo partito, se ha potuto trovare talvolta, in facciate di secondaria importanza, una accettabile applicazione, non può soddisfare in questione capitale come la presente, perchè verrebbe ad introdurre nell’organismo della facciata parti non richieste nè giustificate. Il partito delle torri laterali si presenta con maggiore validità di argomenti; è il partito che noi vediamo adottato e quasi consacrato, in quella lunga serie di Cattedrali Gotiche, nella quale molto [p. 11 modifica]facilmente si vorrebbe inscrivere anche il nostro Duomo; partito che si trova in tutte quelle Cattedrali che in Francia, dal 1180 al 1240, sorsero ad attestare la riguadagnata preponderanza del clero sulle associazioni monastiche, la vittoria del Comune sulla feodalità. Grande è quindi, per chi si accinge al lavoro, l’autorità, l’influenza, diremo meglio l’attrattiva di tali esempii: e i progetti di facciata pel nostro Duomo che si presentano alla memoria nostra, a partire da quello del Buzzi venendo e quelli dei nostri dì, tutti, o quasi, presentano più o meno felici applicazioni di tale motivo capitale delle stile gotico religioso.

Soddisfa questa soluzione, sia dal lato estetico, che dal lato organico del nostro tempio?

Dal lato organico, se, dopo aver esaminate le piante delle varie Cattedrali oltramontane, si getta lo sguardo sulla icnografia del nostro Duomo, non v’è chi non rimanga colpito dalla grande semplicità di questa in confronto a quelle; non perimetro frastagliato dal vario contorno di cappelle sporgenti, nè da particolari disposizioni di contrafforti, non varietà e combinazione di sostegni: nel nostro Duomo troviamo un perimetro semplice, costituito da un muro di costante spessore, rinfiancato da contrafforti in corrispondenza d’ogni pilone che si addossa all’interno del muro stesso; ecco, in breve, tutti gli elementi che compongono la pianta la quale, per questa sua semplicità, che raramente si riscontra eguale in edificii religiosi d’importanza anche secondaria, presenta fra le parti di sostegno e l’area coperta un rapporto così basso, che non è raggiunto da altre consimili costruzioni1.

Ora, se a questa semplicità e nettezza di linee immaginiamo applicate le piante delle due torri, collo sviluppo necessariamente considerevole dei muri, si vedrà tosto alterata quella omogeneità di massa che si riscontra in tutta la icnografia del Duomo, quella omogeneità che in ogni disposizione icnografica è una testimonianza, o una garanzia, dell’armonia e dell’equilibrio di tutte le parti dell’edificio.

Si aggiunga che, se le torri si comprendono nella larghezza della Cattedrale, necessariamente la loro massa viene a guastare e rompere quella unità di ambiente che è uno dei precipui pregi [p. 12 modifica]del nostro Duomo; se le torri si tengono in sporgenza della facciata, o in tutta la loro larghezza come ideava il Buzzi, o in parte come progettava il Seregni, il loro effetto sarà indubbiamente di allargare ancor più la fronte ed accrescere quindi, anziché scemare, il difetto già lamentato delle proporzioni depresse della facciata.

