La capanna dello zio Tom/Capo XLII
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CAPO XLII.
Storia autentica d’un fantasma.
Per qualche buona ragione, le leggende di fantasmi giravano, più del solito, tra i famigli di Legrée.
Si asseriva sommessamente che nel silenzio della notte, si era udito un leggiero calpestìo giù dalla scala del granaio e per la camera. Invano erano state chiuse a chiave le porte dell’entrata superiore; il fantasma avea, certo, una doppia chiave in saccoccia, o si prevaleva del privilegio che hanno da tempo immemorabile tutti li spiriti, di passare dal pertugio del chiavistello, e di aggirarsi per le camere con una libertà che incutea paura.
Quanto alla sua forma esteriore, correano sentenze diverse; e ciò proveniva dall’uso che hanno non solo i negri, ma anche i bianchi, di chiuder gli occhi, coprirsi il capo col lenzuolo, col mantello, ogni qualvolta si trovano in circostanze consimili. Tutti sanno che quando li occhi materiali sono chiusi per cotal modo, gli occhi della mente acquistano una chiarezza, una acutezza più che ordinaria; e per conseguenza molte sono e diverse le descrizioni dei fantasmi, tutte vere, accertate, sebbene differiscano essenzialmente tra loro. Concordavano tuttavia in asserire che, secondo l’usanza antichissima degli spiriti, questo fantasma si avvolgeva in un bianco lenzuolo. Questi poveri schiavi non erano versati nella storia antica; altrimenti avrebbero saputo che Shakspeare ne determinò la foggia del vestire, laddove dice:
I morti in bianco lino
Ivan gemendo per le vie di Roma.
E quindi la concordanza dell’opinione di Shakspeare con quella di questi poveri negri è un fatto singolare di pneumatologia, che raccomandiamo all’attenzione dei dotti.
Giorgio Shelby trova Tom morente. Capo XLI.
Checchè ne sia, abbiamo particolari motivi per credere che una figura gigantesca, avvolta in un bianco lenzuolo, passeggiava, nel più alto silenzio della notte, negli appartamenti di Legrée; passava per li usci, scomparìa tratto tratto, e ricomparendo, salìa taciturna la scala a chiocciola che mettea nel fatale granaio; e al domattina, si trovavano le porte chiuse a chiave e perfettamente incatenacciate.
Legrée non potea a meno di sentirne a parlare dintorno, tuttochè se ne bisbigliasse sommessamente; anzi la cura stessa che poneano li schiavi perchè egli nulla sapesse, accrescea la paura che ne provava. Si diede a bere più del solito; a tener più alta la testa, a bestemmiare con maggior violenza che per lo innanzi; ma aveva tristi sogni, e le visioni del suo cervello, mentre dormiva, erano tutt’altro che dilettevoli. Nella notte che procedette alla morte di Tom, si portò in una città vicina, e si abbandonò affatto all’ubbriachezza. Tornò a casa affaticato e a notte innoltrala; chiuse la porta, ne tolse la chiave e andò a letto.
Il malvagio può soffocare, quanto vuole, i rimorsi; ma la coscienza è per lui un’ospite inquieta e formidabile. Chi può comprendere i dubbii, le paure che lo assediano? que’ forse, quei brividi repentini, que’ tremori che egli non può vincere, come non può annichilire la propria eternità? Stolto colui che chiude l’uscio per impedirne l’ingresso agli spiriti, ed uno ne porta in se stesso, che egli non osa affrontare da solo — spirito, la cui voce non può essere soffocata, ma risuona come la squilla del giudizio finale.
Ma Legrée chiuse la porta, e vi appuntò contro una sedia; accese una lampada alla testa del letto, ed ivi collocò le sue pistole. Esaminò le imposte, i ferri delle finestre, e disse bestemmiando: — «Ora non mi do pensiero nè di diavolo, nè di angeli» — e andò a dormire.
