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la capanna dello zio tom




CAPO XLII.


Storia autentica d’un fantasma.


Per qualche buona ragione, le leggende di fantasmi giravano, più del solito, tra i famigli di Legrée.

Si asseriva sommessamente che nel silenzio della notte, si era udito un leggiero calpestìo giù dalla scala del granaio e per la camera. Invano erano state chiuse a chiave le porte dell’entrata superiore; il fantasma avea, certo, una doppia chiave in saccoccia, o si prevaleva del privilegio che hanno da tempo immemorabile tutti li spiriti, di passare dal pertugio del chiavistello, e di aggirarsi per le camere con una libertà che incutea paura.

Quanto alla sua forma esteriore, correano sentenze diverse; e ciò proveniva dall’uso che hanno non solo i negri, ma anche i bianchi, di chiuder gli occhi, coprirsi il capo col lenzuolo, col mantello, ogni qualvolta si trovano in circostanze consimili. Tutti sanno che quando li occhi materiali sono chiusi per cotal modo, gli occhi della mente acquistano una chiarezza, una acutezza più che ordinaria; e per conseguenza molte sono e diverse le descrizioni dei fantasmi, tutte vere, accertate, sebbene differiscano essenzialmente tra loro. Concordavano tuttavia in asserire che, secondo l’usanza antichissima degli spiriti, questo fantasma si avvolgeva in un bianco lenzuolo. Questi poveri schiavi non erano versati nella storia antica; altrimenti avrebbero saputo che Shakspeare ne determinò la foggia del vestire, laddove dice:


I morti in bianco lino
Ivan gemendo per le vie di Roma.


E quindi la concordanza dell’opinione di Shakspeare con quella di que-