La donna di maneggio/Nota storica

Nota storica

../Atto III IncludiIntestazione 20 luglio 2020 100% Da definire

Atto III
[p. 269 modifica]

NOTA STORICA

Nell’Introduzione alle recite del 1760 (v.: Nota al Curioso accidente) Catterina Bresciani annuncia la Donna di maneggio, terza tra le commedie della nuova stagione, con questo breve commento:

Da me, su cui s’appoggia, molto sperar non deggio,
Ma pur tanti caratteri e tanti fatti ha uniti,
Che gli uditori io spero contenti e divertiti.

Nei ricordi senili dell’autore tale previsione si avvera. La commedia piace più del Curioso accidente (Memorie, P. II, cap. XXX) e se ne anticipa l’esecuzione di ben cinque anni. Ma la citata Introduzione ci da la data vera e l’Autore a chi legge afferma, che più recisamente non potrebbe, l’insuccesso: La commedia non ha incontrato. Goldoni smentisce Goldoni.

Questa volta egli non trovò l’argomento girando avvolto nel suo tabarro rosso per calli e campielli. Di che Carlo Gozzi aveva gran torto di ridere. Cogliere la vita nell’immediata realtà era il modo di concepire che meglio rispondeva al suo ingegno. La Donna di maneggio invece è pensata a mente fredda, a tavolino, col palese intento di comporre un lavoro serio nella figura della protagonista; e questa aveva ad essere una donna in tutto perfetta. Ma se corretto il contegno suo con l’intollerabile marito, non si scorge virtù alcuna in quell’impacciarsi di affari non suoi, nell’accozzar nozze tra coppie che si uniscono o per puntiglio, o per interesse o per deferenza a lei, oppure nel raccomandar poeti, del cui merito nulla si sa. Vide il Goldoni virtù dove era solo pedanteria. Stette serio quando il sorriso dell’arte sua doveva sfruttare in questa figura il contenuto comico che la pervade. Donna Giulia non vive. Vivono un po’ le figure femminili secondarie, puntigliose, pettegole e, al solito, senza un briciolo di cuore, ma somigliano cento altre del teatro goldoniano. Alcunchè di nuovo vorrebbe offrire il personaggio di Don Properzio che, avaro sordido e marito diffidente, non si perita di rievocare a tutto suo danno grandi ombre molieresche. Fa la scimmia a Sganarelle quando s’imagina d’esser tradito dalla moglie ed entra in disperata gara con Harpagon caricando l’unico suo domestico delle più varie mansioni (cfr. Toldo, L’oeuvre de Molière et sa fortune en Italie, Turin, 1910, pp. 377, 390; Schmidbauer, Das Komische bei G., Mùnchen, 1906, p. 41).

«Se io non ne dico bene, nessuno forse ne vorrà dire». Questa pessimistica previsione dell’autore chiude la breve Premessa. Ma ci fu pure chi vide con lui in Donna Giulia «il tipo d’una donna modello, piena d’amore, di carità e di zelo» (Petrocchi, C. G. e la Commedia, Milano, 1893, p. 133); la donna «che sa con fine tatto ed ammirabile fermezza correggere un marito squilibrato», quasi «un’apologia delle virtù femminili» (Anita Pagliari. La donna nella vita e nella comm. di C. G., Vita femminile italiana, Roma, 1907, p. 403). Altri con indulgente critica compresero questa «tra le commedie che offrono qualche buon dettaglio d’osservazione, di costumi e di [p. 270 modifica]carattere, se anche povere di comicità e di scarso interesse nella situazione» (Royer, Hist. univ, d. Théâtre, IV, Paris. 1870, p. 292). Ma i più non conobbero pietà. «Le donne colte e spiritose gli vengono male, - osserva il Jacobs - hanno tutte una forte tinta di pedanteria e di ridicola preziosità». Giulia «non è che una faccendiera che ficca il suo naso dappertutto e già per questo è intollerabile» (Charaktere der Vomehmsten Dichter ecc., Leipzig, 1793, vol. Il, p. 72). «È abbastanza noto - avverte C. H. Schmid - che la D. d. m., l’Avvocato veneziano e la Figlia obbediente sono tra le più noiose commedie del Goldoni» (Das Parterre, Erfurt, 1771, p. 134). Ai suoi connazionali fa eco il Mathar: «L’esagerato interesse della Donna di maneggio per faccende che in verità non la toccano molto, la facilità con cui si mercanteggiano affetti, la mutevolezza dei caratteri fanno di questa commedia uno de’ prodotti più fiacchi dello scrittore veneziano» (C. G. auf dem deutschen Theater des XVIII Jahrh., Montjoie, 1910, p. 200). Non satira, ma solo una lezione di morale, scorge in questo lavoro il Rabany, e non gli pare esatta la traduzione francese del titolo nelle Memorie. Une femme de tête, invece che, une femme d’importance rendeva meglio, a creder suo, il concetto dell’autore (op. cit., p. 368). Nella sua traduzione francese del titolo il Toldo ne fece senza più una Femme intrigante (op. cit., p. 377). Ma lo stesso titolo originale, perchè poco chiaro, risponde male al concetto dell’autore. Volle precisare meglio la Compagnia del Duca di Modena e chiamo il lavoro La faccendiera, titolo che se definisce la protagonista qual è, certo non ne accarezza la vanità.