Si addormentò, perchè era stanco — si addormentò profondamente. Ma sopravvenne, in quel suo riposo, un’ombra, un orrore, un’apprensione, un non so che di pauroso che stava sospeso sopra il suo capo. Credette fosse il lenzuolo di sua madre; ma era Cassy, che lo tenea in mano, che lo scuoteva dinanzi a lui. Gli giunse all’orecchio un suono confuso di grida e di lamenti; e intanto, s’accorgea di dormire, e tentava di svegliarsi. Finalmente svegliossi un poco; ebbe per fermo che qualcuno stava per entrare nella camera; che la porta si aprìa lentamente, ma non avea forza di muovere nè una mano, nè un piede. Finalmente guardò bene; la porta era aperta ed una mano spegnea il lume.
Al raggio di luna, velato, incerto, vide qualche cosa di bianco che dileguava! Sentì il leggiero fruscìo della veste del fantasma; e questo fantasma gli stava immobile accanto al letto: una mano ghiacciale lo toccò; una voce profonda gli mormorò tre volte, in suono spaventevole, «Vieni! vieni! vieni!» E mentre rabbrividiva, sudava, quella cosa, non sapea come, era scomparsa. Balzò dal letto, corse alla porta; la porta era chiusa a chiave e incatenacciata; Legrée cadde a terra.
Da quel punto, Legree si abbandonò alla crapula più che mai. Non solea più bere con misura, con prudenza, ma all’impazzata e senza freno.
Poco dopo corse voce nei dintorni che egli era infermo, anzi moribondo. L’orgia l’avea condotto a quella malattia spaventevole, che pare anticipar voglia in questa vita i supplizii dell’inferno1. Nessuno può descrivere li orrori che circondavano il suo letto di morte; si contorceva, tremava, parlava di apparizioni che facevano gelare il sangue in coloro che l’udivano; e accanto a lui stava una figura bianca, severa, inesorabile, che dicea sempre: «Vieni! vieni! vieni!»
Per una singolare coincidenza, nella notte stessa in cui quella visione era comparsa a Legrée, la porta di casa si trovò aperta al mattino, ed alcuni negri aveano veduto due figure bianche che scomparvero nel viale che tende alla strada.
Cominciava ad albeggiare, quando Cassy ed Emmelina fecero un po’ di sosta presso un gruppo di alberi, in vicinanza della città.
Cassy vestìa alla foggia delle creole spagnuole signore, — tutta in nero. Un cappellino coperto da un velo spesso, ricamato, le nascondea il volto. Era stato convenuto che, durante la fuga, ella si sarebbe spacciata per una signora creola, ed Emmelina per cameriera di lei.
Educata, fin dall’infanzia, tra le più alte classi sociali, Cassy sapea armonizzare colla parte che rappresentava, il linguaggio, i modi, il contegno; ed avea conservato della sua antica magnifica guardaroba e de’ suoi gioielli quanto bastava per far bella mostra di sè.
Si fermò in un sobborgo della città dove avea veduti bauli in vendita, ne comperò uno assai bello, e pregò il mercante a farlo trasportare ove ella avrebbe indicato. Per tal modo, preceduta da un garzone che portava il baule sopra un carretto, e seguita da Emmelina che portava il sacco da notte, entrò, come donna di riguardo, in una piccola locanda.
La prima persona che ivi, appena giunta, incontrò, fu Giorgio Shelby, che stava seduto, aspettando il prossimo arrivo del piroscafo.
Cassy avea notato, dalla finestruola del granaio, il giovanetto mentre trasportava il corpo di Tom, e veduto, con secreta compiacenza, come avesse trattato Legrée. Mentre di notte tempo errava nel quartiere, in sembianze di fantasma, avea raccolto, dai discorsi dei negri, alcuni particolari dei suoi rapporti con Tom. Quindi sentì accrescersi confidenza quando seppe che stava anch’egli aspettando l’arrivo del piroscafo.
La disinvoltura, i modi di Cassy, e specialmente l’influenza della sua borsa, allontanarono, tra la gente della locanda, ogni sospetto che potesse insorgere a suo riguardo. Non si cerca troppo sottilmente sul conto delle persone che spendono liberalmente il loro denaro — cosa che Cassy avea preveduta quando ebbe la precauzione di prepararsi buona somma di denaro.