Ciò dal lato organico; se passiamo a considerazioni estetiche le torri a nostro avviso non soddisfano maggiormente. Il partito delle torri, una volta abbracciato, domanda di essere applicato e svolto completamente; ne risulta che bisogna assegnare alle torri una altezza non molto dissimile a quella della aguglia maggiore del Duomo; necessità sentita da quanti hanno progettato pel nostro Duomo una facciata a torri. Ora è abbastanza noto che nel tipo della Cattedrale a torri non abbiamo mai sull'incontro della navata maggiore colla trasversa, una costruzione così sviluppata come quella che vediamo nel nostro Duomo formare una particolarità, una caratteristica. Nelle cattedrali francesi abbiamo 1a fléche che, per le sue proporzioni e per la stessa sua materia, non accenna a gareggiare colle torri2; e come in quelle cattedrali gotiche le torri accennano principalmente, da lontano la facciata, così nel nostro Duomo l’aguglia principale accenna, o meglio attira lo sguardo ad un’altra parte, ancor più importante, della chiesa; la simultaneità dei due partiti, quale risulterebbe dall'adozione delle torri, non farebbe che apportare, nella linea generale del Duomo, una certa confusione, essendochè quelle tre elevazioni, pressoché eguali, vedute da svariatissimi punti, non aiuterebbero a leggere chiaramente e prontamente l'orientazione, la disposizione e l’organismo del tempio come ora avviene con effetto eminentemente artistico, particolarmente quando, veduta da lontano, la cattedrale giganteggia sulla linea dei tetti. Il tiburio e l'aguglia maggiore avrebbero potuto avere maggior sviluppo di massa, e quindi maggiore imponenza; non l‘ebbero per considerazioni ed esitanze costruttive, ma ciò non toglie che questa deficienza di massa nel tiburio non sia per essere ancor più sentita quando si venga a mettere l'aguglia centrale in concorrenza colle masse considerevoli delle torri (a). [p. 13 modifica]Se da una parte il partito delle torri ci sembra sconsigliato dalle anzidette considerazioni estetiche e di organismo, dall’altra parte troviamo nuovi argomenti, che ci portano alla stessa conclusione, nelle indagini delle memorie del nostro Duomo. È noto come pochissimi sieno i documenti grafici che, riguardo alle disposizioni primitive della Cattedrale, ci pervennero. Ed appunto per tale deficienza, alcuni dati di valore secondario acquistano per noi una speciale importanza.

Che nel concetto primitivo, originale, del Duomo non vi fossero le torri, risulterebbe da un dipinto su tavola di Stefano da Pandino, dove il Duca Gian Galeazzo è rappresentato in atto di fare l'omaggio del modello della Cattedrale. Questo modello ci si presenta dalle parte dell'abside e mostra un tiburio e una aguglia corrispondenti approssimativamente, per massa, alla costruzione attuale: nessuna indicazione di campanile o torri. Ora si noti che il dipinto fu eseguito nel 1412 [Stephanus de Pandino me fecit 1412] da un artista famigliare alla costruzione del Duomo per avervi dipinto le vetrate e che disegnando il modello completo del tempio in un epoca in cui la costruzione era ancora alla copertura della vôlte, ha dovuto necessariamente attinger notizie, o trar partito dai disegni originali che a quell' epoca (meno di 30 anni dopo il principio dei lavori) dovevano esistere e che per conseguenza, molto presumibilmente, non accennavano a torri o campanile.

Un‘altra testimonianza l'abbiamo dalla icnografia del Duomo che si trova nel Vitruvio pubblicato dal Cesariano nel 1521; icnografia che deve essere stata riprodotta da vecchi disegni originali, inquantochè vi troviamo, oltre a qualche piccola particolarità costruttiva, anche quelle tre campate verso la fronte che furono aggiunte molto tempo dopo la pubblicazione dell’opera del Cesariano.

In quella icnografia la facciata si presenta senza torri3; si veggono tre porte, concetto primitivo che venne compromesso all’epoca del Pellegrini quando, come osserva il Mongeri nell'Arte in Milano «di nulla fu tenuto conto, nemmeno del numero delle porte [p. 14 modifica]coll’aprirvene cinque, invece delle tre convenute dal principio del secolo XVI». Non troviamo trigemini i piloni angolari, nè binati i piloni di mezzo; e l’organismo semplice e chiaro della facciata si collega intimamente, per il rapporto delle masse, al resto della pianta. Ci troviamo quindi dinnanzi a un documento che conferma i nostri appunti, si accorda colle nostro conclusioni; e quanto più ne ragioniamo la disposizione e gli elementi, tanto più veniamo nella persuasione che lo studio della facciata del Duomo deve ritrarre non lieve vantaggio dal prendere per base, diremo anzi per programma, questa disposizione icnografica, l’autorità della quale non venne infirmata, sin qui, da nessuna seria obbiezione (b).



