La cieca di Sorrento/Parte terza/I
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I.
sorrento
... le piagge di Campagna amene, |
Allor che le torbide cure di una vita affaccendata, o la più incresciosa monotonia di sempre uguali e ripetuti sollazzi, o il pungolo di un dolore cagionato dalla perdita di cara persona, o il bisogno di allontanarsi da quell’incessante rumore, che, secondo la felice espressione d’uno scrittor francese, dir si può la respirazione della capitale; allor che qualcuna di queste cagioni vi muove a cercare fuori di Napoli un sollievo, anche momentaneo, agli angosciosi pensieri che vi assalgono, ricordatevi che in su quella penisola incantata, che si piega qual braccio sinistro sulle onde limpidissime del mare (imperocchè le piagge di Posilipo ne formano il destro braccio), su quella penisola ove sorgono gli spettri di antiche città, giace un paese, sospiro di lontane genti, delizia dei suoi abitatori, ricetto di tenerissimo ricordanze, gloria del suolo partenopeo. Questo paese si addimanda Sorrento.
E quando vi avrò detto questo nome, non avrò mestieri di aggiungere altro per farvi comprendere come subitamente le amarezze del vostro cuore, o la stanchezza di fastidiosa vita andran dileguate da quella brezza di paradiso che Iddio si è compiaciuto di soffiar su quella terra di eterna primavera.
Dal momento che montate in carrozza per portarvi da Castellammare a Sorrento, comincia a spiegarsi a’ vostri occhi quella lanterna magica di naturali maraviglie, che si chiama il Piano, e che per lo spazio di circa dodici miglia non lascerà un istante di sorprendervi con le sue centomila bellezze. Si direbbe che la natura voglia prendersi lo spasso di mostrarvi l’una dopo l’altra, con incessante varietà, le sue scene teatrali. E sì che vi ha de’ momenti in cui avete bisogno di richiamare tutta la vostra coscienza per non credere che siete sotto l’impero di un sogno incantevole, ovvero per non istimar dipinte quelle scene di tanta bellezza. Voi percorrete un cammino che quasi nacondesi sotto i piedi di bizzarri monti, estremo ramo degli Appennini Campani, e che segna, lungo il mare, tante curve, quanti sono i capricci di quelle alpestri rupi che cadono a piombo sul mare.
Ad ogni svoltata è uno spettacolo nuovo; talvolta scorgi profonde vallate piene di ombre e di misteri; talora e un intrecciarsi di festoni e di ghirlande di pampini, ricca mercede dell’industre agricoltore; talora sono antichi bagni pensili che disegnano le loro nicchie nelle azzurrine onde; talora vedi gruppi di case messe a scaglioni tra l’eterna verzura degli uliveti e degli aranci, che, leggiermente incurvandosi tra i bassi e ridenti poggi, discendono per vezzo fin sull’orlo del mare; talora vedi gli avanzi di romani ruderi che ricordano la grandezza del più gran popolo del mondo, e più lungi, l’umil capanna del villico; talora scorgi intere città e villaggi come Vico, Meta, Massaquana, Ticciano, sparsi sul declinar de’ colli o nell’altissimo vertice di una montagna; di botto ti si mostra nudo, orribile di selvaggia grandezza, il precipizio di Scutolo, che spinge dal lido alle nubi la gigantesca sua cervice; e talvolta finalmente ogni magnifica scena sparisce, e non ti lascia esposti alla vista che una montagna sul capo e un immenso mare sotto i piedi.
E quando per due ore continue i tuoi occhi sarannosi divagati su tante vicissitudini di quadri, ti avrà paruto durare un istante il cammino.
L’entrata di Sorrento è un presepe; l’anima si apre dolcemente e si affa alla semplicità di quelle campagne. Dumas ha detto: Sorrento è un bosco di aranci, ed al vero si è apposto, perocchè quest’albero è il re di quelle verdeggianti colline; le sue frutte dir si possono con ragione le vere poma degli Orti Esperidi, e i suoi fiori spandono in ogni stagione e su tutto il paese il balsamo de’ loro effluvi inebbrianti e voluttuosi.