Sul far della sera si udì di lontano l’arrivo del piroscafo; e Giorgio Shelby, con quella gentilezza che è tutta propria di ogni Kentuckiese, porse mano a Cassy per salire a bordo, e trovò modo di farle assegnare un camerino.
Per quanto durò il tragitto sul fiume Rosso, Cassy, fingendosi ammalata, stette coricata sopra il suo letto; e la cameriera, tutta affaccendata ed ossequiosa, le stava intorno per servirla.
Quando si giunse al Mississipì, Giorgio, avendo inteso che quella signora forestiera avea intenzione di risalire, come egli, il fiume, propose di prendere un camerino per essa sul piroscafo stesso, dove egli dovea imbarcarsi — certo, per un sentimento di compassione verso un’inferma, e per il desiderio di poterle in qualche modo giovare.
Ecco dunque tutta la nostra brigata salita, felicemente, a bordo dell’eccellente piroscafo, il Cincinnati, che corre a ritroso della corrente.
Giorgio, appena gittato uno sguardo sul volto di lei, si era sentito commosso da una di quelle vaghe, indefinibili rassomiglianze, che talvolta risorgono nella memoria e ti rendono pensieroso. Non potea rattenersi dal contemplarla, e la seguìa continuamente collo sguardo. A tavola, o seduta presso l’uscio del suo camerino, ella incontrava sempre li occhi del giovanetto fissati sopra di lei, benchè egli ne li rimovesse per pulitezza, quando ella, col suo contegno, mostrava di sentirsene importunata.
Cassy divenne inquieta. Cominciò a pensare che egli sospettasse qualche cosa; alla perfine risolvette di abbandonarsi interamente alla generosità di lui, e di narrargli con tutta confidenza la propria storia.
Giorgio era disposto a simpatizzar cordialmente con chiunque fosse fuggito dalla piantagione di Legrèe; — piantagione di cui non potea ricordarsi, nè parlar con pazienza; e, con quella incuranza coraggiosa delle conseguenze che è tutta propria della sua età e della sua condizione, le promise che avrebbe messo ogni suo impegno per proteggerla e ricondurla in salvo.
Il camerino prossimo a quello di Cassy, era occupato da una signora francese, nominata di Thoux, che era accompagnata da una graziosa sua figliuoletta, di circa dodici anni.
Questa signora, avendo potuto rilevare dai discorsi di Giorgio che egli era del Kentucky, parea avesse molto a cuore di entrare in conoscenza; e in ciò era benissimo secondata dai vezzi della fanciulla che rendea men noioso un viaggio di quindici giorni sopra un piroscafo.
La sedia di Giorgio trovavasi presso l’uscio del camerino occupato dalla signora di Thoux; e Cassy, che stava sempre colle orecchie tese, potea udirne la conversazione.
La signora di Thoux facea mille domande sul Kentucky, ove diceva aver dimorato nel primo stadio della sua vita. Giorgio venne a conoscere, non senza sorpresa, che quella signora doveva aver abitato in vicinanza della casa di lui; le domandò che gli moveva, ben dimostravano come ella conoscesse particolarmente uomini e cose, e lo riempivano di meraviglia.
— «Conoscete voi, — gli chiese un giorno la signora di Thoux — qualcuno nei vostri dintorni, che portasse il nome di Harry?»
— «Un vecchio di cotal nome abita non lungi dalla casa di mio padre — rispose Giorgio. — Ma io non ebbi mai occasione di conoscerlo famigliarmente.»
— «Possiede molti schiavi, credo io» riprese la signora di Thoux, con una emozione che si sforzava invano di nascondere.
— «Credo bene,» rispose Giorgio Shelby con qualche meraviglia.
— «Avete voi mai inteso dire ch’egli avesse uno schiavo mulatto per nome Giorgio?»
— «Sì, veramente; Giorgio Harris. Io lo conobbi benissimo: aveva sposata la cameriera di mia madre, e fuggì poscia al Canadà.»