Fissato così il punto di partenza, prima e precipua cura che si presenta a chi si accinge allo studio della decorazione architettonica della facciata, si è di correggere le già accennate proporzioni depresse; il che si può, a nostro avviso, raggiungere col distribuire l’effetto decorativo della facciata di maniera che la sua composizione si raccolga in particolar modo sulla parte mediana, e precisamente sulle tre navate di mezzo, riservando alle navate estreme l’ufficio, non propriamente di appendice, ma di collegamento della facciata col fianco. Quindi per queste due parti della facciata, ridotto il contrafforte angolare, ora trigemino, ad un solo o massiccio contrafforte, compartito e decorato come quelli delle testate dei bracci di croce, basterà risvoltare orizzontalmente la cimasa a trafori superiore che ricorre sul fianco stesso, e risvoltare le robuste profilature del basamento, racchiudendo tra questo e quella, una finestra eguale, per dimensioni, a quelle laterali. Nella decorazione di queste finestre, invece delle statue portate da mensole, le quali accennano già alla prevalenza, all’abuso della statuaria sulla linea architettonica, converrà adottare, di preferenza, una decorazione più semplice e caratteristica; quale è quella dei filaterii a spirale e a lembo fiorito disposti nell’insenamento a guscio, come si nota in alcune finestre delle testate dei [p. 15 modifica]bracci; fra il pilone d'angolo e il successivo si ripeterà, arricchendone la decorazione, l'arco di spinta, quale si vede in corrispondenza d’ogni campata, per modo che nella facciata risulti evidente anche questo elemento organico e caratteristico allo stile generale, come vi appare nelle testate dei bracci, tuttochè nascosto, o velato, dai trafori della cimasa in pendenza. A chi obbiettasse che, posti così sulla fronte, quegli archi di spinta non adempiono alla funzione di contrastare una spinta d‘archi o vôlte, perchè impostati a parti piene della facciata, si farà rilevare l‘altro ufficio loro riservato, di canali conduttori delle acque piovane che si raccolgono sui pendii superiori. Così in queste due parti della facciata si potrà risvoltare integralmente e in tutto il suo carattere, la decorazione del fianco, e la loro importanza secondaria rispetto al nucleo della facciata, si potrà meglio accentuare col limitare alla parte mediana la gradinata che mette alle porte.

Venendo ora alla parte principale della facciata, corrispondente alle tre navate mediane, vi troviamo come motivo capitale quello delle tre porte (c).

Questo motivo decorativo non è di facile soluzione; anzi si direbbe che fin dai primi tempi della costruzione abbia dato a pensare agli architetti, vedendo dalle memorie come la decorazione esterna delle porte che si aprivano, un tempo, ai braccicroce, sia rimasta fin dal XV secolo ineseguita; vedendo d‘altra parte nella Raccolta Bianconi un vecchio disegno della testata di un braccio di croce, studiato in ogni piccola parte e mancante appunto della decorazione della porta, mentre un altro disegno ci presenta lo studio di questa decorazione, non improntato però all'intimo carattere del Duomo, perchè si perde nelle minute sagomature di un periodo già avanzato a decadenza del gotico prettamente nordico (d).

Avvertita la difficoltà del problema e notando come, col motivo decorativo delle porte, rimane inevitabilmente interrotta la linea del robusto basamento che compie il giro di tutto l’edificio, si fa sentire anzitutto il bisogno, o per lo meno la opportunità di trovare altre linee, pure orizzontali, le quali costituiscano un motivo di base a questa parte della facciata; conservate lungo i contrafforti le ricorrenze del basamento generale, arricchendole anzi, converrà quindi ricercare altre ricorrenze orizzontali al di sopra delle porte, le quali servano a collegare questo intimamente fra loro. [p. 16 modifica]