Anche Alfredo Corbellini deplora che il Goldoni rappresentasse «femmine sdottoreggianti e sputasentenze» come la Donna di garbo e la Donna di maneggio senza intenzione di satira, ma «con seria approvazione» e «industriandosi di comunicarci la sua ammirazione» (Il Collegio delle Marionette, Archivio storico lombardo, Milano, 1911, p. 54). E il Momigliano: «I tipi seri per lo più non gli riescono», particolarmente nei «tentativi di rappresentar la donna che è la salvezza d’una casa o d’una persona: è una donna che parla e opera e non sente, ma predica, predica molto e rileva continuamente colle massime quel che fa, e quindi, senz’accorgersene, si loda uggiosamente: tale e, per es., la donna di maneggio» (I limiti dell’arte goldoniana, Miscellanea Renier, 1913, p. 88). Ma pur le buone cose che la commedia vorrebbe insegnare, nota Pietro Schedoni, son tutt’altro che buone. Gli pare che Giulia faccia tutto il contrario di ciò che s’attende da una moglie saggia, da una brava padrona di casa, da una donna che s’impaccia di matrimoni (Principi morali, Modena, 1828, p. 56). Ernesto Masi definisce la protagonista «una presidentessa di comitati di beneficenza dei giorni nostri» (Sulla storia del teatro italiano nel secolo XVIII. Firenze, 1891, p. 270) e Adolfo Albertazzi, in caccia di casi patologici nel teatro del Nostro, non iscorge in tutto il suo contegno che «una fissazione» (Patologia Goldoniana, Flegrea, 1899, 20 maggio, p. 130).

Benchè poco avventurata ne’ suoi primi passi, questa commedia, raccolta tutta intorno alla figura principale, allettò l’ambizione di qualche attrice e tenne così abbastanza a lungo il palcoscenico. In quale rifacimento la recitassero nel carnovale del 1783 gli animosi collegiali di S. Carlo a Modena non sappiamo (Gandini, Cronistoria ecc., Modena, 1873, voi. II, p. 213). Nella prima metà [p. 271 modifica]dell’Ottocento era nel repertorio di compagnie di grido quali la Reale Sarda (Costetti, op. cit., p. 14) e quella del Duca di Modena. Intorno a una rappresentazione di quest’ultima l’anno 1829 al Teatro Re di Milano si legge nella rivista I Teatri: «Sebbene questa commedia sia una di quelle che l’Autore, il quale la intitolò la Donna di maneggio, dà a divedere nelle sue prefazioni di stimar moltissimo, ebbe per altro un mediocre successo al suo primo comparire, e mediocre parimenti fu il suo esito ogni qualvolta venne rappresentata. Sembra che il difetto principale stia nel poco interesse dell’azione, quantunque il componimento non manchi nè di caratteri nè di comiche situazioni... Questo personaggio [la protagonista] è piaciuto moltissimo, sostenuto dalla maestria della sig. Luigia Bon ed è ben immaginato e condotto. Don Properzio, ch’è il marito, riescì gradito del pari, tranne in qualche bassezza che non è più della nostra società e che si risente del tempo in cui scriveva l’autore. Alberti, padre, vestì questo carattere per eccellenza. Don Alessandro è il personaggio caricatissimo che non si usa più nelle commedie del giorno, e modellato, sembra, sul personaggio nominato Vanesio che trovasi in quasi tutte le commedie del Fagiuoli; destò per altro più volte il riso ed il buon umore, e così l’autore e l’attore Adamo Alberto ottennero il loro intento. La commedia fu ascoltata con piacere ed applaudita in parecchie situazioni, ed al calare della tenda: prova che gli attori adoperarono tutto il loro ingegno per rendere gradito un componimento, il quale per sua natura non ha il vantaggio del maggior successo » (1829, 2 dicembre).