— «Iddio ne sia lodato!» esclamò la signora di Thoux.
Giorgio Shelby, vieppiù sorpreso dai discorsi della dama, si sentiva gran voglia d’interrogarla in proposito, ma si ritenne. Madama di Thonx invece appoggiò il fronte alla palma, e piangendo esclamò: «Era mio fratello.»
— «Vostro fratello!...»
— «Sì — rispose la dama, alzando con nobile alterezza il capo e fissando Shelby: — Giorgio, vostro schiavo, è mio fratello!»
— «Sono stupefatto» disse il giovine; e ritirando alcun poco la sedia si fece a guardare più attentamente la signora di Thoux.
— «Allorchè io era giovane — riprese dessa — io fui condotta negli Stati del Sud per esservi venduta. Venni comperata da un uomo generoso che m’accompagnò alle Antille, mi rese libera e mi sposò. Esso è morto da poco tempo, ed ora io veniva nel Kentucky cercando mio fratello per riscattarlo.»
— «L’intesi più volte parlare di sua sorella Emilia, che era stata venduta nel Sud...»
— «Io son dessa. Datemi, vi prego, qualche notizia di...»
— «È assai bell’uomo. Quantunque percosso dalla maledizione del servaggio, mostrava molta probità e intelligenza. Posso assicurarvi di tutto ciò, poichè desse si maritò in mia casa.»
— «E che razza di moglie menò egli?» dimandò la signora con ansietà.
— «Un vero tesoro!.... una giovane bella, dolce, intelligente e assai pia: mia madre l’aveva allevata come una sua figlia: ella sa leggere, scrivere, cucire, ricamare e cantare a meraviglia.»
— «Nacque dessa presso la vostra famiglia?»
— «No; mio padre l’aveva accattata in una di quelle sue escursioni che per solito faceva nella Nuova-Orleans; e il suo intendimento era stato di farne un regalo a mia madre. Allora soperchiava di poco gli otto anni. Mio padre non volle mai dirci quanto gli costasse; ma, giorni sono, frugando nelle sue carte, ci venne a mano il contratto di vendita. Il prezzo che ne aveva pagato fu esorbitante; e ciò fu sicuramente a cagione della rara bellezza della fanciulla.»
Giorgio Shelby aveva rivolto le spalle a Cassy, sicchè non poteva accorgersi del vivo e crescente interesse che questa prestava alle sue parole. Ma a questo punto essa lo toccò improvviso nel braccio, e pallida e commossa gli disse:
— «Sapreste voi indicarmi il nome di chi ha venduto quella ragazza?»
— «Fu, mi pare, un tal Butler che la vendette, e un tal Simmons che entrò mezzano nel contratto; questi nomi figurano nel contratto.»
— «Oh, mio Dio!» gridò Cassy, cadendo svenuta sul pavimento.
Giorgio Shelby e madama di Thoux si alzarono alla presta: essi erano assai lungi dall’indovinare il vero motivo dello svenimento di Cassy; ma non potettero a meno di mostrare l’agitazione che d’ordinario ci prende l’animo in simili circostanze. Giorgio, nella sua foga umanitaria per soccorrer Cassy, rovesciò una secchia e ruppe due bicchieri; molte donne poi, intendendo che una delle loro compagne di viaggio stava male, fecero pressa alla porta della cameretta, impedendo, senz’accorgersi, la libera circolazione dell’aria. Le cose, come si vede, andarono come dovevano andare; cioè alla peggio.
Povera Cassy!.... Allorchè ella riprese i sensi, si volse verso la parete, e pianse dirotto come un fanciullo. Madri, voi sole forse potrete dire a chi ella pensasse, e forse anche no ’l potrete dire. Ella dicea a se stessa, che Iddio si mostrava infine misericordioso verso di lei, e ch’era ormai sicura di rivedere sua figlia. Difatti, qualche mese più tardi... ma non anticipiamo gli avvenimenti.
Note
- ↑ Il delirium tremens.