In tale ricerca si potrà, in una giusta misura, trar partito dalle porticine delle sacrestie, studiando al tempo stesso la decorazione di altre porte della stessa epoca, nelle quali troviamo, non di rado, il motivo caratteristico di quella incorniciatura abbracciante la parte arcuata della porta, la quale viene appunto, nel nostro caso, acconcia a fornire le linee orrizzontali cercate; si avvertirà poi di compiere lo studio delle porte con ogni cura, fin nei minuti particolari, senza introdurre nessun elemento che sia troppo gotico, cioè discordante dal carattere particolare del Duomo, come può accadere a chi, non tenendo calcolo di questo particolar carattere, si ispira, oppure trae largamente partito dai numerosi esempii di porte gotiche d'edifici religiosi. Per la porta di mezzo, dove si richiede un maggiore sviluppo di proporzioni e di decorazione, ricorrendo agli stessi criterii delle porte minori, si potrà raggiungere lo scopo innalzando sulla porta un frontone, o cuspide, a trafori; motivo del quale, per verità, non si trova una applicazione di qualche importanza nel nostro Duomo. Ne troviamo però un embrione, un accenno qua e là, come ad esempio negli scomparti della intelaiatura del finestrone absidale che sappiamo opera di quel Filippino da Modena il quale per lungo tempo diresse i lavori del Duomo nella prima meta del XV secolo (e).

Prima di lasciare le porte richiameremo un partito decorativo caratteristico, complementare, che viene acconcio, non solo a dare maggiore unità e carattere a questa parte inferiore della facciata, ma ad aggiungere altresì quella ricchezza che si richiede per rendere solenne l'ingresso del Tempio.

Questo partito, che ripetiamo è complementare, si è quello degli ornati d'oro applicati alle sagome e ai fondi del bianco marmo: partito assai in uso un tempo, e ancora nel XIV secolo come si rileva nel Monumento a Bernabò Visconti, per tacere d'altri numerosi esempî, e nel Duomo stesso. Osserveremo poi che nell‘applicazione ideata, tale partito, oltre che si trova opportunamente limitato al campo delle tre porte, offre l‘opportunità di svolgere una serie di ornamentazioni geometriche caratteristiche, che costituiscono un nuovo e non meno potente legame in tutta la decorazione del motivo importantissimo delle porte.

Passando alla parte che sovrasta alle porte, nei tre campi che si innalzano chiusi fra i piloni, si avranno tre finestre; le laterali risultano necessariamente eguali, per dimensione e partito [p. 17 modifica]decorativo, a quelle delle navate estreme; quella mediana invece, aprendosi in un campo vasto ancor più delle pareti absidali, dovrà raggiungere dimensioni ben più ragguardevoli, e quindi per proporzioni, per partito della intelaiatura, si accosterà ai finestroni del coro, motivando così sulla facciata un richiamo, un legame colla parte così caratteristica del nostro Tempio, quale è l’abside (f). Veniamo infine alla parte più alta della facciata, la quale, volendosi, come già si disse, evitare ogni sopraelevamento puramente decorativo, manterrà approssimativamente le proporzioni della attuale (g); il contorno superiore, seguendo le pendenze del tetto, si disegnerà sul cielo con quella cimasa traforata, che è partito generale a tutti i profili superiori del Duomo: e così nella massa si verrà a riprodurre l’organismo quale si nota nelle testate dei bracci di croce. Qui pero, sulla fronte, abbisogna una maggior ricchezza decorativa la quale, non solo bilanci la ricchezza della parte bassa della facciata, ma contraddistingua al tempo stesso la speciale importanza che deve avere la fronte del Tempio; ricchezza decorativa, che senza uscire dagli elementi del Duomo, si può ottenere col motivo, pure dominante nella nostra cattedrale, della statua portata da mensola e sormontata da baldacchino: volendo dar varietà alle linee superiori di pendenza della facciata, converrà adottare, per lo spazio corrispondente alle due navate mediane una disposizione orizzontale che inquadri la parte superiore delle finestre, a quel modo che la parte inferiore resta inquadrata dalle porte; questa serie di statue portate da mensole ed allineate orizzontalmente, costituiscono un motivo che arieggia quello della «Galerie des Rois», uno degli elementi caratteristici della fronte nelle Cattedrali francesi; nella parte centrale invece, le due serie di statue seguiranno la pendenza del contorno superiore e potranno così convergere ad un motivo centrale, indispensabile ad accentuare la parte più elevata, il posto d’onore della facciata; e perchè assecondino meglio la inclinazione del loro allineamento e formino un assieme col motivo centrale, che potrà svilupparsi sotto la forma di edicola colla statua della Vergine, quelle statue potranno rappresentare una schiera d’angeli ginocchioni rivolti verso la Vergine stessa in atto di preghiera; e con questo motivo superiore rimane compiuta, assieme al grande finestrone e alla porta maggiore, la decorazione della parte centrale della facciata.