Cinto da colli eternamente frondosi, il suolo di Sorrento raccoglie nel suo grembo ogni leggiadria di fiori è di ogni varietà di frutte; imperocchè la terra solertemente vien coltivata dai suoi virtuosi e diligenti abitatori.
E che diremo del lido di Sorrento? Di quelle acque, che rassembrar potrebbero ad una tavolozza di pittore su cui siasi versato un vaserello di azzurro, se la diafana lor limpidezza non ne tradisse la fluidità, rivelandone il fondo arenoso? Che diremo di quelle tante variopinte barchette, schifi e gondole di ogni forma, sulle quali vanno a diporto i figli del Tamigi, della Senna o del Danubio? Che di quella calma celeste sparsa su tutto quel sen di mare, e che si apprende all’anima e le rivela le vere gioie della vita nella solitudine di quel sublime ritiro?
Sorrento è la patria di Torquato Tasso — A questa ricordanza ti senti inchinato, a baciar la polve di quella terra non sì tosto vi poni il piede... Qui vide la luce quel genio tanto sventurato, che, in parlando delle sue sventure, diceva in una mesta canzone:
«Sei sa la gloriosa alma Sirena
«Appresso il cui sepolcro ebbi la cuna!
«Così avuto vi avessi o tomba o ossa!
E niun vestigio rimane oggidì della casa ove ebbe nascimento l’illustre cantor di Goffredo! Si son profanate quelle venerande reliquie, e di quel sito, che rimaner doveva incolume alla venerazione de’ posteri, hanno fatto... un albergo!! E.i brindisi dell’orgia, le canzoni dell’ebbrezza risuonano tra quelle mura, dove Torquato rivelava le malinconiche armonie dei suoi versi! Il lusso spiega le sue fragili pompe la dove il genio spiegava i suoi tesori imperituri! Le carte vellutate di Francia ricovrono oggidì le pareti di quella stanza che avrebbesi dovuto rimanere intatta nella semplicità delle sue dipinture! Il viaggiatore, che da remotissime terre si parte per tributare un saluto ed un sospiro alle mura in cui passò i primi annidi sua vita l’immortale Sorrentino, giungerà a Sorrento, e, dopo avere attraversato Un’infinità di angusti viottoli, vien menato in faccia d’un cortile, sull’alto del quale sta scritto: Albergo del Tasso! E quel nome, che è una delle più belle glorie italiane, serve per insegua ad una ricchissima bettola. E se il viaggiatore dimanda di veder le stanza del Tasso, gli si mostra un elegante gabinetto addobbato all’ultima moda!!
Ma pure, se dalla grandiosa terrazza di quella casa ti poni a rimirare quel bacino che raccoglie, dall’isola di Tiberio, piegandosi per 36 miglia fino all’estrema punta di Miseno, quanto di più caro seppe inventare l’immaginazione del Tasso, non potrai non dire a te medesimo esser quello l’unico sito nel mondo, ove l’anima di Torquato attinger potea le sue sublimi ispirazioni.
O Sorrento, vetusta figlia di Venere tu più non additi ora al commosso viaggiatore che l’annosa quercia, sotto la cui ombra veniva a sedersi il giovinetto poeta nella mesta ora del tramonto. Or, sotto quella quercia s’intrecciano nella domenica le liete danze delle gioconde forosette al suono de’ liuti e delle nacchere, e si abbandonano alla spensierata allegria ispirata dalla giovine età e da quel cielo, che abbellisce e colora finanche la sventura.
«Aitisi tout change, ainsi tout passe:
«Ainsi nous mêmes nous passons,
«Hélas! sans laisser plus de trace
«Que colte barque, où nous glissons
«Sur cette mer où tout s’efface1.