La Donna di maneggio fu tradotta in portoghese: A mulher de prendas (Catalogo dos manuscriplos da Bibliotheca publica Eborense, Lisboa, 1868, vol. III, p. 139), e dal Saal in tedesco: Die Frau von vielen Geschäften (vol. VIII, 1771). Prima del Saal, già nel 1764, l’avrebbe tradotta, secondo G. Schaz, il viennese Laudes (cfr. Des Herrn C. G. Beobachlungen in Italien und Frankreich, Leipzig, 1789, vol. III, p. 387), ma nè tra le sue versioni a stampa la commedia si trova, nè si nesce a scoprirla fra i titoli d’altre sue, disperse. Del resto poichè il vol. VIII del Pasquali, dove apparve la prima volta l’originale, venne a luce senza dubbio appena dopo quell’anno la scarsa attendibilità della notizia è evidente.

L’intento moraleggiante della commedia consigliò, pare, al Fraporta, al Montucci, a L. Nardini, a R. Zotti e ad un anonimo d’accoglierla nelle loro Scelte. Delle tre ultime, citate per la prima volta in queste Note, diamo il titolo:

Teatro italiano ossia Commedie e tragedie degli autori più celebri, raccolte da Leonardo Nardini. Londra, Dulau, 1800. La D. d. m. e nel vol. II (cfr. Catal. generale della Raccolta drammatica italiana di L. Rasi, Firenze, 1902, p. 397).

Teatro italiano o sia Scelta di commedie e tragedie di buoni autori raccolte da Romualdo Zotti - Londra, Zotti, 1822, vol. I (Collez. di E. M.)

Raccolta di commedie scelte dell’avvocato C. Goldoni, Livorno, Vignozzi, 1819 (T. VII).

Se e quale dama sia stata modello a Donna Giulia è difficile accertare. Imbroglia la questione più che mai il solito caos cronologico, nel quale questa volta si perdono Memorie e Lettera di dedica. Nega il Goldoni che fosse la [p. 272 modifica]stessa dedicataria [Maria Anna Du Boccage, n. a Rouen nel 1710, m. a Parigi nel 1802) perchè per un errore di memoria già avvertito ritiene il lavoro composto prima del suo incontro con la poetessa (31 maggio del 1757 in casa di Filippo Farsetti]. Con tutto ciò le parole della dedica dove alla protagonista si regalano le mille virtù della scrittrice francese non sono, a parer nostro, più che un ingegnoso complimento. Si sa quante volte il Goldoni si compiacque di costruire ideali legami tra i personaggi delle sue commedie e i dedicatari. Ma sia «la stimabile signora» che egli scrivendo la commedia aveva avuto sempre presente (Memorie, vol. II, cap. XXX) la Du Boccage o, come vuole il Malamani (Nuovi appunti, Venezia, 1887 pp. 175), «una dama veneziana», nessuna poteva davvero sentirsi gran che lusingata di ritrovarsi in questa ch’è una delle donne più fredde e men simpatiche del teatro goldoniano.