Si potrà così tracciare la decorazione della fronte del nostro [p. 18 modifica]Duomo, rispettando l’organismo interno e mantenendo tutte le ricorrenze esterne, inspirando il concetto a motivi che nel Duomo già si trovano, o sono dedotti da edificj di consimile carattere. Giunti a tale risultato, guidati da ragionamenti svolti, o su criterio artistico, o sui documenti, ci sarà permesso di far rilevare come, a conferma delle idee generali espresse al principio di questa memoria, un progetto di facciata condotto in tali termini, di fronte ad altri partiti aventi le torri o campanili, ha il vantaggio di non scostarsi dalle considerazioni economiche, inquantochè si limita a studiare una decorazione da adattarsi all’organismo quale si trova, senza introdurre in tale organismo nuovi e non secondarii elementi; mentre mantenendo uno sviluppo di pianta quasi identico all‘attuale, sfugge a qualsiasi obbiezione possa sorgere dal lato della viabilità (h). Queste considerazioni riguardanti il lato economico e le condizioni della viabilità attorno alla Cattedrale, non vanno completamente trascurate, per quanto le probabilità di una riforma dell’attuale facciata, siano molto problematiche quando si considerino le condizioni non solo finanziarie, ma sociali ed estetiche dei tempi presenti.

Evitando il partito, vagheggiato da molti per criterio grettamente economico, di una riforma molto limitata nella attuale facciata, evitando d’altra parte il partito di una riforma troppo considerevole nella facciata e ligia ciecamente ad esempii, numerosi, ma non intieramente in relazione col carattere del nostro Duomo, il progetto quel quale sì si uniformi ai criterii da noi svolti, potrà rispondere al programma pratico e razionale di: «Una facciata della Cattedrale di Milano in rapporto coll’organismo e colle tradizioni del Tempio, inspirata ai suoi elementi decorativi e in accordo alla esigenze che l’economia e la viabilità imporrebbero indiscutibilmente nella circostanza di una probabile effettuazione».

30 giugno 1883.



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NOTE


(a) Il critico della Perseveranza, parlando del tiburio, osserva come nelle Cattedrali gotiche la massa edilizia vuol essere portata per intero sulla fronte, a detrimento della elevazione sul nodo di croce, in contraddizione colla forma tipica delle costruzioni italiane, così del lombardo come del rinascimento; questa dichiarazione tende quindi ad accreditare, o per lo meno a riconoscere il particolare carattere della elevazione sul nodo di croce nel caso del nostro Duomo: partito originalissimo, rispetto allo stile del monumento, vagheggiato fin dai primi tempi della costruzione, poichè già vi si annetteva grande importanza all’epoca del Mignoto, e cioè all’alba del quattrocento, allorchè i maestri italiani, come osserva il Boito, s’incalorivano nel difendere i sostegni del futuro tiburio, con le sue quattro torri, il quale tiburio sarà, come Domeneddio in paradiso, sedente in trono in mezzo ai quattro evangelisti; partito che per tutto quel secolo fu oggetto di grande interesse, cosicchè vediamo che mentre se ne studiava la costruzione, Gian Galeazzo Maria Sforza ne era preoccupato al punto da invocare l’aiuto di un ingegnere di Strasburgo, dicendo che il tiburio sarà cosa stupendissima, unde saria eterno vilipendio se dopo fornito ce occorresse alcuno manchamento. E intanto non si discorreva delle torri le quali come osserva ancora il Boito, rimasero nel cervello del diavolo. Dato questa importanza particolare del tiburio, non comprendiamo come il critico della Perseveranza possa rimanere partigiano ostinato dello torri, mentre egli stesso deve riconoscere quanto questo principio cardinale delle costruzioni acute d’oltr’Alpe trovasi compromesso nel nostro Duomo coll’innalzamento della [p. 20 modifica]cupola alla fine del secolo XV, e peggio coll’aggiunto dell’aguglia superiore, recatavi a metà circa dell’ultimo passato secolo.

A proposito di questa dichiarazione poi osserveremo, non già per brama di passare per eruditi tra gli eruditi, ma per approfondire la verità, come il partito delle due torri sulla fronte non si possa precisamente chiamare principio cardinale delle costruzioni acute d’oltr’Alpe, poichè non è altro che la riduzione, la storpiatura del vero principio cardinale, il quale voleva innalzate quattro torri agli angoli dei bracci di croce; dalla massa delle quali torri risultavano poi giustificate le torri di fronte come motivi complementari; principio cardinale che non ebbe completo sviluppo per le vicende svariatissime che interruppero sempre i lavori di tali edificii, ma che vediamo ancor oggidì, dall’esame delle disposizioni planimetriche, risultare come una caratteristica delle chiese normande, e troviamo indicato nelle cattedrali di Reims e di Chartres, per tacere d’altri esempii, meno noti, ma non meno autorevoli, per aver servito di modello nel successivo sviluppo dello stile gotico, in Germania particolarmente.

(b) Che i disegni del Duomo di Milano i quali si trovano, tanto incidentalmente, nel Vitruvio del Cesariano, siano ricavati da vecchi disegni e documenti, anteriori al secolo XVI, lo si potrebbe affermare con molte prove, delle quali citeremo questa, che dalla pianta a pag. XIV recto e dalle Sezioni a pag. XV recto e verso, appare chiaramente espresso il concetto di un tiburio a pianta quadrata: mentre già dal 1490 era stato adottato il modello dell’Omodeo e del Dolcebuono, a pianta ottagonale: del quale tiburio ottagonale, già inoltrato all’epoca della pubblicazione del Vitruvio si aggiunse, a guisa di variante, la rappresentazione di fianco al disegno del tiburio a piante quadrata che ci risulta quindi concetto anteriore.

(c) La riduzione del numero delle porte, da cinque a tre, conseguenza del concetto direttivo adottato per la facciata del progetto N. 9, non incontrò il favore, nè della Commissione giudicatrice, nè del critico della Perseveranza; questi vi riscontra una libertà poco consentita dalla icnografia a cinque navi del tempio, benchè non ne manchino esempii in contrario. Noi, che nell’adottare quella riduzione non abbiamo, per verità, sentito il bisogno di esser giustificati dalla autorità di più o meno numerosi esempii, richiameremo a questo proposito come il critico che quasi ci rimprovera quella riduzione, sia il medesimo che nell’Arte in Milano, colle parole da noi riportate a pag. 13, riconobbe invece la priorità del partito delle tre porte su quello di cinque porte.

(d) A proposito di questa ornamentazione per le porte delle testate delle braccia traverse, e per mostrare ancor più come questa [p. 21 modifica]suscitasse imbarazzi, richiameremo come i Deputati alla Fabbrica nel 1503 ordinassero disegni all’Omodeo, al Dolcebuono, al Solari, al Fusina, e come nel 1504 ordinassero di cercare qualche esperto architetto nelle parti di Alemagna, o altrove, affinchè faccia progetti, non badando a spese e fatica.