Non le opere poetiche, ma i ricordi dei suoi viaggi e le relazioni con celebri letterati assicurano oggi ancora a Mad. Du Boccage qualche pallida fama. Per tutto ciò che riguarda la Du B. e l’Italia cfr. D’Ancona, Viaggiatori e avventurieri, Firenze, 1911, pp. 389-406; Aldo Ravà, Intorno a Mad. D. B. e a’ suoi viaggi. Marzocco, 11 febbraio 1912; Calcaterra, Mad. D. B. e Francesco Algarotti, Riv. d’Italia, 15 giugno 1913). Ecco l’accenno al suo primo incontro col Goldoni contenuto in una lettera del 1 giugno 1757 da Venezia alla sorella: «Vous avez connu à Paris Joseph Farceli [sic, Tommaso Giuseppe Farsetti] noble Vénitien, homme de lettres. Son cousin du même nom, du même goùt, nous donna hier à diner avec Goldoni, célebre Auteur comique et la Comtesse Gozzi [Luisa Bergalli, moglie di Gasparo], qui a mis Térence en langue vulgaire, et s’est donné la peine de traduire et d’imprimer ma tragédie des Amazones en vers Italiens» (dalle Note di G. Mazzoni alle Memorie. Vol. II, p. 384). Le Amazzoni, unica opera teatrale della poetessa, avrebbero ispirato, afferma il Nostro, la sua Dalmatina (Mem., P. II, cap. XXXIV), di che si dirà a suo luogo. A Parigi il Goldoni frequentò, ben s’intende, il suo salotto, dove non era raro incontrare connazionali. «Il n’y a pas d’étranger qui, soutenu pai ses qualités on par ses talens, ne s’empresse en arrivant à Paris de lui faire sa cour» avvertono le Memorie (P. III, e. XXIII). Nelle quali la Du Boccage, morta appena nel 1802, poté leggere, certo non senza compiacimento, i propri elogi. Essa figura anche nella lista de’ sottoscrittori.

Nel viaggio alla volta di Parigi il Goldoni aveva avuto in consegna dall’Algarotti a Bologna un Calpurnio, che Giuseppe Farsetti inviava alla poetessa francese. A ciò sono parecchi accenni nel carteggio tra l’autore del Newtonianismo per le donne e la Du Boccage. Ma interesse maggiore offre qualche giudizio di lei sulla fortuna che il commediografo poteva incontrare a Parigi e sulle sue prime impressioni colà. «Goldoni ne nous a encore rien donné - scrive la Du B. il 30 febbraio 1763 - et plairoit difficilement ici, ou peu de gens entendent aisement l’italien, et en connoissent bien les moeurs, et Goldoni n’aura pas le temps ni les moyens de voir les nòtres de façon à nous faire rire de nos ridicules ressemblants: quand il aura débuté je vous en dirai davantage». E in calce alla stessa lettera: «...il n’est pas vrai que Goldoni n’ait pas débutè; il donna hier l’Amour paternel, qui reussit à moitiè: peu de gens ici peuvent juger du stile». La lettera del 24 marzo parla della prima [p. 273 modifica]visita del Goldoni alla scrittrice: «...Je l’ai prie a diner: nous avons parlò de vous, monsieur, de vôtre santé, de vos talens et de siens peu propres pour Paris, qu’ il aime a la folie; jusqu’ au tapage des rues même lui plait; hors l'Opera et la cherté des vivres, tout l’y ravit; il me paroit méme content de la manière dont ce qu’ il a donné a éte reçu. On est à la verité bien prevenu en sa faveur; mais si peu d’auditeurs l’entendent que leur suffrage doit peu le flatter» (Opere del co. Algarotti, Venezia, 1794, Tomo XVII, pp. 123, 127).

E. M.


La Donna di maneggio fu stampata la prima volta l’anno 1765 a Venezia, nel t. VIII dell’ed. Pasquali e uscì l’anno stesso a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino), poi più tardi a Torino (Guiberl e Orgeas VIII, 1773), a Venezia più volte (Savioli e Pilleri XII, 1774; Zatta, cl. I, VI, 1789; Garbo VI, 1795), a Lucca (Bonsignori XII. 1789). a Livorno (Masi XIII, 1790) e forse altrove nel Settecento. — La presente ristampa seguì fedelmente le edizioni Pasquali e Zatta. Valgono le solite avvertenze.

[p. - modifica]