(e) Nel rapporto della Commissione, in merito al progetto N. 9, si dice: ... le porte appaiono di ampiezza insufficiente, forse dall’essere architravate. Le quali parole accennerebbero ad un disparere circa la forma architravata delle porte: su questo riguardo, senza voler menomamente infirmare l’autorità della Commissione, noi conserviamo la ferma convinzione di aver scelto ed applicato in vera forma tradizionale; tradizionale appunto perchè logica ed estetica al tempo stesso. Le porte negli edificii religiosi di stile gotico, qualunque ne sia il carattere, sono sempre architravate: i rarissimi esempii che fanno eccezione, tendono, coll’aver fissa la parte superiore della chiusura in legno, o vetro, ad accostarsi, assimilarsi al partito della porta architravata: il che prova appunto come tale forma sia diventata tradizionale, consacrata, in conseguenza di un concetto logico, inerente alla questione pratica della chiusura delle porte; al quale risultato certamente concorse anche la ragione estetica che volle trovar modo di evitare il cattivo effetto, quale immancabilmente risulta dalle imposte a sesto acuto aperte. Riguardo alla insufficienza di dimensioni nelle porte del progetto N. 9, questa non può che essere apparente: basterà osservare come le dimensioni adottate di metri 3.60 par le minori e di metri 6 per la maggiore sieno sensibilmente superiori a quelle delle porte attuali.

(f) Il Mongeri sarebbe d’avviso che nella parte centrale della facciata del nostro Duomo si aprisse una finestra circolare: questo è quanto risulta dalla sua critica, là dove, a proposito di un concorrente, si dice: Lui pure obliò, come gli altri, una delle caratteristiche di codeste fronti, la grande finestra circolare, quale la posseggono Amiens, Parigi, Reims, Strasburgo, ecc. Questo concetto, che per noi riesce veramente anormale, peregrino, può balzare solamente alla limitata fantasia di chi, dinnanzi all’organismo particolare, originalissimo del nostro Duomo, non riesce a sfuggire all’influenza delle facciate gotiche francesi, e non sapendo leggere in queste l’immenso divario di organismo, di struttura o di carattere, non esita a vagheggiare un legame fra la facciata del nostro Duomo e quella di Nôtre-Dame!

(g) Due critici del concorso s’accordarono nel credere che nel progetto N. 9 sia stata rialzata la parte centrale della facciata, mentre [p. 22 modifica]dalla nostre relazione risulta come siasi voluto evitare qualsiasi rialzo decorativo nella fronte: questo accordo d'impressione non farebbe che attestare come il partito adottato per togliere alla facciata le proporzioni depresse, abbia pienamente raggiunto lo scopo, sostituendo alla disaggradevole impressione di quelle proporzioni depresse, l'impressione di un elemento e slancio frontale, raggiunto senza bisogno di un rialzo effettivo nella facciata attuale.

(h) Riguardo al significato e all'importanza che noi annettiamo alla considerazione economica nella presente questione, ci è necessaria una breve spiegazione, dacchè nella relazione della Commissione giudicatrice troviamo la frase: il N. 9 si ascrive al tipo di facciata a riforma economica, quindi senza torre. Risulterebbe da tali parole, che l'aver studiato un partito senza torri sia stato, da parte nostra, la diretta conseguenza di una preoccupazione economica, quasi che ci fossimo imposto un limite di spesa, mentre il programma di concorso non faceva restrizione alcuna economica. Rimane invece dimostrato da quanto abbiam detto fin qui, come la questione sia stata trattata puramente con considerazioni estetiche e autorità di documenti; il che non toglie però, che una volta raggiunta la soluzione, non si possa rilevare il vantaggio economico che nel progetto adottato risulta a confronto di altre soluzioni più complesse, e non si possa tener calcolo di tale vantaggio dinnanzi alla probabilità di una attuazione del progetto.


  1. Un ottavo è il rapporto che si verifica in Notre-Dame, mentre nel Duomo il rapporto tocca un decimo.
  2. La cattedrale di Bayeux presenterebbe una eccezione; ma poiché non presenta unità nè di concezione, nè di stile, così non può considerarsi come un tipo.
  3. Una nota di fianco alla icnografia dice anzi: «tintinnabulorum turrium loca ad huc indistincta fundatio &.» Il che ci mette in chiaro come la questione dei campanili non fosse menomamente definita all'epoca che si lavorava al tiburio.